Varie, 1 dicembre 2015
SPEDIZIONE AMUNDSEN PER LUCREZIA
Nel novembre del 1908 Amundsen annunciò di aver organizzato una spedizione nell’Artico verso il Polo. Ottenne una donazione da parte del re Haakon, una dal Parlamento e l’avvio di una sottoscrizione per finanziare l’operazione. Disse che avrebbe utilizzato la nave Fram. La “Fram” (in norvegese “avanti”), varata nel fiordo di Larvik nel 1892. Veliero a tre alberi pesante 800 tonnellate lungo 39 metri, firmato dal celebre architetto navale Colin Archer, ma pensato dallo scienziato pioniere esploratore dell’Artico Fridtjof Nansen che lo usò per i suoi viaggi.
Nel settembre del 1909 i giornali pubblicarono articoli e reportage sulla conquista del Polo Nord da parte di due spedizioni, quella di Cook nell’aprile del 1908 e quella di Peary l’anno seguente. Con il Polo Nord già conquistato, la missione di Amundsen sarebbe diventata marginale, di scarso interesse e più difficile da finanziare. Decise di tenere per sé queste considerazioni, dicendo che comunque al Polo Nord c’era ancora qualche angolo da esplorare. Segretamente, però, si mise al lavoro per cambiare radicalmente i suoi piani e occuparsi del Polo Sud. Non disse nulla anche perché sapeva che l’esploratore britannico Robert Falcon Scott si stava preparando per la conquista dell’Antartide.
Nell’agosto del 1910 la Fram salpò dalla Norvegia per raggiungere Madera. Conteneva pellicce, pelli di foca e grandi quantità di cibo e alcolici. C’erano sci, slitte e oltre 100 cani da slitta, che sarebbero serviti per gli spostamenti, ma anche come risorsa per sfamarsi durante la traversata dell’Antartide.
A settembre 1910 Amundsen comunicò all’equipaggio la vera meta del viaggio: l’Antartide. Amundsen: «Quando chiesi ai miei compagni se essi avessero voluto venire al sud con me anziché portarsi al nord, che era la mèta del viaggio, un’unanime voce rispose: “Sì, mille volte sì!”. Alla sera esposi ai miei uomini il programma della nostra spedizione. Mai avrei dubitato che i miei uomini potessero rifiutare di seguirmi, pure quell’unanimità mi fece piacere. Noi però avevamo da sostenere una lunga lotta. Avevamo innanzi a noi sedici mila miglia. Fu così deciso di non fare una sola, sosta durante il viaggio». La notizia fece molto scalpore in Norvegia e non mancarono le critiche, per quello che in molti ritennero fosse un imbroglio. Nel Regno Unito, dove ci si apprestava a seguire la spedizione di Scott, la notizia fu male accolta e aspramente criticata.
Il telegramma che Amundsen mandò da Madera all’avversario Scott: «Beg to inform you Fram proceeding antarctic. Amundsen».
Ancora Amundsen: «Noi volevamo essere alla barriera glaciale antartica verso la metà di giugno. Una questione che si presentava molto difficile era il rifornimento dell’acqua. Avevamo a bordo, oltre gli nomini della spedizione, cento cani esquimesi, che sotto i tropici avrebbero molto sofferto se fosse mancata l’acqua. Raccogliemmo sotto l’Equatore, in numerosi recipienti, l’acqua degli uragani, che erano frequenti in quella regione. Ci imponemmo sacrifici e vivemmo a razione. A chi nulla mancava era ai cani, quegli ausiliari così preziosi al nostro viaggio furono trattati con ogni riguardo e con cure affettuose. Nei primi di gennaio fummo in vista dei primi ghiacci. Il giorno seguente passammo attraverso gli isolotti galleggiantie alla sera varcammo il circolo polare antartico. Per quattro giorni e per quattro notti lentamente con grandi precauzioni procedemmo attraverso stretti canaliesplorando crepacci, insinuandoci attraverso lingue di mare.
Il 14 gennaio 1911 la Fram si ancorò nella Baia delle Balene, al limite della banchisa antartica. Dopo aver messo al sicuro il Fram cercano unposto per svernare. A due chilometri di distanza, ai piedi di un dirupo protetto dal vento, iniziarono a sbarcare le provviste. Il campo base viene chiamato Framheim. Raccolsero nei magazzini provvigioni per due anni, che all’inizio quasi non toccarono nutrendosi di sola carne di foca. Il Fram ripartì per tornare indietro e tornare alla Baia solo l’anno successivo.
Il 3 febbraio quelli della Fram videro una nave in lontananza: era la Terra Nova di Scot,t di passaggio nella Baia delle Balene. Una delegazione raggiunse la nave dei norvegesi e pranzarono insieme. Così era il Franheim nella descrizione di Amundsen: «La lampada Lux di 200 candele ci forniva una luce brillante e mantenne la temperatura a 20°C per tutto l’inverno. Un eccellente sistema di vento ci diede l’aria di cui avevamo bisogno». Scavati nel ghiaccio e in comunicazione con la capanna c’erano i laboratori, i magazzini per i viveri, per il carbone, per la legna, per l’olio, «un bagno e un bagno a vapore».
22 aprile 1911. «Il sole ci abbandonò il 22 aprile. L’inverno fu consacrato a modificare completamente il nostro materiale, troppo massiccio e troppo pesante per la superficie liscia del banco di ghiaccio. Compimmo lavoro scientifico e osservazioni meteorologiche. Avemmo poca neve, ma la temperatura rimase molto bassa, tra i 50°C e 60°C sotto lo zero. Il giorno più freddo fu il 18 agosto, con 60°C sottozero. Ci aspettavamo di avere uragani, invece ci furono solo due tempeste e anche moderate». Numerose le aurore australi. Nessuno si ammalò.
24 agosto 1911. Il sole tornò a splendere.
8 settembre. Amundsen pensò di partire. I primi giorni le cose andarono abbastanza bene: i cani erano in forma e trainavano veloci le slitte sul ghiaccio consentendo di coprire una media di 15 chilometri al giorno. Le condizioni ambientali peggiorarono nei giorni seguenti con temperature intorno ai -56 °C. Dormire di notte era quasi impossibile e ad alcuni cani si gelarono le zampe. Amundsen si rese conto di aver fatto un errore e decise di fare ritorno alla base per non mettere in pericolo la missione. Lasciò parte dell’equipaggiamento in uno dei depositi di cibo che mano mano aveva stabilito lungo la via.
Il 16 settembre 1911 ritornò al Framheim.
Il 20 ottobre 1911 la partenza. Invece di prendere con sé tutti i suoi 8 uomini e i cani, non prese che 5 uomini e mandò gli altri tre verso est, a esplorare la terra di Edoardo VII scoperta da Scott nel 1902. Amundsen si diresse verso sud: «Eravamo cinque e conducevamo con noi quattro slitte e 52 cani». Avevano provvigioni per quattro mesi. Il primo tratto di percorso avvenne in condizioni meteorologiche favorevoli e riuscì ad avanzare di circa 30 chilometri al giorno. Le temperature oscillavano tra -20°C e -30°C.
Il 23 ottobre arrivarono all’80°grado sud, dove stabilirono un altro deposito per i viveri. Durante l’avanzata innalzavano dei “cairns”, dei mucchi di neve alti come un uomo, per orientarsi al ritorno.
Il 17 novembre giunsero all’85° parallelo, dove si trovarono di fronte una prima altura ghiacciata che saliva fino a 91 metri. Oltre, catene di montagne le cui cime superavano 4.500 metri. Ci vollero quattro giorni per salire dalla barriera ghiacciata all’altopiano interno. Qui stabilirono un campo, chiamato “macelleria”, dove uccisero 24 cani per nutrire uomini e animali rimanenti. I resti furono messi in un nuovo deposito e conservati per la via del ritorno. I cani rimasti erano 18. Le bufere impedirono per giorni di procedere oltre.
Il 6 dicembre, nonostante il maltempo, riuscirono ad arrivare sulle cime più alte. Ormai la spedizione si trova a 83 gradi a sud.
L’8 dicembre finalmente tornò il bel tempo. Nel pomeriggio oltrepassarono 88°23’ sud, la stessa latitudine raggiunta da Shackleton nella spedizione del 1909, a soli 180 km dalla meta. Lì Amundsen stabilì il suo ultimo deposito di cibo, il decimo. L’altopiano, a partire da quel punto, cominciava a scendere molto dolcemente.
Il 9 dicembre è a 88°39’ di latitudine.
Il 10 dicembre è a 88°56’.
L’11 dicembre è a 89°15’.
Il 12 dicembre è a 89°30’.
Il 13 dicembre è a 89°45’. «Fino a quel momento i nostri calcoli e le nostre osservazioni concordavano in modo perfetto e noi concludemmo quindi che dovevamo toccare il Polo il 14».
Il 14 dicembre. «Una leggera brezza di sud est e una temperatura di 23° Celsius sotto zero. Il suolo era perfetto e le slitte scivolavano rapidamente. La giornata trascorse senza incidenti notevoli e alle 3 del pomeriggio sostammo. In base ai nostri calcoli avevamo toccato la meta. Tutti ci riunimmo intorno ai colori nazionali, una magnifica bandiera di seta, tutte le mani ne afferrarono l’asta e la piantarono nel suolo». All’altopiano diedero il nome di Altipiano del Re Hakoon VII.
15 dicembre 1911. Esplorarono i dintorni del campo in un raggio di 18 chilometri. Secondo i calcoli, erano a 89°55’. Amundsen: «Per osservare il punto preciso del Polo nel modo più esatto possibile facemmo ancora nove chilometri a sud il 16 dicembre ci accampammo su quel punto».
17 dicembre. «Tutte le nostre osservazioni erano compiute. Avevamo eretto una piccola tenda che avevamo con noi, innalzando al suo fastigio la bandiera norvegese». La tenda fu battezzata Polheim (“casa del Polo” in norvegese). Ripresero la via verso il campo base Framheim, lasciato il 20 ottobre, circa 1.400 chilometri più a nord.
25 gennaio 1912. I cinque uomini, con due slitte e 11 cani, raggiunsero Framheim. Durante il viaggio di ritorno avevano percorso in media 25 chilometri al giorno. La temperatura più bassa incontrata: 31°C sottozero. La più alta: 5°C sottozero.
7 marzo 1912. Il telegramma di Amundsen a Pedro Christophersen, console di Norvegia a Buenos Aires: «Profondamente riconoscente per il vostro generoso aiuto, vi annuncio confidenzialmente che siamo giunti alla meta con completo successo. Abbiamo potuto fare osservazioni importanti dal punto di vista geografico. Tutto va bene a bordo. Saluti affettuosi. Parto per Buenos Aires».