Luca Ricolfi, Panorama 3/12/2015, 3 dicembre 2015
I 500 EURO AI GIOVANI, GROTTESCA DEMAGOGIA
Il fatto che una misura porti consenso al governo che la propone non implica che sia sbagliata. È una questione di logica. Se accettassimo il principio per cui qualsiasi misura che porti consenso sia sbagliata, bisognerebbe dedurne che i governi dovrebbero varare solo misure impopolari.
Ci sono scelte che portano consenso ma possono risultare utili al Paese, e sarebbe assurdo criticarle solo perché portano consenso. Di simili scelte il governo attuale ne ha messe in campo almeno due importanti: il bonus da 80 euro per i lavoratori dipendenti e l’eliminazione della tassa sulla prima casa. La prima serviva a sfondare alle elezioni europee, ma poteva avere un senso anche come misura per il rilancio dei consumi. La seconda serve ad acchiappare elettori berlusconiani, ma può avere un senso come misura di sostegno all’edilizia e al mercato immobiliare. Si può discutere sull’utilità relativa delle due misure, ma sarebbe arduo sostenere che siano misure puramente demagogiche.
Ma sul bonus 18enni per favore no! Non si venga a raccontare che non è una misura demagogica. Dare 500 euro da spendere in «consumi culturali» a chi ha la ventura di compiere 18 anni giusto nell’anno di grazia 2016 è veramente e solo demagogia. Che poi una simile misura venga presentata come parte della risposta al terrorismo, che non può essere solo militare ma deve anche essere «culturale», rende ancora più grottesco l’annuncio di Matteo Renzi.
Che la misura sia totalmente demagogica si capisce anche dalla debolezza degli argomenti portati a suo sostegno. I «pp» (pi-pi, o paladini del premier) si affannano a difenderlo mostrando stupore: «Ma come, non ci saranno elezioni politiche nel 2016, e non si spendono 300 milioni solo per una manciata di elezioni amministrative, non capiamo proprio dove stia il problema». Come se non sapessero che le elezioni amministrative di Roma e Milano contano moltissimo, che chi compie gli anni nel 2016 potrebbe votare proprio nel 2017 (se si va ad elezioni anticipate) o al più tardi nel 2018, e che il consenso è fatto anche di segnali di attenzione, indipendentemente dal fatto che i beneficiari di una misura siano tutti i giovani o solo una parte di essi.
Al di là di questa difesa, il nulla. Nessun argomento razionale a difesa dei 500 euro in tasca ai neo 18enni. Certo, se si danno dei soldi con l’obbligo di spenderli in consumi culturali (martedì 1 dicembre Renzi ha precisato che «questi denari vanno per il teatro, i concerti, i musei, le mostre, gli spettacoli dal vivo»), è ovvio che questo produca degli effetti sui bilanci dei produttori di servizi culturali, ma questo non è un argomento. Qualsiasi misura che metta in tasca dei soldi produce effetti di questo genere, il problema è da dove si prendono quei soldi, e perché li si dà a una certa categoria piuttosto che a un’altra.
Il Movimento 5 Stelle non ha tutti i torti quando osserva maliziosamente: se non si tratta di una mancia elettorale perché allora non destinare il bonus di 500 euro per la spesa culturale ai ragazzi di 16 anni, età in cui già ci si avvicina ad una fruizione consapevole volta alla propria formazione personale? Forse perché i 18enni votano e i 16enni no?
Si potrebbe aggiungere: se proprio si vuole dare un segnale di attenzione ai giovani, e si vuole sottolineare l’importanza della cultura, perché non premiare chi prende il massimo dei voti alla maturità o alla laurea? Qual è il merito di compiere 18 anni? E che cos’ha di speciale un giovane nato nel 1998 (e quindi 18enne nel 2016) rispetto ad uno nato nel 1997 o nel 1999? Ma il vero punto, purtroppo, non è questa piccola e tutto sommato marginale misura politico-elettorale. Il punto è la politica economica che sta dietro di essa. Il bonus ai 18enni è solo l’ultima mossa di una strategia ben più ampia, questa sì molto ostile ai giovani. Per capire il nucleo di tale strategia bisogna ricapitolare i capisaldi della manovra finanziaria. Primo caposaldo: riduciamo le tasse, ma per farlo aumentiamo il debito pubblico.Secondo caposaldo: tagliamo la spesa (molto meno del promesso), ma usiamo due terzi dei risparmi per fare nuova spesa.
Terzo caposaldo: non contenti di finanziare la riduzione delle tasse in deficit, chiediamo all’Europa di poter sforare ancora un po’ (3 miliardi di euro), prima con il pretesto delle spese per l’accoglienza dei migranti, poi con quello dell’allarme terrorismo. Quarto caposaldo: se l’Europa ci permette di sforare, anziché ridurre l’aliquota dell’Ires e fare investimenti nell’edilizia scolastica (come originariamente promesso), spendiamo le nuove risorse (ottenute facendo nuovi debiti) in sicurezza, difesa, bonus da 80 euro alle forze dell’ordine, bonus-18enni, eccetera.
Il risultato netto di tutte queste scelte è molto semplice da riassumere: se l’Europa ci concederà di sforare ulteriormente, i tagli netti di spesa, già irrisori (3 miliardi), si ridurranno a zero, e l’intera manovra si risolverà in una riduzione delle tasse fittizia, perché interamente finanziata in deficit. Ecco perché dicevo che la strategia del governo è ostile ai giovani. Aumentare ancora il debito pubblico, infatti, altro non significa che spostare in avanti il momento della resa dei conti, e trasferire sulle generazioni future, compresi gli attuali giovani, i costi delle nostre scelte di oggi.