Andrea Schianchi, La Gazzetta dello Sport 29/11/2015, 29 novembre 2015
L’INTER VINCE IL DERBY DELL’AUSTERITY
Il signor Walter Cornaggia arrivò nel piazzale di San Siro verso mezzogiorno. Invece di parcheggiare la sua bicicletta vicino all’entrata della tribuna centrale, come faceva sempre, decise di prendersela sulle spalle e portarla su per le scale, fino al gabbiotto dentro il quale trascorreva tutti i pomeriggi di tutte le domeniche. Era lo speaker dello stadio. Il 2 dicembre 1973 era il primo giorno di austerity: divieto di circolazione per i mezzi a motore. I tifosi sarebbero arrivati tutti a piedi o in bicicletta, e una tale concentrazione di due ruote, ammassate vicino alle cancellate dello stadio, avrebbe stimolato i ladruncoli dei dintorni. Così il signor Cornaggia, previdente, pensò di mettere al sicuro il risultato prima ancora di leggere le formazioni delle squadre. A San Siro, di lì a poco, sarebbe andato in scena il derby tra Inter e Milan.
RECORD Sul piazzale davanti allo stadio, in quelle ore di vigilia, si vide un autentico campionario di stranezze. Da Sesto San Giovanni un gruppo di ragazzi avvolti in sciarpe rossonere giunse a bordo di un calesse trainato da un cavallo che denunciava tutto il peso degli anni: dopo tre ore di viaggio era affaticato e aveva di che lamentarsi. Tifosi nerazzurri vennero fermati dai carabinieri all’ingresso della curva nord: non potevano entrare con i pattini ai piedi. Un signore piuttosto stravagante arrivò con gli sci «a rotelle», se li tolse, li imbracciò, mostrò il biglietto all’incredulo inserviente e, piuttosto impacciato, si diresse verso la tribuna. Durissima e lunghissima fu la giornata dei bagarini che, mischiati fra la gente in Piazzale Lotto, cercavano di vendere gli ultimi tagliandi e si preparavano a una snervante attesa: prima di potersi muovere verso i paesi dell’hinterland milanese da cui provenivano, dovevano aspettare la mezzanotte, quando il divieto di circolazione sarebbe terminato e loro avrebbero potuto tornare a casa con un qualche soldo in più in tasca. Lo stadio, alla faccia dell’austerity, era stracolmo: circa 80 mila spettatori per un incasso di 262 milioni 925 mila e 930 lire. Record per una partita di Serie A. A giudicare da quello che accadeva a San Siro e dintorni non pareva proprio di essere nel mezzo della più grave crisi economica del dopoguerra.
FINE DELLA GIOIA La crisi petrolifera stava alla radice dei problemi: i Paesi arabi produttori di petrolio avevano annunciato la sospensione dei rifornimenti agli Stati Uniti, e come conseguenza venne giù il castello che, mattone dopo mattone, era stato costruito negli anni Cinquanta e Sessanta. Finiva la dolce vita. L’Italia, che non era mai stata una nazione «risparmiosa» e che già allora aveva un debito pubblico di dimensioni clamorose, fu costretta a tirare la cinghia. Il governo ordinò l’austerità. Oltre al divieto di circolazione, la domenica, per tutti i veicoli a motore, c’era l’obbligo di chiusura per i cinema alle 23 e la semioscurità nelle strade dalle 21. E pure la programmazione della Rai venne modificata: la fine delle trasmissioni venne fissata alle 22.45. Tutto pur di risparmiare un po’ di energia.
SUCCESSI Se il vento della contestazione soffiava (e metteva i brividi riflettendoci a posteriori e pensando agli anni di piombo), se i portafogli degli italiani erano sempre più vuoti e le piazze e le strade sempre più buie, c’era qualcosa che funzionava: il calcio. La Nazionale guidata da Ferruccio Valcareggi, vicecampione del mondo in carica, disputò otto partite in quel 1973: sette vittorie, un pareggio, zero sconfitte, 15 gol fatti e nessuno subito. Oltre a guadagnarsi la qualificazione al Mondiale 1974, gli azzurri si tolsero la soddisfazione di battere il Brasile (2-0 a Roma) e per due volte l’Inghilterra (il successo di Wembley, in novembre, con gol di Capello fu il primo nel tempio del calcio). Era l’Italia di Facchetti capitano, di Riva e di Anastasi, di Rivera e di Mazzola. Che la spedizione in Germania, l’anno dopo, sia stata un fallimento non è che un dettaglio della narrazione: il calcio, in quel periodo di repentino quanto inatteso ritorno alla povertà, è un’oasi di pace. Al derby di San Siro l’Inter e il Milan si presentarono distanziati di un solo punto: nerazzurri a quota 8 e rossoneri a quota 7. In testa c’era il Napoli a 9. Anche se gli anni Sessanta erano soltanto un ricordo, sulle panchine si rinnovava la sfida di quel periodo: Helenio Herrera da una parte e Nereo Rocco dall’altra. Un fulmine di Boninsegna dopo 14 secondi e una zampata di Facchetti decisero la partita: il gol di Benetti, per il provvisorio 1-1, servì soltanto ad alimentare le illusioni dei milanisti. Rocco si lamentò molto con i suoi giocatori, li strigliò negli spogliatoi perché avevano concesso agli avversari l’arma del contropiede, proprio lui che il contropiede lo aveva teorizzato. L’Inter si ritrovò a braccetto con la Juventus al secondo posto, tutt’e due all’inseguimento del Napoli. Gli ottantamila di San Siro se ne andarono dallo stadio senza provocare disordini: presero le biciclette o salirono sui tram, e tornarono a casa. Il signor Walter Cornaggia, dopo aver raccomandato agli spettatori di seguire le indicazioni degli inservienti, chiuse le comunicazioni, inforcò la bicicletta che aveva parcheggiato davanti al gabbiotto e si avviò verso l’uscita. Sulla prima domenica di austerity scorrevano i titoli di coda. Freddo a parte, non era stata una brutta giornata.