Chiara Mariani, Sette 4/12/2015, 4 dicembre 2015
IL CALENDARIO È MIO E LO GESTISCO IO
Di sicuro non è un calendario. Difficile trascorrere il mese di Novembre in compagnia dell’82enne Yoko Ono, l’artista moglie di John Lennon che nessuno ha mai amato, seduta su un trespolo in posa da pin-up. L’edizione 2016 di The Cal, firmato da Annie Leibovitz, è il ripudio di tante licenze estetiche a cui Anna Lou, come la chiamano in famiglia, si è arresa a partire dagli Anni Ottanta, quando il “glamour” è la parola d’ordine e l’artificio il modo migliore per onorarlo. «La fotografia perfetta è un mondo di cui si finisce col divenire parte», dice. La fotografia perfetta la conduce a passi impercettibili lontano dai reportage realizzati con Tom Wolfe per documentare la vita degli astronauti o l’eccitazione delle campagne elettorali; lontano dai giorni in cui indaga l’affare Watergate con il corrosivo Walter Thomson mettendo la pietra tombale sull’esperienza di Nixon alla Casa Bianca: i soldati di un impeccabile scatto in bianco e nero riavvolgono il tappeto d’onore mentre l’elicottero vola via con il Presidente per l’ultima volta. Era il settembre del 1974 e la rivista Rolling Stone celebra il suo lavoro con un portfolio che non lascia spazio al testo. «Annie traboccava di fantasia, immaginazione, senso del giornalismo», dice Jann Wenner, direttore-fondatore della rivista nonchè mentore della fotografa, «il suo talento andava nutrito e le lasciai carta bianca».
Tra show-biz e fotogiornalismo. I maestri che si sceglie si chiamano Robert Franck e Henri Cartier-Bresson, i padri fondatori di un’arte duttile, dai risvolti sociali evidenti e dalle potenzialità rivoluzionarie. Quando il suo obiettivo si converte al colore sgargiante e all’artefatto cinematografico, per le celebrity finirci davanti diventa un traguardo. La compagna Susan Sontag, una delle intellettuali più rispettate d’America, critica il suo legame con la cultura scialba dello show-biz e la sprona verso un ritorno all’impegno sociale. Mentre la guerra imperversa nell’ex Jugoslavia, Annie Leibovitz nel 1993 si reca con la Sontag a Sarajevo e tra obitori e cecchini mette a segno alcune delle fotografie più eloquenti ed efficaci. In bianco e nero. La sua parabola a colori poi riprende e si arricchisce di ulteriori messe in scena volte a imprimere nel pubblico le immagini degli eroi del nostro tempo. «Mi sono rovinata la vita a cercare un punto d’incontro tra le celebrità e la qualità della fotografia. Credo abbiano vinto loro», confida alla cinepresa della sorella Barbara.
Ritorno all’essenziale. Il bianco e nero asciutto e impietoso ritorna nei momenti che esigono sincerità e rispetto, come quando si ammala il padre, quando si ammala e muore Susan Sontag. Forse si aspettavano qualcosa di diverso i committenti del Calendario Pirelli. In cuor loro lo speravano. Ritorna invece alle sue radici, Annie Leibovitz, in tutti i sensi. Ritorna a Yoko Ono appunto, la cui foto avvinghiata al marito John Lennon nudo, scattato da Leibovitz nel 1980, 5 ore prima che l’ex Beatle fosse assassinato, deve aver creato un legame speciale tra le due. Si rivolge a Patty Smith, la musicista-poeta con cui ha condiviso l’atmosfera eccitante dell’America negli Anni Settanta e la perdita, per droga o Aids, di amici che hanno lasciato una traccia, come Robert Mapplethorpe e Keith Haring. Patty Smith, una donna così vicina al suo sentire da affidarle la prefazione dei ritratti dei giganti del suono raccolti in American Music: «La musica disseminava verità, e nella bocca di persone come Bob Dylan divenne un’arma d’istruzione di massa», scrisse per Annie l’autrice dell’incandescente Because the Night. Interpella Serena Williams, che non teme di offrire al pubblico la sua schiena possente e di esporre le sue gambe carnose senza ritocco. Chiama a sé l’iraniana Shirin Neshat, artista sublime in esilio, che impavida ostenta i segni del tempo. «L’ho fatto per Annie», dicono una a una tutte queste donne che nella vita si sono distinte nella propria professione. Ha posato per Annie la mecenate Agnes Gund, la regista Ava DuVernay (autrice del film Selma), la produttrice cinematografica Kathleen Kennedy, la scrittrice Fran Lebowitz, la businesswoman Mellody Hobson, le attrici Tavi Gevinson, Yao Chen e la poliedrica Amy Schumer. Unica concessione ai codici classici dell’avvenenza la presenza di Natalia Vodianova, che la bellezza ha affrancato dalla miseria e che oggi, modella di successo, non si dimentica dei bambini a cui è stata rubata l’infanzia. Si smarca così dalla tradizione radiosa dei calendari la ruvida, sagace, maestosa Leibovitz, che nella vita non si è fatta mancare nulla: successo, droga, amori e tre figli dopo i 50 anni, di cui una partorita orgogliosamente da lei. «Qui Anna Lou», sembra dire dallo studio spudoratamente scarno, «la più grande ritrattista in circolazione. E faccio ciò che mi pare».