Angelo De Mattia, MilanoFinanza 10/12/2015, 10 dicembre 2015
L’INTERVENTO UMANITARIO E LA REAZIONE DI BRUXELLES –
Il ministro Pier Carlo Padoan ha lanciato l’idea secondo cui l’intervento pubblico-privato a favore degli obbligazionisti subordinati delle quattro banche salvate, che siano inquadrabili in fasce deboli, debba essere motivato dal carattere umanitario e non debba avere alcun legame con la procedura di risoluzione. L’intento è quello di evitare che le misure auspicate possano essere considerate dalla Commissione Ue come aiuti di Stato. L’escamotage è interessante: se fosse fondato su informali intese preventive con Bruxelles, meriterebbe di essere sostenuto, alla condizione che l’istituendo Fondo di solidarietà sia rimpolpato rispetto all’ammontare di cui si sta discutendo (100-120 milioni), siano risolti i problemi che sorgono con le altre banche (le quali invece chiedono semmai un intervento in campo fiscale con la previsione di un credito di imposta anziché un loro concorso maggioritario alla costituzione del Fondo) e siano affrontate poi adeguatamente le questioni applicative relative all’individuazione delle fasce beneficiarie della solidarietà. Ma se non sussistesse neppure un iniziale affidamento, allora il rischio è che si ricorra a questa circonlocuzione ottenendo lo stesso risultato di una operazione diretta, che, se si vuole, non menzioni risarcimenti ma faccia riferimento a una misura equitativa che tenga conto di fattori aziendali ed extra-aziendali, ivi inclusa la carenza di una generale informazione ai risparmiatori sul nuovo regime normativo, fondato per ora solo su una comunicazione della Commissione Ue, a proposito delle situazioni di dissesto. Reagirà Bruxelles? A questo punto il governo dovrà dimostrare se su questa storia, ormai stracca e stantia, della dilatazione del divieto di aiuti di Stato intende andare avanti oppure se concordi con la Commissione. Si continua ad affermare che questa non si è mai pronunciata formalmente sull’ipotesi originaria dell’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi nelle quattro banche poi salvate (soluzione che avrebbe prevenuto i problemi coi quali ora ci si confronta), perché, se lo avesse fatto, come ha detto il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, si sarebbe prontamente reagito impugnando questa posizione nelle diverse giurisdizioni. Al di là del fatto che comunque si sarebbe pure potuto tentare di provocare una formale pronuncia della Commissione per poi impugnarla innanzitutto da parte del governo, ora si è nelle condizioni di poter fare scoprire le carte, una volta verificata l’utilità o no del ricorso a una espressione - «carattere umanitario» - ben elevata e inglobante casi ancora più drammatici. L’aggettivo «umanitario» andrebbe maneggiato con molta attenzione e prudenza. Insomma, bisogna trovare il modo per uscire da questo gliommero giuridico, politico, applicativo. Fermarsi a espressioni come «sollievo» non conduce da nessuna parte. Anche il settore bancario deve fare la sua parte per un’operazione che comunque fa appello al sistema, pur non sottacendo l’apporto che finora ha dato al salvataggio in questione, qualora si consolidi l’idea del Fondo di solidarietà, con o senza la condivisione di Bruxelles. La strada alternativa della ricerca della soluzione con la leva della fiscalità non è a priori da escludere, ma non sarebbe scevra di problemi, a cominciare da quelli della parità di condizioni in cui si potrebbero trovare anche altre categorie di potenziali fruitori del credito di imposta; in più, non giova evocare, drammatizzando, l’ipotesi dell’espropriazione che si consumerebbe con una norma di legge che contempli anche il contributo delle banche al predetto Fondo. Se si comincia con le drastiche divergenze nazionali, ancor più si faciliteranno le contestazioni europee. La battaglia non combattuta sul divieto di aiuti di Stato è a monte delle attuali difficoltà. Ancora più indietro è una catena di errori che risale al tronfio governo Monti che non volle chiedere gli aiuti europei per ricapitalizzare le banche, alla comunicazione della Commissione Ue del 2013 da cui si fa discendere la partecipazione alle perdite di azionisti e obbligazionisti, nonché all’approvazione della direttiva sulla risoluzione che contrasta frontalmente con l’articolo 47 della Costituzione. Poi, ovviamente, vi sono le condotte di mala gestio degli esponenti delle banche arrivate al dissesto. Infine, sarebbe da verificare come si siano svolti i rapporti, nei singoli casi, con i risparmiatori, quando sono stati sollecitati a sottoscrivere obbligazioni subordinate o azioni. A fronte di questo quadro complessivo straordinario si può pensare di non intervenire, di non fare nulla, trincerandosi dietro il brocardo caveat emptor? Questo non significherebbe la necessità di una profonda revisione dell’ordinamento bancario e del ruolo degli organi di controllo? Le questioni, dunque, sono ben superiori alle acrobazie linguistiche per ottenere il gradimento di una Commissione Ue che ormai è sulla strada del più cieco burocratismo. In ogni caso è bene avere presente che la situazione determinatasi è tale da non escludere affatto, da parte dei risparmiatori, l’impianto di vertenze individuali e collettive, che potrebbero essere forse, per una parte almeno, evitate da una misura solidaristica ed equitativa. Esse potrebbero avere come bersaglio anche le «nuove banche». Come si vede, l’inerzia del governo nel primo anello della catena moltiplica, con i passaggi successivi, le conseguenze negative.