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 2015  dicembre 12 Sabato calendario

LA PARABOLA DELLA VIGILANZA

Ogni volta che si verificano casi di dissesti bancari la Vigilanza entra nell’occhio del ciclone. Lo abbiamo visto, per citare un caso recente, con la vicenda della Popolare di Spoleto - una tempesta in un bicchiere d’acqua - e lo constatiamo ora con il salvataggio delle quattro banche finite in dissesto.
La cosa si ripete da decenni, anche se ora il livello delle critiche si è elevato. Sono sopravvenute richieste da alcune parti politiche per la costituzione di una commissione parlamentare di inchiesta (o di indagine) sulle banche e sugli organi di controllo, alle quali il premier Matteo Renzi ha dato la sua adesione senza per ora scendere nei particolari: vedremo gli sviluppi. Al contesto di confusione e, in alcuni casi, di strumentalizzazione concorre una scarsa comprensione dei fini, concentrati nella promozione della sana e prudente gestione nonché della stabilità e dei limiti dell’attività di controllo. Contribuiscono le normative primarie con alcuni contenuti a volte non appropriati, come nel caso della direttiva europea Brrd (recepita nel nostro ordinamento) sul risanamento e la risoluzione delle banche e, più recentemente, l’accentuazione dei controlli prudenziali, focalizzati ossessivamente sul patrimonio, senza alcuna sufficiente considerazione della Vigilanza strutturale. Dà il suo apporto una non diradata incomprensione della differenza tra il ruolo dei controlli in questione e le funzioni degli organi di polizia o dell’autorità giudiziaria.
Fa la sua parte il decollo, per ora inadeguato, della Vigilanza unica della Bce. Ma vi è anche una certa superficialità, nonché un desiderio di individuare subito il colpevole maggiormente esposto, anche prima di attaccare i casi di «mala gestio» di cui sono responsabili gli esponenti aziendali coinvolti. Può, ancora, concorrere un non ottimale coordinamento tra authority. Vi è altresì da considerare la crescita dell’importanza del ruolo del sistema bancario, ma anche la crisi globale ed europea. Infine vi è il giudizio sulle strutture e sugli uomini, ai quali non ci si può sottrarre.

Qualcuno oggi afferma che la Vigilanza è tutt’altra cosa rispetto al passato, volendo alludere alla maggiore complessità dell’oggi; ma non è vero, perché ogni epoca ha avuto i suoi problemi gravi e meno gravi e fare affermazioni simili significa assumere un approccio antistorico che per un «vigilante» deporrebbe male, come si è dimostrato vedendo non pochi giustizialisti in certe fasi della vita di Bankitalia - quando questa è stata sotto attacco - trasformati in tenaci innocentisti in questi anni. Vi è stato un tempo lontano nel quale le banche erano rigidamente controllate nella fase preventiva, in quella della loro operatività e nella fase dell’eventuale esclusione dal mercato con strumenti - pensiamo agli anni 70 - di forte intervento autorizzativo. I finanziamenti eccedenti il quinto del patrimonio, gli investimenti immobiliari, l’assunzione di partecipazioni, l’apertura di nuovi sportelli erano tutte operazioni sottoposte ad autorizzazione dell’organo di Vigilanza. Le banche erano poi tenute all’osservanza degli obblighi della riserva e, per qualche tempo, al vincolo di portafoglio nonché al massimale all’espansione degli impieghi. Si associavano altresì le norme valutarie fondate, quanto all’operatività in cambi, sul principio del «tutto vietato se non espressamente autorizzato».

Nonostante i rigidi controlli e la capillare regolamentazione anche dei rapporti con l’estero, non mancavano i casi di dissesto o comunque di gravi difficoltà: basti ricordare le due banche di Michele Sindona e, poi, tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80, l’Ambrosiano di Guido Calvi, mentre, nel mezzo, si verificava il dissesto dell’Italcasse. Casi, questi, assai rilevanti, ma tutti prodotti da gravissime violazioni della legge, da connessioni tra finanza, politica e poteri occulti, da veri e propri intenti destabilizzanti lo svolgimento della vita economica, da strategie di attacco alla Banca d’Italia. La distorsione dell’attività bancaria era conseguenza di disegni che miravano a funzionalizzare l’agire degli istituti coinvolti per manovre illecite e in parte oscure. Esse comunque furono individuate, bloccate e represse. All’epoca era forte la visione del vincolo della tutela del risparmio, costituzionalmente sancito dall’articolo 47 della Costituzione, tanto che l’allora governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, poté sostenere, senza rilevanti contrasti, che la Vigilanza avrebbe potuto anche non promuovere una gestione straordinaria o una liquidazione coatta di una banca, pur ricorrendone i presupposti formali, qualora una via alternativa avesse reso possibile una migliore difesa e tutela del risparmio. Gli anni 70 furono anni «di fuoco», come ebbe a definirli il grande governatore Paolo Baffi, che, assieme con l’allora vicedirettore generale Mario Sarcinelli, fu vittima di un’oscura e destabilizzante trama eversiva, fatta di intrecci tra politica, poteri occulti e aree deviate della magistratura volte a piegare la Banca d’Italia perché non aveva accettato un assurdo progetto di sistemazione in bonis degli istituti del bancarottiere Sindona. Paradossalmente l’attacco mosse da una presunta omissione di Vigilanza sugli esiti di un finanziamento assistito dal contributo dello Stato e concesso dall’Imi alla Sir di Rovelli, con l’intento però, da parte degli assalitori, di far indietreggiare proprio l’opera della Vigilanza, che si distingueva per autonomia e rigore. I controlli sul credito agevolato non erano certo competenza della Banca d’Italia. Di Baffi e Sarcinelli, dopo un lungo calvario, fu confermata dalla magistratura l’assoluta limpidezza di vittime della trama destabilizzante e fu riconosciuta l’opera di grandi servitori dello Stato.

A poco a poco nei decenni successivi (nei quali pure non mancarono casi di gravi difficoltà, quale quella che riguardò la Banca Nazionale del Lavoro a seguito del dissesto della filiale di Atlanta, impegnata in operazioni illecite con collegamenti pure con la direzione centrale) la Vigilanza cominciò ad allentare i controlli amministrativi e autorizzativi anche sotto gli effetti delle direttive comunitarie e, in specie, della seconda direttiva, che riconosceva alle banche la natura di imprese. Iniziò una fase di deregolamentazione, che però fu accompagnata da forti interventi per il consolidamento del sistema con un’operazione di riorganizzazione e di ristrutturazione promossa dalla Banca d’Italia di Antonio Fazio, che aveva come paragone solo la riorganizzazione degli anni 30. La Vigilanza dismetteva le principali leve di super-gestione, mentre era venuta meno la vincolistica legislazione valutaria, ma si attrezzava nei controlli non dirigistici, avendo sempre presente la banca controllata nella sua interezza, senza concentrarsi prevalentemente su questo o quell’aspetto della sua operatività, senza dismettere gli strumenti dei controlli strutturali accanto a quelli, che si cominciava a rafforzare, di natura prudenziale.

Non è vero che l’Istituto abbia esclusivamente privilegiato la stabilità monetaria rispetto alla concorrenza: dopo alcune analisi della concorrenza degli anni 60, da considerare desuete e non sostenibili, già negli anni 70 e poi ancor più negli 80 si sosteneva l’esigenza di rinvigorire gli enzimi della concorrenza. Quest’ultima, in quanto condizione dell’efficienza, veniva considerata una componente fondamentale della stabilità monetaria, che senza di essa sarebbe stata il rigor mortis. L’attività ispettiva in tutti quei decenni si distingueva per il valore degli ispettori e per la capacità di mettere a nudo le irregolarità e le disfunzioni, ma sempre nella rigorosa distinzione dei compiti rispetto a Polizia e magistratura. Sarà necessario prima o poi fare una storia articolata della Vigilanza nell’ultimo quarantennio, anche se non mancano pubblicazioni in cui, partitamente, si possono leggere analisi e riferimenti sulla funzione in epoche diverse. Il primo decennio degli anni Duemila meriterebbe una trattazione ad hoc, per la quale cominciano a essere ormai maturi i tempi; una volta posata definitivamente la polvere, sarà possibile delineare chi improvvisamente è divenuto «un Marcello» dopo essere stato solo un dantesco «villan che parteggiando viene». Oggi, se si guarda agli indirizzi della Vigilanza unica, sembra quasi che la storia di quella che è stata per lungo tempo la migliore Vigilanza d’Europa vi abbia influito poco. L’impegno dell’unico italiano che merita di essere menzionato presente nel supervisory board, Fabio Panetta, tra i massimi esperti europei di finanza, banche e moneta, è rilevante e intenso; spesso è mirato fortunatamente a correggere unilateralismi e monoculture che si vorrebbero far passare, a cominciare dalla presidentessa Danièle Nouy, la cui opera lascia molto a desiderare. Al compimento del primo anno di attività sarebbe stata opportuna una revisione in chiave autocritica della funzione, ma purtroppo non se ne vedono le tracce, mentre vari segnali ci dicono della pervicacia dell’insistenza - una vera e propria ratios-mania - sul patrimonio degli istituti, con l’obiettivo, non appena previste dotazioni aggiuntive di capitale, di introdurre l’obbligo di nuove dotazioni. Il resto della vita delle banche vigilate sembra quasi «tamquam non esset».

La funzione di comunicazione istituzionale è pressoché inesistente. Queste carenze e questi aspetti insoddisfacenti sono poi alla base della confusione negli osservatori e nel vasto pubblico sull’efficacia degli interventi, sulla loro preventività, sull’adeguatezza delle strutture. La mancata chiarezza (non solo nel vasto pubblico, ma anche nel mondo politico e nelle stesse aree di quello istituzionale nonché forse anche in alcune aree della magistratura) di ciò che può dare o non dare la Vigilanza, degli obblighi e dei limiti, nasce anche da una non adeguata opera informativa, che invece bisognerà promuovere con maggiore decisione. Occorrerà anche spiegare come dalla tutela sempre osservata, in base alla quale dal 1936 nessun depositante ha mai perso un centesimo, si sia arrivati ora alla normativa sul bail-in. I passaggi sono chiari, ma di essi occorre rendere edotti i cittadini, per gli aspetti positivi e per quelli negativi. In un certo senso l’immagine della Vigilanza è come quella del San Sebastiano colpito da numerose frecce in un quadro appeso alle spalle della scrivania di diversi governatori (Carli, Fazio), insieme con la sua indubbia capacità di reagire adeguatamente, anche correggendo errori.