Paolo Siepi, ItaliaOggi 4/12/2015, 4 dicembre 2015
PERISCOPIO
Complimenti a chi ha avuto l’idea del bancomat per pagare il caffè. Ora mi spiega come lascio la mancia al barista? Gianni Macheda.
In un ballottaggio tra Pd e M5s, per chi voterei? Se avessi una pistola puntata, prenderei la scheda e ci scriverei la formazione del Milan di Sacchi: Galli, Tassotti, Maldini, Colombo, Filippo Galli, Baresi, Donadoni, Ancelotti, Van Basten, Gullit, Evani. Matteo Salvini, segretario della Lega. Un giorno da pecora. Rai-Radio 2.
I troppi vizi inguaribili delle classi dirigenti italiane nascono dal trasformismo come forma e modalità della politica, cioè da quel misto di compromesso mediocre e corruzione sonante che elimina ogni differenza di merito (sulle idee, i programmi, le proposte) per concentrarsi esclusivamente sulla gestione dell’esistente a proprio vantaggio e sulla perpetuazione dinastica e corporativa del potere. Anche lo spirito di fazione fiorisce rigoglioso proprio perché il cambio di casacca e l’accordo dietro le quinte consentono sempre di farla franca. Fabrizio Rondolino, L’Italia non esiste. Mondadori, 2011.
Qualcuno s’illude che dopo i bersaglieri di La Marmora e la breccia di Porta Pia, la «questione romana» sia stata risolta, come si legge nei libri di scuola. Ma l’aggrovigliata vertenza è ancora qui, anzi pesa irrimediabilmente su tutti noi, malgrado i due concordati. Come asseriva, per conoscenza profonda di causa, il Tommaseo: «I preti sono più potenti dei prìncipi, il destino d’Italia è in loro mano». Domandate a Prodi e Berlusconi, a D’Alema e Buttiglione, che neanche sono prìncipi. Alberto Ronchey, Fin di secolo in fax minore. Garzanti, 1995.
La fama di «grande tessitore», Mazarino se l’era conquistata nella battaglia di Casale. Era il 1630, l’Italia era divisa tra «Franza e Spagna»; Casale era occupata da una guarnigione francese, e accerchiata dalle forze spagnole. Un’armata, pure di francesi, convergeva dall’esterno in appoggio agli assediati. All’alba della battaglia, i soldati, secondo l’uso, recitarono le preghiere; da Casale partì il cannoneggiamento: le prime, predestinate file degli enfants perdus avanzavano a colpi di moschetto, quando un cavaliere a cavallo comparve, agitando il cappello, e gridando: «Pace, pace!». Era Mazarino, che portava tra i proiettili la notizia che gli spagnoli avevano appena accettato l’ultima versione della bozza d’armistizio; avvisò i francesi sul campo, poi quelli di Casale, poi il comandante spagnolo; a macchie successive ottenne il cessate il fuoco. Tutte le gazzette raccontarono l’impresa dell’inviato del papa. Mazarino era in realtà già legato a Richelieu; gli spagnoli furono scontenti dell’accordo, e in Spagna il conte-duca Olivares diede un consiglio al Nunzio apostolico: «Mazarino, dovete impiccarlo». Daria Galateri. La Repubblica.
Non sarei diventato né marito, né padre, né proiezionista, né tipografo, né giornalista, e non sarei neppure vivo, se qualcuno non avesse posto sulla mia strada la parrocchia di San Giuseppe Fuori le Mura, a Verona, dove al fioretto di un maggio lontano incontrai per la prima volta quella che sarebbe diventata mia moglie. Stefano Lorenzetto. L’Arena.
Venezia è una città demograficamente vecchia e molto politicizzata. Mestre assomiglia al resto d’Italia. C’è molto da pensare, su questa strana città. Maurizio Crippa. Il Foglio.
Di Sapore di mare ho un bellissimo ricordo. Al provino ci arrivai senza nessuna preparazione, nessuna scuola alle spalle, nessun background. Ottenni il ruolo della giovane fidanzata in competizione con una donna adulta e bellissima, Virna Lisi. Isabella Ferrari, attrice (Malcom Pagani). il Fatto.
A Bernalda, il paese di mio nonno Agostino, tra Matera e lo Ionio, ci venni la prima volta nel 1962, fui il primo della famiglia da quando mio nonno l’aveva lasciata, nel 1904, per cercare fortuna in America. Lui non ci tornò mai più, morì cieco nel 1945. Avevo sei anni. Lui amava i suoi nipoti, ci riconosceva toccandoci la faccia con le mani. Avevo sentito tante storie in famiglia, da mio padre e dai suoi sei fratelli, sulla Lucania e su Bernaldabella, che in casa nostra era una parola unica, affettuosa. E quindi a ventidue anni me ne venni qui su un ferryboat da Dubrovnik, ero studente all’Ucla ma già lavoravo a un film. Sapevo forse dieci parole di italiano: «Sono Francesco Coppola, nipote di Agostino Coppola, nato a Bernalda». Francis Ford Coppola, regista (Gabriele Porro). la Repubblica.
Per poter lavorare ho cominciato a studiare la stenodattilografia. A scuola. Con un’estrema applicazione, come se ci giocassi la vita. Françoise Giroud, Leçons particulières. Fayard, 1990.
In Gillo Dorfles, 94 anni, lucidissimo, in quanto critico d’arte, c’è un aspetto decongestionante, intendo l’assenza di ideologia, cosa rara in un mondo che ha marginalizzato il futurismo proprio nel nome dell’ideologia. Achillo Bonito Oliva, catalogo della mostra di Dorfles al Macro di Roma.
Pur camminando dalle nove (9) del mattino in avanti, con l’aria buona, buongiorno avocato, buongiorno siora, buongiorno avocato, buongiorno geometra, buongiorno avocato, buongiorno cavalier, buongiorno avocato, buongiorno comàre, buongiorno avocato, buongiorno diretòr, mi viene voglia di mettermi al muro, a morte senza processo, strangolarmi con le mie mani leguleie. Francesco Maino, Cartongesso. Einaudi.
Due i personaggi principali de Il visionario alato e la donna proibita di Visar Zhiti (Durazzo, 1952): il fotografo dilettante Felix Kondi ed Ema Marku, giovane liceale arrestata perché porta al collo una catenina con la croce e legge la Bibbia e altri libri vietati dal regime albanese di Enver Hoxha. Liberata, la donna viene nuovamente imprigionata perché, sulla stampa di opposizione, denuncia violenze e torture subite in prigione e le conversioni alla democrazia di aguzzini politici e burocrati. Felix, che assiste al processo-farsa, resta ammirato dalla dialettica e dalla bellezza della donna e se ne innamora. Ma la polizia segreta decide di assassinarla. Felix va fuori di testa, ruba la bara e se la carica sulle spalle. Un delirio. Sullo sfondo, la dittatura comunista albanese. In realtà si tratta di un libro di ricordi. Dietro il personaggio di Felix c’è Visar, i suoi sette anni di prigione e lavori forzati per avere scritto un libro di versi considerati ermetici e «contrari ai canoni del realismo socialista». Sebastiano Grasso. Corriere della Sera.
Il successo fa perdere la testa a chi ne ha avuto troppo o a chi non ne ha avuto abbastanza. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
di Paolo Siepi, ItaliaOggi 4/12/2015