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 2015  dicembre 03 Giovedì calendario

LE ROTTE SEGRETE DEL CONTRABBANDO DELL’ORO NERO – 

Dopo aver conquistato i pozzi in Siria e in Iraq, i vertici dell’Isis dovevano risolvere un problema non da poco: come, e soprattutto a chi, vendere il greggio?
Una volta conclusa la sua inarrestabile offensiva d’estate (2014), ed aver esteso il “Califfato” su di un territorio ampio quasi quanto la Gran Bretagna, Abu Bakr al-Baghdadi , l’autoproclamatosi califfo dell’Isis, poteva contare su un’incredibile risorsa finanziaria capace, in teoria, di garantirne la sopravvivenza, e perfino la sua espansione. Con i proventi del greggio poteva pagare i salari dei 15mila miliziani, acquistare armi, forgiare lucrose alleanze con le tribù irachene sunnite ostili al Governo sciita di Baghdad. Finanziare un network internazionale del terrore. Dai circa 65 pozzi di petrolio, c’era abbastanza petrolio per finanziare tutto questo. Ma sorgeva un problema più complesso. A chi venderlo? E attraverso quali canali?
Il mercato interno serviva a smaltirne parecchio. Per far funzionare i generatori elettrici (che producono elettricità per usi civili) e assicurare i servizi di base ai quasi 10 milioni di abitanti che vivono nel “Califfato”, i prodotti raffinati erano indispensabili. Anche per l’apparato bellico dei jihadisti. Ma il mercato interno non bastava. E nemmeno i territori fuori controllo della Siria dove l’Isis vendeva petrolio a gruppi diversi di ribelli, molti dei quali suoi nemici. Occorreva venderlo di contrabbando a prezzi scontati oltrefrontiera. Sviluppare una rete di potenziali clienti nei Paesi vicini.
Già da quasi due anni, oscuri faccendieri in Turchia, ma anche in Kurdistan iracheno, e perfino in Giordania, acquistavano greggio dall’Isis. Ma è sempre stata la Turchia il grande mercato. Quelle tra i servizi segreti di Ankara e Raqqa, capitale del Califfato, sono fin da subito apparse relazioni pericolose. Perchè il ruolo della Turchia è fin da subito apparso ambiguo. Per il presidente Recep Tayyip Erdogan i jihadisti dell’Isis potevano costituire un’arma formidabile contro il suo acerrimo nemico, il presidente siriano Bashar al Assad. Non solo. Sarebbero stati ancora più utili per contenere l’espansione delle forze curde, una minaccia percepita dal Governo turco più grave rispetto all’ascesa dell’Isis. Se le forze curde fossero avanzate troppo in Siria e in Iraq, il sogno di un Kurdistan indipendente avrebbe preso forza tra i ribelli del Pkk, galvanizzandoli.
Tra l’Isis e alcuni apparati dell’Intelligence turca si creano dunque relazioni oscure. Sul fronte politico, militare, ed economico. Nel 2014 lo Stato islamico poteva contare su introiti dal petrolio di contrabbando stimati in 2-3 milioni di dollari al giorno. In questo periodo la maggior parte del greggio venduto oltrefrontiera prendeva la via della Turchia attraverso tre direttrici; migliaia di autocisterne che facevano spola dai pozzi controllati dall’Isis attraversando senza problemi la frontiera turca.
Certo, tra i mercati esteri che gonfiavano il Pil del terrore figuravano anche il Kurdistan iracheno e perfino la moderata Giordania , dove mediatori legati ad ambienti criminali acquistavano partite di petrolio provenienti dai pozzi di Ajeel, a nord di Tikrit Qayara e Himrin, attraverso la provincia irachena sunnita di al-Anbar, al confine con la Giordania, occupata dai jihadisti. Fa specie che alcuni comandanti corrotti delle forze curde che combattono ogni giorno l’Isis, siano sospettati di esser stati in parte gli acquirenti del suo oro nero. E corre voce, ne abbiamo vendute poi alcune partite ad altri mediatori iraniani. Ma business e politica corrono spesso su due binari non paralleli.
In Turchia, sembra invece, che il contrabbando di petrolio sia stato gestito da un’organizzazione vicina al potere centrale. Prima ancora della Russia, l’ex consigliere iracheno della sicurezza nazionale, Mowaffak al-Rubaie, aveva lanciato tre giorni fa accuse pesantissime verso Ankara: «Negli ultimi otto mesi l’Isis ha gestito vendite di greggio pari a 800 milioni di dollari sul mercato nero della Turchia. Questo è petrolio iracheno e turco, trasportato da cisterne dalla Siria attraverso la frontiera turca e venduto a meno del 50% del prezzo internazionale». Greggio che, secondo il parlamentare iracheno, «viene lavorato in territorio turco dalle raffinerie turche, e venduto sul mercato della Turchia. Oppure è trasportato a Jihan e successivamente negli oleodotti che da Jihan vanno al Mediterraneo, per essere venduto sul mercato internazionale» Per al-Rubaie ««non c’è ombra di dubbio» che il Governo turco sia perlomeno al corrente di questi traffici
Curioso il fatto che il terzo figlio del presidente, Bilal Erdogan, 35 anni, sia stato nominato a capo di diverse compagnie di navigazione del Paese. E che da tempo parte della stampa turca dell’opposizione lo ha accusato dia essere coinvolto direttamente nel mercato nero del petrolio con l’Isis. Il fatto che il ministro turco del petrolio sia genero del presidente ha poi rafforzato i sospetti degli oppositori.
Le recenti sconfitte militari, e la conseguente perdita di pozzi importanti, hanno ridotto in modo deciso la produzione petrolifera dell’Isis. Ma per i middleman turchi coinvolti nel traffico, acquistare un barile di greggio a 15-20 dollari al barile anziché agli attuali 45 rappresentata un’occasione imperdibile.
Una parte dell’intelligence turca appare come la più invischiata nel commercio. La vicenda dei due Generali e del colonnello turchi, che avevano fermato per un’ordinaria ispezione un convoglio di aiuti umanitari diretto in Siria, pare organizzato dal servizio segreto turco (Mit), ma che in realtà trasportava migliaia di armi, e poi incriminati per tradimento suona paradossale. Il direttore del giornale (Cumhuriyet) che pubblicò la notizia in maggio è sotto processo per spionaggio e tradimento. Le autorità di Ankara hanno ribattuto: erano aiuti destinati alle tribù tucomanne della Siria. Una spiegazione che solleva perplessità. Anche perchè da tempo diversi indizi portano alla pista del traffico d’armi. In cambio di petrolio. Così come al supposto addestramento di potenziali jihadisti dell’Isis in alcuni campi segreti della provincia di Konya.