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 2015  dicembre 02 Mercoledì calendario

INTERVISTA A PEPPINO DI CAPRI

Milano, dicembre
«Quando battevano il ciak dimenticavo le battute. Certe figure... Ma mi sono divertito come un matto a fare l’attore».
Peppino di Capri è un uomo da 35 milioni di dischi, eppure si racconta con l’ironia e la modestia del signor qualunque. 76 anni di cui 57 di carriera e ancora non ha esaurito il desiderio di gettarsi a capofitto in nuove avventure: quella del cinema, per esempio. Dal 16 dicembre, infatti, lo vedremo sul grande schermo, protagonista della commedia Natale col Boss, con Lillo & Greg, Paolo Ruffini e Francesco Mandelli. Un film che si chiude con una chicca: Di Capri che duetta con il rapper Gue Pequeno in un omaggio rappato alla celebre Champagne.

Dalle languide parole dei suoi brani, alle pistole: fa ridere pensarla nei panni del boss mafioso...
«Per questo hanno chiamato me! Oddio, chiamato... Non è che ho potuto scegliere. De Laurentiis mi ha convocato in un albergo mezz’ora prima che iniziasse a giocare il Napoli e quindi andava di fretta. Era tutto calcolato per non darmi il tempo di riflettere: “Peppino, voglio girare questo film e tu saresti perfetto per fare il boss. Ti va? Firma qui”, e mi ha messo sotto al naso un contratto scritto così piccolo che neanche con gli occhiali riuscivo a leggerlo. Io ho balbettato qualcosa e lui: “Ma come, siamo amici, tua moglie mi fa i paccheri e tu vuoi pure leggere il contratto? Firma e basta. La cifra tua la prendono i migliori attori di Hollywood”. Lo sapete, lui è uno che ha il braccino corto sui compensi... ma mi sono arreso e ho preso la penna. Non avevo nemmeno letto il copione».

Com’è andata sul set?
«Quest’estate, per un mese, ho avuto un coach che mi ha aiutato a memorizzare il copione, ma non avevo calcolato che quando giri il film parli mentre ti muovi. E così io mi concentravo sull’azione e scordavo la battuta. Poi sono pure caduto. Un volo pazzesco. Però è stato bello: dopo ogni ciak il regista, De Biasi, mi faceva i complimenti perché me la cavavo bene».

Ci racconta il suo personaggio?
«Faccio due parti: me stesso e il boss a cui vengono date le mie sembianze per errore. Il mafioso si rivolge a due chirurghi plastici perché gli rifacciano il viso uguale a quello di Leonardo DiCaprio. Loro, invece, capiscono Di Capri e lui si risveglia con la mia faccia».

E a lei piacerebbe svegliarsi ed essere DiCaprio?
«Ci ho sperato per tutto il film. Chi non vorrebbe avere la sua bellezza, la sua fama, la sua ricchezza e la sua età?».

Lei ha già queste cose. È solo l’età che può invidiargli.
«Io non sono mai stato un bellone. E non ho la sua fama e la sua ricchezza. Ecco, se ho un rimpianto è quello di non aver mai scelto un manager internazionale che mi aiutasse a costruire una carriera fuori dall’Italia».

In Brasile impazziscono per lei.
«È vero. E anche in Turchia».

Le sue canzoni più celebri, Roberta e Champagne, hanno fatto innamorare milioni di coppie. Ma quante donne si sono innamorate di Peppino Di Capri? Lei ripete che è stato “un latin lover sfigato” perché ha sempre pensato solo al lavoro. Ma è difficile crederle.
«Ha ragione, era un vezzo dichiararmi “sfigato”. Ho lavorato moltissimo ma non sono mai stato indifferente al fremito di uno sguardo particolare. Essere desiderato ti dà la carica. Non sono stato un santo. Ma ci tengo molto alla mia famiglia anche perché senza mia moglie Giuliana non sarei quello che sono».

A proposito di boss: lei vive a Napoli e Capri. Le è mai stato chiesto di cantare in privato per un boss?
«A me no, magari è capitato al mio impresario. È gente che ti chiede un concerto privato e poi, anni dopo, scopri chi era. A New York, invece, mi capitò una cosa pazzesca. Negli Anni 70 ero in tournée con la mia band e un agente italo-americano ci disse che avevamo ricevuto un invito che non potevamo rifiutare. Andammo in questa casa a pranzo, a Long Island, e quando entrai rimasi basito da un tizio che si faceva mordere il braccio da un cane. Quando uscimmo di lì, tutti chiedemmo a questo Jimmy: “Ma da chi ci hai portato?”. E lui: “Ma come, non lo sapete? È John Gambino”. Io per poco svengo»
Lei e Mina, nel 1958, a Ischia eravate “dirimpettai” e rivali. Lei cantava nel night O’ grangio fellone, e Mina, che si faceva chiamare Baby Gate, al Moresco.
«Che estate pazzesca. Eravamo l’attrazione dell’isola. I locali in cui cantavamo erano a 50 metri uno dall’altra, ci contendevamo il pubblico. Alle 3 di notte, il primo che finiva andava ad aspettare l’altro. Salivamo sulla mia Lambretta color salmone e andavamo a svegliare un ristoratore per farci cucinare qualcosa. Peccato, non l’ho più sentita».

A proposito dei tempi d’oro: lei lanciò la moda della giacca di lamé.
«Ne ho ancora tre nell’armadio. La mia prima moglie, Roberta, mi fece fare la prima e quando la indossai scoppiò la mania. Una volta fece arrivare dalla Cina del lamé stampato con alberi e uccelli: era la mia giacca preferita; una sera la lasciai su una sedia e, mentre firmavo autografi, me la rubarono».

Lei apriva i concerti dei Beatles. E viaggiava in aereo con loro.
«Sono riuscito a farmi fare un autografo l’ultima sera del tour. In aereo, stavamo davanti, loro dietro a dormire. A metà, un body guard: oltre lui non si passava».

Poi arrivarono gli anni bui: la fine delle nozze con Roberta e la fine del successo. Lei si ritrovò con 160 milioni di debiti di gioco.
«Eh, anche qualche cosina di più. Quando Roberta mi lasciò, mi crollò il mondo addosso e iniziò un periodo di crisi professionale: i fan mi voltarono le spalle. La mia musica sottovoce sembrava non piacere più».

Da dove ricominciò?
«Per i debiti mi aiutarono i parenti. E con gli ultimi soldi, circa 200 mila lire, fondai la mia casa discografica, la Splash. Decisi di riprovare, col mio stile. Vinsi il Festival di Napoli del ’70 con il brano Me chiamme amore e tutto ripartì. Nel ’73 e nel ’76 trionfai a Sanremo, con Un grande amore e niente più e e Non lo faccio più. Ma il merito fu di Giuliana: la mia seconda moglie mi aiutò a ritrovare fiducia nella mia poetica».

Ha partecipato a 15 Sanremo. Tornerebbe?
«Conti l’anno scorso mi ha chiesto una canzone ma poi l’ha scartata dicendo che aveva “lo stile Peppino di Capri”. E che stile doveva avere? Tornerei a Sanremo solo come ospite, con un premio alla carriera».