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 2015  dicembre 07 Lunedì calendario

PAPERONI D’ITALIA, 2015 D’ORO: PRIMO DEL VECCHIO

Altro che Natale a casa Cupiello. La festa più felice e più ricca, quest’anno, è quella che si terrà senza troppe cerimonie a Piazza Affari. Il listino milanese, una volta la Cenerentola d’Europa, ha vissuto un 2015 da incorniciare. L’indice Mibtel (+14%) ha fatto meglio di quasi tutti i rivali continentali. E i Paperoni del mercato troveranno sotto l’albero regali da sogno: nel pacco di Leonardo Del Vecchio ci saranno la bellezza di 6 miliardi nuovi di zecca, grazie al balzo del 40% del titolo Luxottica che ha fatto lievitare il valore della sua partecipazione da 14 a 20 miliardi di euro. Lo champagne è in fresco anche ad Arcore: le azioni Mediaset, Mediolanum, Mondandori e Mediobanca – il tesoretto di casa Fininvest – hanno tutte davanti il segno più. E, fatti i conti, l’ex Cavaliere e i figli festeggeranno il 25 dicembre un patrimonio lievitato magicamente di 800 milioni. Persino Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan possono preparare i fuochi d’artificio. La crescita del Pil, magari, non sarà scintillante come speravano. Il debito dello stato e la disoccupazione faticano a mettere la retromarcia. A consolarli, però, ci ha pensato Piazza Affari: le partecipazioni azionarie dello Stato, di gran lunga il primo investitore sul listino con un patrimonio in titoli da 52 miliardi, non hanno tradito. E malgrado l’annata così così dell’Eni, messa sotto pressione dal crollo del barile, porteranno in dote al Tesoro a Natale un guadagno (ovviamente virtuale) di 5 miliardi.
LA CLASSIFICA
LA FORESTA PIETRIFICATA. La foto di gruppo dei super-ricchi del listino milanese, malgrado questo 2015 da ricordare, è il ritratto di un’Italia Spa che cresce comunque al rallentatore ed è sempre uguale a se stessa. Wall Street, in dieci anni, ha cambiato pelle. E solo tre grandi gruppi (General Electric, Exxon e Microsoft) sono rimasti nella Top ten per capitalizzazione dal 2006 ad oggi. La hit parade dei Paperoni 2015 d’Italia è invece quasi una fotocopia di quella di allora. Cambia qualche posizione, svanisce qualche meteora come Romain Zaleski (aveva 4 miliardi in azioni nel 2006, oggi è sparito dai radar del listino), si affaccia nell’Olimpo qualche bel nome della moda sedotto dalla quotazione. In cima alla classifica però resistono sempre i soliti noti. Il gradino più alto del podio spetta, per distacco, a Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica. Il primo dei super-ricchi d’Italia a polverizzare il muro dei 20 miliardi di euro di patrimonio. Un balzo da record visto che nel 2006 aveva un conto in banca di 8,2 miliardi. Il 2015, per lui, sarà un anno da ricordare: i sei miliardi guadagnati grazie alla corsa dei titoli dell’azienda di occhiali e del suo 2% in Generali (che da solo vale pur sempre più di 500 milioni) hanno gonfiato di 6 miliardi il suo portafoglio a Piazza Affari. La ciliegina sulla torta poi (piove sempre sul bagnato) è il rimbalzo della sua partecipazione nell’immobiliare francese Credit Foncière – valore 1,4 miliardi – che gli ha garantito qualche altro centinaio di milioni di guadagno.
LE GRANDI FAMIGLIE. Dietro Del Vecchio è in coda la carica delle vecchie famiglie, rinnovatesi obtorto collo dopo la fine dei salotti buoni. Sul podio ci sono i Rocca, unici tra i big con un segno meno davanti al patrimonio, penalizzati dalle difficoltà dell’acciaio, e i Benetton. Dietro di loro con più di 5 miliardi in cassa tornano gli Agnelli, artefici nell’ultimo decennio di una rimonta strepitosa. Nel 2006, con la Fiat in piena crisi, gli eredi dell’avvocato arrancavano in 20esima posizione con un patrimonio appena superiore al miliardo. La stessa cifra, euro più euro meno, che hanno guadagnato solo negli ultimi dodici mesi. Alle loro spalle insegue Silvio Berlusconi, forte dell’ottima performance di tutti i suoi titoli, malgrado la spada di Damocle della Banca d’Italia che vuole costringerlo a vendere il 20% di Mediolanum.
LE NUOVE DINASTIE. Alle spalle della nobiltà imprenditoriale tricolore inseguono le dinastie rampanti. Meno abituate magari al gossip dei rotocalchi e ai titoli di giornale ma forti lo stesso di tesoretti da brividi. La moda (uno dei settori emergenti a Piazza Affari) è rappresentata dai Ferragamo. Dietro di loro i Garavoglia che grazie al boom della Campari si sono messi in tasca un miliardo, poco meno dell’1,1 aggiunto al suo 740 da Giovanni Recordati, padrone dell’omonima azienda farmaceutica che ha quasi raddoppiato il suo valore sul listino. Tiene alle loro spalle (malgrado la scoppola su Rcs) Diego Della Valle. Testa a testa con un’altra vecchia gloria della classifica e del capitalismo di relazione italiano come Francesco Gaetano Caltagirone. Incalzati a loro volta da una fitta pattuglia di neo miliardari emergenti. I Salini, reduci dalla fusione delle loro attività nelle costruzioni con l’Impregilo; Remo Ruffini, che esordisce con il botto nella graduatoria grazie al collocamento e alla corsa dei titoli Moncler. Appena sotto l’asticella dei sei zeri le vere novità: i "padroni" come Anna Maria Formiggini (Amplifon), i Volta (Datalogic), Rizzante (Reply) arrivati sulla soglia della top ten grazie al boom delle loro aziende nel 2015.
IL PRESIDIO DELLO STATO. Le ottime performance di Del Vecchio & C. non bastano però a cancellare la grande anomalia della Borsa italiana: il primo azionista del tempio del capitalismo privato nazionale è, nemmeno troppo a sorpresa, lo Stato. Tra municipalizzate e aziende a partecipazione pubblica, il gruzzoletto di titoli in mano a Tesoro, enti locali o Cdp viaggia oltre i 50 miliardi, più del doppio della ricchezza del patron di Luxottica. Il valore di questo patrimonio si è gonfiato negli ultimi dodici mesi di cinque miliardi. Uno l’ha garantito l’Eni, 900 milioni sono i guadagni della quota pubblica in Finmeccanica, 800 milioni (per Milano e Brescia) di A2A, 550 preziosissimi milioni è la rivalutazione della partecipazione del Comune di Roma in Acea. La vera zavorra per quest’anno è stata l’Eni. Il cane a sei zampe ha pagato un prezzo salato alla crisi del greggio. Le quotazioni sono rimaste così al palo e San Donato, di solito la gallina dalle uova d’oro per le casse del Tesoro, ha regalato a Padoan un guadagno virtuale di 500 milioni. Noccioline rispetto ai balzi miliardari degli anni passati, ma un potenziale trampolino di lancio se i capricci dell’Opec faranno girare il vento della quotazione del petrolio.
ITALIANI ALL’ESTERO. La classifica di Piazza Affari non racconta tutta la verità sui Paperoni di Borsa tricolori. Non tutti gli imprenditori di casa nostra, infatti, hanno parcheggiato il loro business sul listino milanese. Il 75% di Prada in portafoglio a Miuccia e Patrizio Bertelli vale al mercato valori di Hong Kong oltre 6 miliardi di euro. La stessa cifra vale il 6,8% di Stefano Pessina nel capitale del colosso farmaceutico Usa Wallgreen Boots. La partecipazione di Francesco Micheli in Intercept, una biotech a stelle e strisce, è crollata (si fa per dire) quest’anno a un miliardo mentre le famiglie Boroli-Drago grazie alla spagnola Antena 3 (tv spagnole) e alla Igt (giochi negli Usa) hanno in portafoglio un tesoro oltrefrontiera di 2 miliardi.
di Ettore Livini, Affari&Finanza – la Repubblica 7/12/2015