Paolo Siepi, ItaliaOggi 8/12/2015, 8 dicembre 2015
PERISCOPIO
Quello di Vecchioni che chiama la Sicilia isola di merda è un atto d’amore. Tecnicamente, si tratta di coprofilia. E si cura. Gianni Macheda.
È stato definitivamente deciso di eliminare il personale superfluo alla Camera dei deputati. Pertanto, saranno posti in cassa integrazione otto uscieri, quattro commessi e centoventisette onorevoli. Amurri e Verde, News. Mondadori, 1984.
Ma la Resistenza, da Firenze in giù, l’hanno sentita solo raccontare, non l’hanno vissuta. Non è la storia di tutta la Nazione. Maurizio Maggiani, scrittore (Vittorio Zincone). Sette.
In quel canale su cui mi affaccio, gettarono i corpi di Rosa Luxemburg e di Kark Kiebknecht, uccisi dagli ufficiali della divisione di Cavalleria della Guardia. La storia è la lotta del giusto contro il giusto, lo disse Hegel. Un proletario, il soldato Otto Runger, spaccò la testa a Liebknecht con il calcio del fucile, ufficiali con i grandi nomi dell’aristocrazia prussiana lo finirono a fucilate. Poi toccò alla Luxemburg. Mighelina, zoppa, non bella. Ma sotto l’apparenza fragile, l’intelligenza di un secondo Marx. Li gettarono in questo canale, le cui acque scorrono uguali. Piero Buscaroli, Paesaggio con rovine. Camunia, 1989.
L’ufficiale inglese non sollevò nemmeno gli occhi su di me. Sedeva a una scrivania e io, in piedi, gli stavo di fronte. Sfogliò il passaporto che gli avevo consegnato, trovò il visto che permetteva il mio transito da Hong Kong, mise un timbro e ci fece sopra uno svolazzo di firma. Non si interessò d’altro, non mi chiese se avevo il permesso di entrare in Cina perché, evidentemente a lui bastava sapere che potevo uscire dal territorio di Hong Kong; il resto era un affare mio personale. Sempre senza alzare gli occhi su di me, respinse il passaporto, facendolo scivolare sul tavolo. Enrico Emanuelli, La Cina è vicina. Mondadori, 1964.
Leoncillo aveva una ragazza olandese venuta a Roma a fare il cinema. Venivano da tutti i paesi e Roma appariva come la «Hollywood dei poveri», gli «studios» erano la strada, e i costumi di scena si comperavano a Porta Portese. Gli attori di successo giravano in auto lunghe e scoperte e sul set erano costretti dall’esigenza dei copioni neorealisti a coprirsi di stracci, a fingere la protesta e l’indigenza. Ugo Pirro, Osteria dei pittori. Sellerio, 1994.
Grandi, quando parla di Mussolini, comincia sempre con accenti acri, e finisce con parole di affetto. In fondo, nutre verso di lui un complesso di colpa perché lo ha sempre tradito, anche prima del 25 luglio. Ma credo che il suo ritratto di Mussolini sia sostanzialmente giusto: un ingorante pieno di intuito, un timido che diventava imperioso davanti ai più timidi di lui, un codardo nel pericolo che si trasformava in leone nella vittoria; un vitellone di provincia romagnola che concepiva l’amore solo comussolinme «possesso», a esaltazione della propria virilità, un «cavalier Mostardo». La pagò con la Petacci che, secondo Grandi, lo rincombellì con la sua voracità di amante realmente innamorata. Indro Montanelli, I conti con me stesso. Rizzoli, 2009.
Facevo teatro da quando avevo 6 anni ma mio padre era contrario a questa attività: essendo avvocato, voleva che continuassi la sua opera. Così avevo stabilito con lui un accordo: io mi laureo con il massimo dei voti in Giurisprudenza, poi però mi consenti di tentare la strada dello spettacolo». Quel giorno, in stazione, i suoi genitori piangevano «ma io ero convinto che sarei tornato presto: a Roma non conoscevo nessuno. Sono andato davanti ai cancelli della Rai da mendicante». Il primo provino, una settimana dopo. Alla domanda ««Per quale categoria?», ho risposto: tutte. Presentatore, cantante, pianista e imitatore». Promosso. Pippo Baudo (Chiara Maffioletti). Corsera.
Scomparsa la sua Mora diletta, Giovanni parve accartocciarsi, ripiegarsi su se stesso. Le sopravvisse di qualche anno, ma alla maniera di un’ombra, un automa senza vita propria: rifiutava di uscire di casa, non incontrava più amici, aveva perso addirittura l’orgoglio del vestire, la cura elementare della persona. Trascorreva in poltrona giornate grigie, tutte uguali, ora leggendo, ora ascoltando musiche della pianola; oppure con gli occhi immersi nel vuoto, in qualche ossessiva memoria del passato. Nantas Salvalaggio, Rio dei pensieri. Mondadori, 1980.
Dovrebbe esserci qualche anima caritatevole che passi con l’aspirapolvere sulle nostre storie e tolga errori, banalità, pretese insensate. Ma non c’è. Tutto resta: le cartacce e la polvere. Per questo non amo mai parlare del meglio e del peggio. Sono valori relativi. E ancora mi vedo con quel fratello ingombrante al quale resistere e non chiedere nulla. Far di tutto per tenere separate le nostre esistenze artistiche. Lucia Poli, attrice (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Amarcord, sì. Mi ricordo che di Federico Fellini ne ho conosciuti almeno due, ma ce ne saranno stati tre, quattro, o forse centomila come scrive Pirandello, perché quell’uomo sapeva farsi adolescente e adulto, serio e buffone, abbassandosi o innalzandosi a seconda di chi si trovava davanti. Mi ricordo un Fellini generoso e paterno, che mi chiamava Brunaccio o Brunin e che per tutta la durata delle riprese mi trattò come un figlio discolo, e un Fellini affetto da egolatria, dedito solo a se stesso e al suo lavoro, a tratti disumano. Bruno Zanin, il Titta di Amarcord di Federico Fellini (Stefano Lorenzetto). Panorama.
Alla fine il cadavere è stato ritrovato. Era rimasto in barella in un ascensore fermo tra due piani e questa, mi ha detto un infermiere, è una situazione normalissima, qui da noi in ospedale: la gente in ascensore butta di tutto, pacchetti vuoti di sigarette, assorbenti igienici, scatole di biscotti, ciabatte e tutta quella roba va poi a infilarsi dove non dovrebbe, bloccando la cabina. «Abbiamo messo cartelli su cartelli, ma non servono a niente». Sono arrivati i tecnici, hanno cominciato a andare su e giù per le scale tra le urla delle partorienti al primo piano e i rantoli degli agonizzanti al terzo. Sebastiano Vassalli, L’oro del mondo. Einaudi, 1987.
L’uomo, agli occhi della donna, ha innanzitutto un dovere: rinunciare per lei ai propri diritti. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 8/12/2015