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 2015  dicembre 06 Domenica calendario

IL TESORO DEL PRIMO GIUBILEO


Il particolare più sorprendente è il filo: di seta, sottilissimo, ricoperto con lamine d’oro avvolte a spirale. Con questo filo è stato ricamato il piviale con cui Bonifacio VIII il 22 febbraio 1300 avrebbe indetto il primo Giubileo. Un ricamo fittissimo, quasi un secondo tessuto che ricopre interamente la tela di fondo, in lino a trama spinata. In mezzo ai punti in oro, fili di seta colorati disegnano scene della vita di Cristo e dei santi, attraversate da una processione di angeli musicanti. Al centro, la Natività affiancata dall’Annunciazione e dalla visita dei Magi. Sopra, la Crocefissione e più in alto l’incoronazione della Vergine. Sotto, la Resurrezione. Tutt’intorno l’Ultima cena e la cena in Emmaus, il tradimento di Giuda e il processo davanti a Pilato, i quattro evangelisti e san Sebastiano trafitto dalle frecce, santa Caterina e santo Stefano, gli apostoli e san Bartolomeo, l’incredulo san Tommaso che affonda le dita nelle ferite del divino costato. E ancora, ancora. Un’infinità di personaggi che affollano il semicerchio di quasi tre metri di diametro, ritratti con punti minuscoli che simulano dipinti in miniatura, rivestiti di azzurri e verdi delicati come acquerelli, con l’incarnato roseo e i capelli per lo più biondi, se si eccettua la chioma di Giuda, ricamata a trecce bicolori gialle e verdi.
Il piviale era chiuso da secoli dentro un armadio nella sacrestia della basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. Lo ha riscoperto Sandro Barbagallo, storico dell’arte dei Musei Vaticani, incaricato di riallestire e dirigere il Museo del Tesoro lateranense, che verrà inaugurato domenica 13 dicembre dal Papa in occasione dell’apertura della Porta Santa, una delle quattro del Giubileo.
In una delle quindici nuove vetrine, progettate per ospitare reliquari rinascimentali e immense croci processionali in oro massiccio, si potrà ammirare anche il piviale. Il fotografo de «la Lettura» ha potuto ritrarlo nei giorni scorsi, quando era disteso sul tavolo della sacrestia sotto le mani di Viola Ceppetelli, Chiara Pavan, Emanuela Pignataro, le restauratrici dei laboratori vaticani che hanno liberato i ricami dalla polvere accumulata. Con una lente d’ingrandimento e una luce a led si sono potuti osservare i fili avvolti nell’oro e i capelli disegnati con l’ago uno per uno. «Che il piviale appartenesse a
Bonifacio è testimoniato dai documenti conservati negli archivi della basilica», dice Barbagallo. «Tra i paramenti sacri appartenuti a Papa Caetani e ancora esistenti in altri musei, come quelli che il Pontefice donò personalmente alla Cattedrale di Anagni sua città di origine, questo è di gran lunga il più prezioso. E quindi il più adatto a essere indossato in una cerimonia solenne come la proclamazione di un Giubileo che doveva accreditare presso i fedeli arrivati da tutta Europa l’immagine di una Ecclesia triumphans».
La preziosità del manufatto è confermata da un altro particolare: si tratta di un tessuto ricamato a opus anglicanum, realizzato nei laboratori londinesi, i più raffinati nella seconda metà del Duecento. Un cronista dell’epoca, il monaco benedettino Matthew Paris, racconta nella sua Chronica Majora come i ricami in opus anglicanum avessero destato la concupiscenza dei papi già a partire da Innocenzo IV, che ne ordinò in gran quantità agli abati cistercensi inglesi. Bonifacio, quando era ancora giovane e si chiamava Benedetto Caetani, aveva accompagnato in Inghilterra il cardinal legato Ottobono Fieschi, futuro Adriano V. In seguito avrebbe ricordato quei giorni, compreso l’assedio nella Torre di Londra e la liberazione da parte del futuro Edoardo I. Quando nel 1295 fu eletto Papa, continuò a promuovere la straordinaria cultura internazionale della curia romana e il rinnovamento della città, che con le basiliche alternate ai monumenti antichi si preparava a vivere uno dei momenti più affascinanti della sua storia.
Gli inventari del tesoro della Santa Sede, redatti al tempo di Bonifacio e pubblicati alla fine dell’Ottocento da Émile Molinier, elencano per centinaia di voci oggetti di straordinario valore e di raffinatissima fattura che rivelano come la Curia di Roma avesse già consolidato quello stile di vita che poi avrebbe caratterizzato le fastose corti dell’autunno del Medioevo.
Con il piviale ricamato a Londra, dunque, Bonifacio si presentò a un’immensa folla riunita nella piazza davanti a San Pietro. Da almeno due mesi, masse di fedeli giunti da ogni parte d’Europa peregrinavano tra le chiese della città chiedendo la remissione dei peccati in virtù dell’anno secolare. La cronaca di quel giorno di febbraio ci è stata tramandata da Jacopo Stefaneschi, il cardinale che avrebbe poi commissionato a Giotto il celebre polittico che porta il suo nome: l’ambone della chiesa era stato velato con drappi di seta damascata d’oro; il Pontefice, accompagnato dai cardinali, tenne un discorso ai fedeli; la bolla con l’indizione del Giubileo, con sigillo appeso a fili di seta, venne letta e mostrata alla folla. Una scena che per secoli si è creduto di riconoscere nel frammento di un affresco di Giotto, oggi murato sul terzo pilastro della navata centrale di San Giovanni in Laterano. Per tradizione è considerato la prima opera del pittore fiorentino a Roma. Proviene dalla loggia delle Benedizioni, fatta costruire da Bonifacio sul fianco settentrionale della basilica. Mostra il Pontefice affiancato da due ecclesiastici in un loggiato: sulla sinistra il chierico che svolge un cartiglio, sulla destra un personaggio barbuto. La scritta sotto l’affresco informa: «Bonifacio VIII indice il Giubileo del 1300».
Ma il piviale indossato dal Pontefice è rosso porpora, non ricamato con fili d’oro. «In realtà la lettura dell’affresco come celebrazione del Giubileo è stata abbandonata da tempo da gran parte della critica e si è proposto invece di riconoscervi la rappresentazione della presa di possesso del Laterano da parte di Bonifacio VIII, avvenuta il 23 gennaio 1295», spiega Barbagallo. L’ipotesi più recente è di Chiara Frugoni, che parte dalla scritta del cartiglio: «Bonifacius episcopus servus servorum Dei ad perpetuam memoriam». Parole diverse da quelle della prima bolla giubilare, Antiquorum habet, che Bonifacio avrebbe letto «rivestito di una pianeta di seta dorata». Subito dopo però il Papa si affrettò a scrivere un’altra bolla, che escludeva dai benefici giubilari il re Federico d’Aragona, i siciliani e gli odiati Colonna: tutti nemici della Chiesa per motivi politici. Questa seconda bolla, Nuper per alias era introdotta dalle parole «Ad perpetuam rei memoriam».
lcolonnelli@corriere.it