Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 06 Domenica calendario

ADDIO SECHI, IL CONSIGLIERE CHE FU SCELTO DA 4 PRESIDENTI

Tra le «teste d’uovo» cooptate finora in quella che è forse la più alta nomenklatura della Repubblica, Salvatore Sechi, scomparso ieri a Roma a 78 anni, è stato l’unico al quale ben quattro capi dello Stato abbiano affidato la responsabilità dell’ufficio Affari giuridici e Relazioni costituzionali del Quirinale. Nel suo caso, insomma, Cossiga, Scalfaro, Ciampi e Napolitano decisero di non applicare quei criteri dello spoil system che a ogni inizio di settennato si riattiva, quando c’è da rinnovare la squadra dei consiglieri – una dozzina di persone al massimo – destinata ad affiancare il presidente. Questione di capacità tecniche, in primo luogo, visto che Sechi aveva una profonda esperienza del processo di formazione delle leggi, maturata nell’amministrazione del Senato, dove aveva retto la segreteria dell’Assemblea. Ma questione anche di stile umano, perché un civil servant così discreto, garbato, antiemotivo e colto (ad esempio in campo musicale e letterario) è davvero difficile trovarlo, all’interno delle nostre istituzioni. Nato a Tempio Pausania e fino all’ultimo legatissimo alla sua Sardegna, Sechi era il supervisore di un settore delicatissimo e poco conosciuto del Colle. Tra le sue mani, e quelle del segretario generale, passava una media di almeno diecimila atti all’anno, di varia natura, da verificare e sottoporre alla firma del presidente. Alcuni di essi molto delicati e politicamente sensibili, come fu per l’istituto dell’arbitrato normato dal «collegato lavoro» del governo Berlusconi IV (solo per citarne uno, nel quale aveva subito individuato alcune anomalie), per il quale il capo dello Stato decise un controverso rinvio alle Camere. Uomo che sapeva alternare alle rigidità del protocollo qualche spunto ironico, Sechi, per evitare i disagi dell’omonimia con uno storico e politologo bolognese un tempo sotto i riflettori, aveva fatto persino una pubblica petizione, scherzosa quanto inutile, perché uno dei due cedesse, cambiando nome.