Notizie tratte da: Alfio Caruso, Con l’Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del Papa, Milano, Longanesi, 2015, pp. 314, euro 18,60., 10 dicembre 2015
Biografia di Pio IX
ATTENZIONE, CARUSO È IMPRECISO
Notizie tratte da: Alfio Caruso, Con l’Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del Papa, Milano, Longanesi, 2015, pp. 314, euro 18,60.
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Giovanni Maria Battista Pellegrino Isidoro Mastai, futuro Pio IX, nato nel 1792 a Senigallia, nono figlio dei conti Mastai Ferretti. Dal 1803 al 1808 studente presso gli Scolopi a Volterra. Ritiratosi per ripetuti attacchi epilettici, riprende a Senigallia una ricca vita di società. Bene in carne, ottimo cavallerizzo e schermidore, imbattibile al biliardo, bravo al gioco del pallone con il bracciale. Irresistibile per le donne, soprattutto le sposate. Quando si infatua di un’attricetta viene mandato a Roma, dallo zio Paolino canonico di San Pietro.
Dall’epilessia guarisce nel 1815, dopo un pellegrinaggio a Loreto. Diventa terziario francescano. A Senigallia i suoi sermoni riempiono la piazza principale. Una maldicenza ottocentesca vuole che la metà delle presenze femminili sia costituita da sue amanti.
Dal 1823 va per due anni in missione in Cile. Nel 1827 papa Leone XII lo nomina arcivescovo di Spoleto. Ha solo 35 anni.
Diventa molto popolare quando si diffonde la voce che ha impegnato i propri mobili per aiutare alcune famiglie povere.
A 48 anni, dopo essere stato anche arcivescovo di Imola, diventa cardinale.
Contro D’Azeglio che spera in Tommaso Pasquale Gizzi, cardinale-legato di Forlì, come nuovo Papa, Metternich punta su Lambruschini, segretario di Stato vaticano. Nel 1846, alla vigilia dell’elezione, il cardinale austriaco di Milano, Karl Gaysruck, si dirige a Roma con l’indicazione di fermare l’ascesa di Gizzi. A Fidenza la ruota della carrozza si rompe e Gaysruck è convinto che senza di lui non si andrà avanti con l’elezione. Invece, in sua assenza, i cardinali scelgono il nuovo Papa in due giorni: a sorpresa, approfittando dello stallo tra i due contendenti, viene scelto Mastai Ferretti, che prende il nome di Pio IX.
La leggenda vuole che, ad avvenuta elezione, Lambruschini sia svenuto di dolore, Mastai Ferretti di gioia.
Preoccupazione nelle cancellerie europee: Mastai Ferretti è considerato un progressista e la nomina di Gizzi a segretario di Stato preannuncia mutamenti.
Il primo atto di Pio IX è l’amnistia ai condannati. Chiunque può usufruirne, purché ne faccia richiesta con la promessa di comportarsi da bravo suddito. Migliaia di romani lo acclamano in piazza e addittura un giorno la folla festante stacca la carrozza del Papa dai cavalli e la trascina a braccia.
Altre decisioni: approntamento della guardia civica, attenuazione della censura sui giornali, maggiore tolleranza verso gli ebrei, formazione del municipio romano, costruzione di una strada ferrata. Inoltre propone una lega doganale fra gli Stati della penisola. Gizzi, presunto campione dei liberali, si mette paura per l’audacia e lascia la segreteria di Stato al cardinale Ferretti, cugino del Papa.
Sulle facciate delle chiese compare la scritta "W Pio IX". In un teatro di Milano l’orchestra esegue l’inno a Pio IX. Il pubblico chiede cinque bis.
A Bruxelles un congresso di economisti proclama Pio IX «il più grande uomo del secolo».
Quando dice di non poter appoggiare le rivolte e la guerra antiaustriaca (anche per non inimicarsi i cattolici austriaci), Carlo Cattaneo scrive: «Pio IX fu fatto da altri e si disfece da sé».
Ucciso a pugnalate Pellegrino Rossi, cui il Papa aveva affidato l’incarico di formare il governo, Pio IX, in pericolo di vita e assediato al Quirinale, viene convinto ad abbandonare Roma per rifugiarsi a Gaeta.
Il 21 gennaio 1849 nello Stato Pontificio, privo del comando del Papa, si vota per eleggere la Costituente. Al suffragio universale, riservato solo ai maschi, vota il 35% degli aventi diritto (ma il 50% a Roma). Vincono i borghesi. Pio IX parla di un «mostruoso atto di smascherata fellonia». Nasce la Repubblica.
Alle votazioni per la Costituente, Garibaldi è tredicesimo su sedici candidati a Macerata.
Terminata l’esperienza della Repubblica, Pio IX torna a Roma nel 1850. Abroga la Costituzione concessa due anni prima, va a vivere all’interno delle mura Leonine.
Pio IX, su richiesta del primo ministro austriaco Schwarzenberg, accetta di sconsacrare don Enrico Tazzoli, prete mantovano di ideali mazziniani. Al vescovo di Mantova, Giovanni Corti, contrario alla riduzione allo stato laicale, spetta pronunciare la formula di rito, togliergli i paramenti sacri e raschiare col coltello la pelle delle dita che hanno toccato l’ostia. Dopo di ciò gli austriaci procedono all’impiccagione. Commento di Garibaldi sul Papa: «Quel metro cubo di letame».
Il generale bretone Louis-Christophe-Léon de La Moricière, chiamato da de Mérode alla guida dell’esercito pontificio. Al suo arrivo trova: fortificazioni cadenti, servizio sanitario privo perfino di garze e disinfettante, magazzini vuoti, poco pane per i soldati, nessun cambio per le loro divise, poligoni di tiro abbandonati, nessuna munizione, cannoni arrugginiti.
Nella primavera del 1860 l’esercito pontificio è costituito da meno di 7.000 uomini e pochi ufficiali. Problema: reperire soldati. Idea di La Moricière: lanciare una sorta di crociata per convincere i cattolici europei a fornire volontari e soldi.
I preti promettono speciali indulgenze per chi si arruola. Alcuni volontari si presentano con la croce dipinta sugli abiti.
Documenti da presentare per arruolarsi nell’esercito pontificio: atto di battesimo e certificato della Curia attestante che il richiedente è scapolo o vedovo senza figli. Età: da 18 (con permesso dei genitori) a 50 anni (56 per chi ha già servito in altri eserciti). Altezza minima: 153 centimetri per la fanteria, 155 per la cavalleria. Ingaggio: 12 scudi (circa 900 euro attuali), più 6 per il fondo pensione. Stipendio: 15 scudi, due pasti completi al giorno con una pagnotta da due libbre (900 grammi), vestiario, casermaggio, legna per l’inverno. Dopo trent’anni «di fedele e onorato servigio avrà diritto, vita durante, all’intero soldo in giubilazione trasmissibile in caso di morte ai più prossimi parenti conformemente alla Legge».
I battaglioni che si formano sono omogenei per nazionalità: i tiragliatori franco-belgi, i carabinieri tedeschi, i bersaglieri austriaci, i «crociati di San Patrizio» irlandesi.
Il primo battaglione che si forma, nel maggio 1860, è quello dei tiragliatori, quando sette francesi e quattro belgi si presentano agli uffici di reclutamento a Roma. A giugno i tiragliatori sono già 70.
I circa mille volontari irlandesi, guidati dal maggiore Myles William O’Reilly, soprannominati «oche pazze».
Gli irlandesi, più spinti dalle motivazioni politiche che da quelle religiose. Sono nemici tutti gli amici degli odiati inglesi. Quindi anche Cavour e Garibaldi. Il paradosso: la ferma opposizione al Risorgimento italiano benché essi stessi si battano per il proprio Risorgimento.
L’esercito pontificio sconfitto a Castelfidardo. Tra i deceduti, l’ex seminarista Joseph-Louis Guérin, assistito dal fraterno amico Arthur Guillermin, riesce a scrivere una lettera per i famigliari prima di spirare. Diventerà uno dei principali strumenti di propaganda a favore di Pio IX: «Da molto tempo ho offerto a Dio e alla Chiesa il sacrificio della mia vita. Invidiate la mia felicità e confortate la mia povera madre. Lunga vita a Pio IX Pontefice e Re!».
Il generale Efisio Cugia, leggendo la lista dei soldati pontifici morti: «Che nomi! Si direbbe che è la lista di una festa da ballo alla corte di Luigi XIV».
A Castefidardo fra gli italiani 62 morti e 140 feriti; fra i papalini 88 morti e 400 feriti; ad Ancona fra gli italiani 22 morti e 188 feriti; fra i papalini 900 tra morti e feriti.
I tiragliatori poi trasformati nel battaglione zuavi dal 1° gennaio 1861. Il nuovo nome è stato pensato dal visconte de Becdelièvre, loro comandante, anche creatore della divisa. Questa era ripresa dal costume di una tribù della Cabilia algerina, gli Zwàwa. I pantaloni chiusi da uno sbuffo sotto al ginocchio contribuiscono all’agilità dei soldati. Prima di ottenere il via libera alla nuova divisa deve convincere i monsignori che nessun particolare del reggimento e della divisa richiama l’Islam.
La medaglia concessa da Pio IX ai sopravvissuti dopo la caduta di Ancona: nel cerchio d’argento la scritta Pro Petri Sede circonda una croce di San Pietro rovesciata. Si racconta che una di queste medaglie fu trovata tra le spoglie di Toro Seduto, che l’aveva presa dopo la battaglia di Little Big Horn al cadavere di un valoroso soldato irlandese, passato dall’esercito papale a quello statunitense. Il capo indiano aveva trovato particolarmente coraggioso quel soldato e aveva preso la medaglia ritenendola un amuleto dispensatore di forza.
Francesco di Borbone, soprannominato "Lasa" (diminutivo di lasagne) da suo padre.
Maria Sofia Amalia von Wittelsbach, sposa a 17 anni di Francesco di Borbone nonostante il giudizio del padre, il duca Massimiliano Giuseppe di Baviera («È un imbecille»). Alta un metro e 70, mora, occhi turchini, sorella di Sissi, stupì i sudditi con i tuffi nelle acque di Posillipo. Durante l’assedio di Gaeta si fa vedere tra i soldati in divisa da cacciatore calabrese. Sopra indossa un mantello bianco per essere inquadrata dal nemico. Tuttavia i granatieri non le sparano. Stizzita: «J’aurais bien désiré une petite blessure».
Dopo la proclamazione del Regno d’Italia, inizia la falsa propaganda del Meridione depredato dai nordisti, di un Sud addirittura terza potenza mondiale, alla pari con gli Stati Uniti e Impero britannico. Invece nel Regno delle Due Sicilie le industrie floride sono solo un paio: il Real Opificio di Pietrarsa (che gode di commesse della Casa Reale) e i cotonifici di Salerno (di proprietà di industriali svizzeri protetti da barriere doganali).
Nel reame borbonico, a differenza del resto della Penisola, l’omosessualità era tollerata.
Nel Regno delle Due Sicilie non ci sono scuole. Il numero degli analfabeti è doppio di quelli del Piemonte (84% contro 42%). Nel 1861 il consumo di carboidrati è 460 grammi al Sud, 240 al Nord. Ma solo perché al Sud non si riescono a trovare carni, legumi e formaggi.
Il Pil pro capite nel Mezzogiorno superiore a quello del Nord, soprattutto grazie alle enormi ricchezze accumulate nelle mani di pochissimi.
L’attivo di bilancio del governo borbonico, frutto di una cieca politica di accumulo. Mentre il Piemonte è in passivo per la riforma agricola e per la guerra, re Franceschiello accatasta lingotti d’oro non nutrendo fiducia nelle banconote stampate dalla sua stessa banca.
Nel Regno delle Due Sicilie, su 1.848 comuni, 1.621 non hanno nemmeno una strada che li colleghi tra loro.
Quando Cavour muore, padre Giacomo da Poirino viene sospeso per venti anni per avergli dato l’estrema unzione senza pretendere la ritrattazione di quanto scritto e fatto per definire i rapporti col Vaticano.
Nella avversione di Vittorio Emanuele contro Francesco di Borbone incidono anche questioni dinastiche. La madre di Francesco era Maria Cristina di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele I, che nel ’21 aveva abdicato in favore del fratello Carlo Felice. La mancanza di figli maschi per i due fratelli aveva aperto il trono sabaudo al ramo collaterale dei Carignano incarnato da Carlo Alberto. Francesco e Vittorio Emanuele II sono cugini alla lontana. Dopo la rottura totale, il primo potrebbe avanzare pretese sul trono nazionale rivendicando il fatto che la sua parentela con i Savoia è molto più stretta di quella dei Carignano.
A Roma Maria Sofia è circondata da corteggiatori che farebbero follie per lei. Solo il marito, Francesco di Borbone, è trattenuto dalla timidezza e dai problemi derivanti dalla fimosi: basterebbe un semplice intervento per eliminare il disturbo e consumare il matrimonio. Invece preferisce aspettare che la moglie si addormenti per entrare di soppiatto nel suo letto, contemplarla e andarsene all’alba.
Tra tutti i suoi corteggiatori, Maria Sofia predilige Armand de Lawayss, biondo tenente belga degli zuavi, nominato da Pio IX cavaliere d’onore della Regina. Quando nella primavera del 1862 Maria Sofia va a Possenhofen, a casa dei genitori, è incinta, e non di suo marito. Dice al consorte di doversi trattenere in Germania per problemi di salute e lì partorisce due gemelle, il 24 novembre. Si chiamano Viola e Daisy. La prima viene affidata agli zii, che a un certo punto annunciano la nascita di una bambina e le danno il nome di Maria Luisa von Wallersee. La seconda è affidata al padre, che per la tisi ha lasciato l’esercito ed è tornato a Bruxelles. Moriranno entrambi nel 1870, a distanza di pochi mesi.
L’album di fotomontaggi pornografici contro Maria Sofia: sul corpo nudo della celebre prostituta Costanza Vaccari è incollata la testa della regina, presa da cinquanta foto scattate presso uno studio. In un’immagine Maria Sofia si accoppia con uno zuavo, in un’altra il Pontefice da dietro una porta la spia durante un amplesso, in un’altra ancora «la Regina totalmente ignuda portava la mano alla natura in atto di far ditali e aveva in prospettiva i ritratti di Sua Santità Pio IX, del signor generale de Goyon, dell’eminentissimo cardinale Antonelli e dell’ufficiale de’ zuavi Bermudez de Castro». Al processo la prostituta Vaccari confessa, la stima generale verso la regina accresce. Tutto va per il meglio quando Francesco accetta di operarsi e godersi la donna più desiderata d’Europa. Maria Sofia resta incinta: nasce Maria Cristina Pia di Borbone (che però muore dopo tre mesi per una sbadataggine della governante).
Alphonse Daudet rende Maria Sofia protagonista del suo romanzo Les rois en exil; Proust la chiama «regina soldato»; D’Annunzio «aquiletta brava».
Maria Sofia fino al 1870 al centro delle cospirazioni contro i Savoia. Finanzia ogni congiura contro di essi. Sembra assodato che anche Gaetano Bresci, prima di uccidere Umberto I, sia andato a conferire con lei, da cui forse ricevette anche dei soldi nonostante le ristrettezze economiche.
Dopo la firma tra Napoleone III e Vittorio Emanuele che prevede lo spostamento della capitale da Torino, si pensa di portarla a Firenze. Nella città piemontese comincia a diffondersi il dubbio che con la firma il governo abbia promesso all’imperatore di rinunciare per sempre a Roma. I primi a protestare vengono arrestati. Quando si chiede la liberazione degli arrestati, inneggiando a Garibaldi, iniziano le sparatorie da parte dei carabinieri. Alla fine muoiono 55 persone e si contano 133 feriti gravi. Il governo emette un comunicato secondo cui la plebaglia ha aggredito i soldati, costretti a sparare per difendersi. La stampa nazionale accusa i torinesi di non voler rinunciare al ruolo di capitale per motivi veniali. L’indignazione internazionale, però, costringe Minghetti alle dimissioni. Vanno sotto processo 58 carabinieri.
La Marmora stabilisce che la capitale sarà Firenze. L’insediamento è previsto il 1° giugno 1865. Costo: 7 milioni di lire (325 milioni di euro attuali). Il centro medievale è abbattuto per costruire palazzi destinati ad accogliere 30mila militari e personale amministrativo. In sette anni la città accumulerà un deficit di 30 milioni di lire (circa 1.100 milioni di euro).
Il governo che ha bisogno di soldi confisca e cede i beni della Chiesa nell’ex Regno delle Due Sicilie, stabilisce la soppressione degli ordini religiosi. In alcune città viene ordinata la rimozione delle statuette della Madonna, sono proibite le processioni, vengono aboliti i seminari, è cancellata l’esenzione dal servizio militare per i seminaristi (la possibilità di sottrarsi alla leva ora costa 3.500 lire).
Risposta di Pio IX: l’enciclica Quanta Cura che contiene in appendice il Sillabo, con la netta opposizione alla modernità vista come negazione di Dio.
L’ispiratore del Sillabo è il cardinale Pecci, successore di Pio IX con il nome di Leone XIII, il papa della Rerum Novarum e della grande apertura agli operai e alla questione sociale.
De Mérode, ministro dell’esercito pontificio, allontanato perché inviso alla Francia, diventa il primo palazzinaro di Roma: nei pressi delle Terme di Diocleziano ottiene di far sorgere la stazione Termini, acquista Villa Strozzi sui terreni della quale sorgerà il Teatro dell’Opera, si occupa del collegamento tra la stazione e via del Corso.
Nel 1871 il Comune di Roma riconoscerà la convenzione edilizia già stipulata con de Mérode. La grande arteria, attuale via Nazionale, fino a via dei Serpenti sulla sinistra e via della Consulta a destra, si chiamerà inizialmente via de Mérode, così come tutto il quartiere sorto intorno. La sua società comprerà anche Villa Altoviti con le vaste aree circostanti.
Nell’esercito pontificio, al posto di de Mérode, arriva Kanzler che vara una riorganizzazione dei reparti.
Nel 1866 gli ambienti cattolici impongono a Napoleone, che ha ritirato il contingente francese da Roma, la costituzione di un corpo di pseudo-volontari. La madrina dell’iniziativa è l’imperatrice Eugenia, la quale non ha dimenticato che sette anni prima il suo matrimonio ha vacillato per via della contessa di Castiglione, spedita a Parigi dal cugino Cavour con il compito di sedurre l’imperatore e caldeggiare la causa del Regno di Sardegna.
La Castiglione, definita dalla principessa Metternich «una statua di carne».
Una nuova legge di Rattazzi del 1866 sopprime oltre 25mila enti ecclesiastici con vendita all’asta dei beni. Nelle casse del Tesoro arrivano 600 milioni, 100 in più delle entrate annuali.
Rattazzi, sposato con Maria Wyse Bonaparte, figlia di Letizia Bonaparte e perciò cugina dell’imperatore. La donna, più giovane di lui di 25 anni, è molto invitata nei salotti dove gode dell’etichetta di regina di cuori. Rattazzi, perciò, è costretto a prendere lezioni di sciabola per affrontare i diversi duelli cui lo obbliga il fascino della consorte. Attraverso la moglie, che riceve un appannaggio annuo da Napoleone di 30mila lire e potrebbe perorare presso di lui la causa del marito su Roma, Rattazzi spera di oscurare le capacità diplomatiche di Cavour.
La Santa Trinità riadattata a Garibaldi: «Padre della Patria, Figlio del popolo, Spirito della libertà».
Quando un padre gli chiese di battezzare il figlio, Garibaldi: «Ti battezzo in nome di Dio e di Cristo, suo legislatore in terra».
A Palermo considerano Garibaldi parente di santa Rosalia, a Napoli di san Gennaro.
Nel 1869 un’epidemia di colera si abbatte sul Lazio: proviene dalle regioni confinanti ed è favorito dal caldo che supera i 35°. L’epicentro è Albano. Intervengono gli zuavi per liberare la città dai cadaveri. Tanti si loro si ammalano e muoiono: quando il corpo si scioglierà, anni dopo, si conteranno nella sua storia 126 morti e 201 feriti in battaglia, contro 381 morti per cause naturali.
Garibaldi vuole prendere Roma e inizia l’arruolamento, nell’autunno del 1867. Divide i suoi in tre colonne: il figlio Menotti (che si chiama così in onore di Ciro Menotti) dovrà puntare su Passo Corese, Giovanni Acerbi su Viterbo, Giovanni Nicotera, proveniente da sud, su Frosinone. Il reclutamento avviene sotto gli occhi delle autorità che in teoria dovrebbero vietarlo.
L’ambiguo comportamento del governo nei confronti dei garibaldini: a loro vengono concessi permessi e licenze per raggiungere le sedi di reclutamento. Basta indossare una camicia rossa per viaggiare gratis sui treni. Dai magazzini del governo escono i pochi fucili funzionanti e le cartucce.
Tra i volontari garibaldini, il diciannovenne studente d’ingegneria Giovanni Battista Pirelli da Varenna (Como), destinato a creare una delle più importanti dinastie industriali d’Italia.
Garibaldi fugge dalla prigionia di Caprera a bordo di una piccolissima barca, navigando con un solo remo, la barba tinta di nero. Non se ne accorge il comandante della squadra navale di guardia all’isola, il quale invia al ministero il seguente telegramma: «Nulla di nuovo, il generale tiene il broncio in casa».
L’insurrezione a Roma è prevista per il 22 ottobre 1867 ma la pioggia battente, a detta dello storico Gregorovius, trattiene in casa la maggior parte di quelli che dovrebbero scendere in piazza.
A Roma, 230mila abitanti, 50mila sono disoccupati e 30mila accattoni. Invece la borghesia dipende dagli stipendi della burocrazia curiale. La nobiltà è tutta con Pio IX.
Tutte le iniziative della congiura vengono fermate dall’esercito pontificio. Kanzler ha speso 4.000 lire per avere le soffiate.
Dopo la battaglia di Mentana si contano 2.400 garibaldini prigionieri, 150 morti e 240 feriti. Nell’esercito pontificio i morti sono 30 e 107 i feriti. Per i francesi 2 morti e 36 feriti.
Mentana è la prima battaglia di cui esistono fotografie. Sono opera dell’aquilano Antonio D’Alessandri, il quale nel giorno in cui fece gli scatti aveva portato con sé il nipotino di tre anni, che trascorse le ore raccogliendo le pallottole esplose dai fucili.
Falso. Ci sono le foto degli scontri con i francesi a Roma Villa Glori nel 1849. Ci sono anche foto dell’assedio di Gaeta (1860) [nota di gda].
Pio IX andò incontro al vincitore, il generale pontificio Kanzler, declamando la prima ottava della Gerusalemme liberata.
Nell’esercito pontificio, dopo la battaglia di Mentana, ci sono soldati provenienti da ventisette nazioni: Austria (specialmente Tirolo), Brasile, Belgio, Cile, Cina, Canada, Ecuador, Etiopia (Abissinia), Francia, Germania (Prussia, Bavaria, Wurttemberg, Baden, Sassonia), Grecia, Gran Bretagna, Italia, India, Irlanda, Malta, Marocco, Principato di Monaco, Olanda, Portogallo, Polonia, Perù, Russia, Svizzera, Spagna, Stati Uniti, Turchia (Ottomani). In tutto, meno di 15mila unità.
Le dismissioni dei beni ecclesiastici fruttano all’Italia 57 milioni (pari a 260 milioni di euro) nel ’67, 162 milioni nel ’68. L’ultimo lotto dovrebbe essere ceduto alla Società dei Beni Demaniali in cambio di un anticipo da 300 milioni. L’operazione si blocca per lo scandalo che coinvolge il finanziere livornese Bastogi, accusato di tenere a libro paga parlamentari e giornalisti. In proposito, Montanelli: «In Italia non c’era ancora un vero e proprio capitalismo, ma già c’erano gli scandali che accompagnano gli sviluppi capitalistici».
In assenza della formale dichiarazione di guerra, l’11 settembre 1870 la Gazzetta ufficiale annuncia l’ingresso delle truppe regie nelle province romane. Il giorno dopo Kanzler dichiara lo stato d’assedio di Roma. Le forze pontificie, comprese quelle addette alla logistica e ai servizi sanitari, ammontano a 13.624 effettivi. Quasi un quinto di quelle di Cadorna (60mila).
I soldati pontifici sono così suddivisi: 1.863 gendarmi, 1.023 sqadriglieri, 157 genieri, 996 artiglieri, 1.174 cacciatori, 1.691 fanti su due battaglioni, 3.040 zuavi su quattro battaglioni, 1.089 legionari romai, 1.195 carabinieri stranieri, 567 dragoni, 544 sedentari o truppe di guarnigione, 285 servizi ausiliari e sanitari. Provenienza: 3mila francesi, altrettanti italiani, 700 belgi, 900 olandesi, 600 tedeschi, 600 austriaci, 1000 svizzeri, 300 canadesi, un centinaio tra inglesi, russi, irlandesi, spagnoli, portoghesi, americani, 3 turchi, 4 tunisini, 3 siriani, 2 brasiliani, 2 svedesi, un marocchino, un peruviano, un messicano, un neozelandese.
Nel computo delle forze papaline non rientrano i militari di vigilanza urbana: 70 guardie nobili, 400 volontari pontifici, 500 guardie palatine, marinai, finanzieri, poliziotti, le sette compagnie di guardie svizzere.
Dalla lettera di Pio IX a Kanzler: «In quanto alla durata della difesa, sono in dovere di ordinare che questa debba unicamente consistere in una protesta, atta a contrastare la violenza e nulla più, cioè di aprire le trattative della resa ai primi colpi di cannone». Il 21 settembre Pio IX fa ritirare la lettera al cardinale Antonelli e la sostituisce con un’altra in cui la frase «aprire trattative per la resa ai primi colpi di cannone» è modificata con «aprire trattative per la resa appena aperta la breccia». Ciò per evitare guai al generale che, con l’inosservanza alle disposizioni papali, provoca morti e feriti all’armata di Cadorna (inosservanza seguitata anche dopo l’innalzamento della bandiera bianca).
Fra Porta Salaria e Porta Pia tra le 5.15 e le 6.45 i soldati italiani sparano 234 cannonate. Alle 7.20 sono ormai più di 300. Alle 9.30, temendo un’irruzione sanguinosissima, Kanzler completa e firma il verbale di resa. Alle 9.45 un dragone a cavallo comunica al generale de Trousseres, comandante dei pontifici davanti alla breccia, di alzare bandiera bianca. De Trousseres s’impunta: vuole un ordine scritto portato da un ufficiale parigrado. Intanto dalla breccia irrompono i bersaglieri. Nella battaglia, nessuno nota il capitano François de France che giunge al galoppo sventolando un drappo bianco.
Nonostante il Papa faccia sventolare bandiera bianca sulla cupola di San Pietro, Bixio giura di non vederlo e prosegue nei suoi assalti.
Alle 10.30 la tregua è in atto ovunque. Perdite complessive: 49 morti e 141 feriti tra gli italiani; 19 morti (di cui 13 stranieri) e 68 feriti tra i papalini.
Gli ex soldati papalini, dopo la firma della pace, rifiutano l’invito a entrare nell’esercito regolare e rimangono fedeli al giuramento a Pio IX.
I legionari rinnovarono ogni 2 giugno il giuramento a Pio IX con un banchetto commemorativo. Ne fu presente un buon numero a Montmartre nel 1910, per il cinquantenario. Menù: Croustade Castelfidardo, Daurade d’Ancone glacées á la Mentana, Coeur de Filet de Boeuf d’Albano, Poulardes du Mans sauce Auvours, Pain de Foie Gras á la Française, Salade de Romaine, Petits Pois au beurre, Bombe Loigny, Gaufrettes Cercottes, Fromages, Four glacés, Fruits déguisés.