Notizie tratte da: Luigi Salvatorelli, La pazienza nella storia, Aragno editore, Torino, pagg. 268, € 15,00, 6 dicembre 2015
LIBRO IN GOCCE NUMERO 67
(La pazienza nella storia)
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COSÌ SI GELÒ D’AZEGLIO –
San Benedetto. All’indomani dell’entrata di Totila in Roma (anno 546), a chi gli riferì la presunta intenzione del re goto di distruggerla, San Benedetto avrebbe risposto: «Roma non sarà sterminata dai barbari: tempeste, fulmini e terremoto la sconquasseranno, e cadrà da se stessa in putrefazione».
D’Azeglio. Massimo D’Azeglio, solito firmarsi solo Azeglio, che ne I miei ricordi scrisse dell’abbraccio con Carlo Alberto «quest’abbraccio aveva però in sé qualche cosa di studiato, di freddo, direi di funebre, che mi gelò; e la voce interna, quel terribile “non ti fidare” mi risorse dal cuore. Tremenda condanna degli astuti di professione, esser sospetti anche dicendo il vero. E l’avevi detto, povero signore; il fatto lo ha dimostrato».
Carlo Alberto. Carlo Alberto, «re per tant’anni bestemmiato e pianto», secondo Salvatorelli «una figura problematica», che non uscì dalla «crisi romantica» che gli ultimi giorni del suo regno. Il re credeva nelle gerarchie medievali, nel paternalismo assolutistico, nel diritto divino dei re, e tuttavia tendeva ostinatamente le braccia verso sinistra, l’ideale del Ventuno, l’indipendenza d’Italia. Carlo Alberto aspettò tutta la vita una «situazione “guelfa” (il termine è stato usato da lui stesso), una occasione, cioè, in cui si potesse combattere contro l’Austria, per l’Italia, in nome della religione: questo era l’astro atteso da Carlo Alberto».
Vittorio Emanuele. «In questo centenario non solo dell’unità italiana, ma di Roma acclamata capitale, non si può meglio chiudere la rievocazione del primo re d’Italia, se non ripetendo le parole dette da lui alla deputazione romana che gli presentava il plebiscito del 2 ottobre: “L’ardua impresa è compiuta, e la patria ricostituita. Il nome di Roma, il più grande che suoni sulle bocche degli uomini, si ricongiunge oggi a quello d’Italia, il nome più caro al mio cuore”» (A Vittorio Emanuele, 15 gennaio 1961).
Mazzini. «L’ultima parola sul senso dell’opera mazziniana ce l’ha detta egli stesso, al momento della morte, rispondendo al medico che si meravigliava di come il signor George Brown (sotto questo nome inglese il Mazzini viveva clandestino a Pisa) parlasse così bene italiano: “Ma io sono italiano, amai infinitamente la mia patria, e credo di avere operato qualche cosa per lei”».
Cavour. «Con uno scorcio semplificatore, ma non arbitrario, potremmo rappresentare la formazione del Regno d’Italia come il risultato di tre grandi occasioni colte da Cavour a volo, e sfruttate fino all’inverosimile: la guerra di Crimea e il congresso di Parigi; la guerra di Lombardia e la rivoluzione dell’Italia centrale; la spedizione dei Mille e quella delle Marche e dell’Umbria. Nessuna delle tre occasioni scaturirono (né potevano) da una iniziativa di Cavour; ma in tutte tre egli seppe collocarsi in posizione politicamente centrale, e condurre a effetto il programma politico italiano».
Giorgio Dell’Arti, Domenicale – Il Sole 24 Ore 6/12/2015