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 2015  novembre 29 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL PAPA IN AFRICA


LASTAMPA.IT
È iniziato il Giubileo straordinario della Misericordia. È cominciato con oltre una settimana d’anticipo rispetto all’apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro. Poco fa Papa Francesco ha aperto la porta in legno e vetro della cattedrale di Bangui, in Centrafrica. Prima di spalancarla, ha spiegato parlando a braccio il significato di questo suo gesto.



«Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo - ha detto il Pontefice - L’Anno Santo della Misericordia arriva in anticipo a questa terra, una terra che soffre da diversi anni la guerra, l’odio , l’incomprensione, la mancanza di pace».



«In questa terra sofferente - ha continuato - ci sono tutti i Paesi del mondo che sono passati per la croce della guerra. Bangui diviene la capitale spirituale della preghiera per la misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana e per tutti i Paesi che soffrono la guerra, chiediamo la pace!».



Poi Francesco, come ha già fatto più volte durante questo viaggio in Africa, ha chiesto a tutti i fedeli di ripetere con lui questa preghiera: «Tutti insieme chiediamo amore e pace!». E l’ha pronunciata nella lingua locale: «Ndoye siriri, amore e pace!».



«E adesso - ha ripreso - con questa preghiera incominciamo l’Anno Santo qui, in questa capitale spirituale del mondo oggi». Quindi si è girato verso la porta centrale della cattedrale, e l’ha aperta, rimanendo per un istante con le braccia aperte, mentre i fedeli all’interno applaudivano e s’inginocchiavano.



Nell’omelia della messa che apre l’Avvento nel rito romano, Francesco ha detto: «Attraverso di voi, vorrei salutare anche tutti i Centrafricani, i malati, le persone anziane, i feriti dalla vita. Alcuni di loro sono forse disperati e non hanno più nemmeno la forza di agire, e aspettano solo un’elemosina, l’elemosina del pane, l’elemosina della giustizia, l’elemosina di un gesto di attenzione e di bontà. Chiediamo la grazia, l’elemosina della pace!».



Il Papa ha detto che ci si deve liberare, grazie a Gesù, «dalle concezioni della famiglia e del sangue che dividono, per costruire una Chiesa-Famiglia di Dio, aperta a tutti, che si prende cura di coloro che hanno più bisogno. Ciò suppone la prossimità ai nostri fratelli e sorelle, ciò implica uno spirito di comunione. Non è prima di tutto una questione di mezzi finanziari; basta in realtà condividere la vita del popolo di Dio».



Francesco ha ricordato che una delle esigenze essenziali della vocazione cristiana «è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine. Gesù ha tenuto ad insistere su questo aspetto particolare della testimonianza cristiana. Gli operatori di evangelizzazione devono dunque essere prima di tutto artigiani del perdono, specialisti della riconciliazione, esperti della misericordia».



«Dovunque - ha continuato il Pontefice - anche e soprattutto là dove regnano la violenza, l’odio, l’ingiustizia e la persecuzione, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza di questo Dio che è amore». E la «testimonianza dei pagani sui cristiani della Chiesa primitiva deve rimanere presente al nostro orizzonte come un faro: "Vedete come si amano, si amano veramente"».



«Dio è più forte di tutto - ha detto ancora Papa Bergoglio - Questa convinzione dà al credente serenità, coraggio e la forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità. Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore!».



Francesco ha così concluso: «A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace». Gli ultimi passaggi dell’omelia sono stati sottolineati da molti applausi da parte dei fedeli.

REPUBBLICA.IT

Repubblica Centrafricana: la tappa più difficile del viaggio di papa Francesco
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Dopo il discorso ai politici locali, Il Papa ha visitato il campo profughi di Saint Sauveur, affollato di bambini e persone in festa. Al termine l’incontro con i vescovi della Repubblica Centrafricana e a seguire il pranzo con loro.
Papa Francesco: l’arrivo nella Repubblica Centrafricana
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Imponenti le misure di sicurezza messe in atto dalle autorità centrafricane. Gli occupanti dell’aereo sono stati fatti uscire velocemente dall’aeroporto e fatti salire sui minibus. Ad accompagnarli molti agenti della gendarmeria, militari e caschi blu dell’Onu che si trovano sul posto in vista delle elezioni che si terranno nel Paese il 27 dicembre prossimo per mettere fine al governo di transizione.

MULTIMEDIA
Papa: "Quando forza male si scatena, credenti rispondono pace"
"Siamo chiamati ad essere nel mondo artigiani di una pace fondata sulla giustizia", ha proseguito il Papa nella omelia. "È dunque anche in mezzo a sconvolgimenti inauditi che Gesù vuole mostrare la sua grande potenza, la sua gloria incomparabile (cfr Lc 21,27) e la potenza dell’amore che non arretra davanti a nulla, né davanti ai cieli sconvolti, né davanti alla terra in fiamme, né davanti al mare infuriato. Dio è più forte di tutto. Questa convinzione dà al credente serenità, coraggio e la forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità. Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore!".
da a.custodero 18.34
Omelia Papa interrotta da molti applausi
"Riconciliazione, perdono, amore e pace, amen". Con queste parole esclamate a braccio e con grande forza il Papa ha concluso l’omelia della messa nella cattedrale di Babgui. L’ha pronunciata in italiano, con traduzione simultanea nella lingua nazionale, il sango, dopo ogni paragrafo. Negli ultimi 5 paragrafi il Papa si è animato sempre di più, e i circa 500 radunati nella cattedrale hanno applaudito a più riprese.
da Piera Matteucci 18.14
Papa: "Quando forza male si scatena, credenti rispondono pace"
"Siamo chiamati ad essere nel mondo artigiani di una pace fondata sulla giustizia", ha detto il Papa nella omelia della messa a Bangui.
da Piera Matteucci 18.04
Papa: "Deponete le armi, armatevi di giustizia"
"A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace", ha detto Francesco.
da Piera Matteucci 18.00
Papa: "Amore per nemici previene vendetta e rappresaglie"
"Una delle esigenze essenziali della vocazione alla perfezione è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine", ha detto ancora il Papa.
da Piera Matteucci 17.48
Papa: "La pace non è questione di soldi"
La pace "non è prima di tutto una questione di mezzi finanziari", ha affermato Papa Francesco nell’omelia letta nella Cattedrale di Bangui. "Come gli apostoli Pietro e Giovanni che salivano al tempio, e che non avevano né oro né argento da dare al paralitico bisognoso, vengo ad offrire loro la forza e la potenza di Dio che guariscono l’uomo, lo fanno rialzare e lo rendono capace di cominciare una nuova vita, ’passando all’altra riva’".
da Piera Matteucci 17.47
Papa: "A chi aspetta l’elemosina, offro forza di Dio"
"Attraverso di voi, vorrei salutare anche tutti i Centrafricani, i malati, le persone anziane, i feriti dalla vita. Alcuni di loro sono forse disperati e non hanno più nemmeno la forza di agire, e aspettano solo un’elemosina, l’elemosina del pane, l’elemosina della giustizia, l’elemosina di un gesto di attenzione e di bontà", ha detto Papa Francesco durante l’omelia a Bangui nella messa in occasione dell’apertura della Porta Santa della cattedrale. Ma io, ha aggiunto, "vengo ad offrire loro la forza e la potenza di Dio che guariscono l’uomo, lo fanno rialzare e lo rendono capace di cominciare una nuova vita, ’passando all’altra riva’".
da Piera Matteucci 17.38
da Piera Matteucci 17.14
Papa: "Bangui diviene la capitale spirituale del mondo"
da Piera Matteucci 17.12
Il Papa stringe le mani dei fedeli nel campo profughi
da Piera Matteucci 17.11
Papa visita ospedale pediatrico e dona scatole medicine
Il Papa ha fatto una breve sosta in un ospedale pediatrico di Bangui e ha portato in dono per i piccoli malati alcuni scatoloni di medicine messe a disposizione dall’ospedale "Bambin Gesù". Lo ha fatto sapere padre Federico Lombardi. La sosta non era prevista nel programma ufficiale. Tra poco il Pontefice è atteso nella cattedrale, dove celebrerà la messa e aprirà la porta santa, anticipando l’inizio del giubileo per la Repubblica centrafricana e per l’Africa.
da Piera Matteucci 17.06
Il Papa nel campo profughi alle porte di Bangui
da Monica Rubino 14.45
Il Papa dal campo profughi di Bangui augura la pace
Dalla Repubblica Centrafricana, dilaniata negli ultimi tre anni dagli scontri tra cristiani e musulmani, papa Francesco si è augurato la pace. "Vi auguro la pace, che possiate vivere in pace qualsiasi sia l’etnia, la cultura, la religione, lo stato sociale, perchè tutti siamo fratelli", ha detto il pontefice. Papa Bergoglio ha parlato in un campo profughi alle porte di Bangui che accoglie le migliaia di persone fuggite ai sanguinosi scontri interreligiosi seguite al colpo di Stato che cacciò Francois Bozize.
"Tutti siamo fratelli e per questo vogliamo la pace", ha proseguito il Pontefice, invitando i presenti a ripetere con lui le sue parole. Poi papa Bergoglio, ha chiesto ai presenti di pregare per lui.

PEZZI USCITI SU CDS NEI GIORNI PRECEDENTI
MICHELE FARINA MERCOLEDI 25/11
«Q ui in Centrafrica il Papa lo aspettiamo tutti: cristiani, musulmani e animisti. Lo aspetta anche la luna, che questa sera è bellissima». Stagione secca, temperatura dolce. Altre buone notizie? Padre Giovanni Zaffanelli parla al telefono dai gradini di Nostra Signora di Fatima, attorniato da ragazzi: «La situazione è cambiata rispetto a questa primavera». Gli sfollati della parrocchia sono tornati tutti nelle loro case? «L’opposto: le case si sono tutte svuotate. Nuovi attacchi e altri saccheggi. La gente è tornata a rifugiarsi in chiesa. Nel cortile vivono 500 persone. Siamo sotto la protezione di 30 soldati Onu, del Burundi e del Gabon» . E il dialogo tra cristiani e musulmani? «Non è ancora cominciato — risponde il missionario di Sesto San Giovanni, da 23 anni nel centro dell’Africa —. Ma è questione di bande armate, più che di religione. Speriamo che la visita del Santo Padre sia la scintilla per la pace». I servizi segreti francesi sconsigliano a papa Francesco la tappa di Bangui, dopo Kenya e Uganda, per le minacce delle reti jihadiste... «C’è qualche timore, ma il Papa è cocciuto. E la sua presenza è importante. Lo dicono in coro i ragazzi intorno a me: abbiamo bisogno di pace!». Non lontano dalla chiesa di Fatima, oltre i posti di blocco dell’Onu, c’è la moschea Centrale di Bangui. Nel quartiere di Pk5 (chilometro cinque) la luna è la stessa e Omar Goni, traduttore del Corano dall’arabo al sangò , ha nella voce la stessa preoccupata speranza di padre Giovanni. «Siamo sotto assedio, le milizie anti balaka attaccano senza sosta i musulmani». Il Papa dovrebbe visitare la moschea… «L’imam Tdani lo aspetta a braccia aperte. Come tutti. Abbiamo bisogno
di sicurezza. Se il Papa viene, il mondo si accorgerà del Centrafrica?». Un Paese nel nome e sulla mappa al centro del continente, eppure sempre ai margini delle cronache. Se la guerra fa notizia, la mancata pace meno. Dopo le violenze del 2014, che hanno assunto i contorni di un conflitto tra maggioranza cristiana e minoranza musulmana, la via per la riconciliazione è rimasta stampata sulla carta. E ora anche sulle schede delle elezioni presidenziali, fissate per la fine di dicembre. Nessuno dei candidati ricorda lontanamente i profili di un Mandela o di una Suu Kyi. Rampolli di ex presidenti, gente che passa più tempo in Francia che nell’ex regno dell’imperatore Bokassa. Il Paese è preda di bande armate che spesso agiscono fuori dal controllo dei leader. Il disarmo di ex Seleka musulmani e anti balaka cristiani non è avvenuto. La comunità internazionale ha comunque imposto le urne, con l’auspicio che un governo legittimo traini la pacificazione. Anche se è molto probabile che l’esito del voto venga contestato, viste le condizioni di sicurezza nel Paese. D’altra parte la Francia, ex potenza coloniale intervenuta nel 2013 per tamponare i massacri, punta a chiudere la missione dei soldati rimasti a Bangui (meno di mille). Mentre la missione Onu (Minusca) ha mancato il primo compito assegnatole: proteggere i civili. Su 4,5 milioni di abitanti, 450 mila rifugiati all’estero, 400 mila sfollati (di cui 35 mila nelle enclave musulmane). Se planerà a Bangui, il Papa vedrà le baracche dei profughi lungo la pista dell’aeroporto. Dove dolce è soltanto la temperatura.

PEZZI DI GIOVEDI 26/11
GIAN GUIDO VECCHI
DAL NOSTRO INVIATO
NAIROBI (KenYa) La frase spicca nel testo scritto per il discorso alla «State House» e il Papa la sillaba in inglese, rivolto al presidente Uhuru Kenyatta: «L’esperienza dimostra che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e dalla frustrazione». La prima volta di Francesco in Africa è un viaggio alla radice dei problemi, oltre la paura.
Ieri l’arrivo in Kenya, colpito dalle ripetute stragi jihadiste dei somali di Al-Shebab, i responsabili dell’eccidio di 148 studenti cristiani nell’università di Garissa, il 2 aprile; domani la partenza da Nairobi verso l’Uganda; e domenica l’ultima tappa nella Repubblica Centrafricana, devastata da quasi tre anni di guerra civile tra milizie musulmane e cristiane.
Gliel’hanno sconsigliato, si naviga a vista, c’è il precedente di Wojtyla che nel ’94 fu costretto a rinunciare a Sarajevo. Ma Francesco è pronto ad aprire domenica la porta santa della cattedrale di Bangui, un anticipo del Giubileo della misericordia, e vuole andare lunedì nella moschea di un quartiere dove i cristiani non possono mettere piede.
Del resto bastava vederlo, ieri, nel volo AZ4000 verso Nairobi. Sereno e deciso, «al ritorno vi spiegherò perché ho scelto proprio il Centrafrica». Al comandante che gli prometteva avrebbe fatto di tutto, pur di atterrare a Bangui, ha sorriso: «Io ci voglio andare: se non ci riuscite, datemi un paracadute!». Mentre salutava uno ad uno i giornalisti, gli hanno chiesto se non temeva per la sua sicurezza, e Bergoglio: «Piuttosto ho paura delle zanzare, ma mi hanno già dato uno spray: mi raccomando, usatelo anche voi!».
Migliaia di persone ai bordi delle strade, cartelli di benvenuto in swahili, «Karibu papa Francis!», e diecimila agenti schierati dal governo. Dall’aeroporto il Papa viaggia in auto chiusa per non tardare ma all’uscita dalla «State House» sale su quella scoperta anche se ha iniziato a diluviare. «Senza paura», ripete alle autorità politiche. Alla vigilia della conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, Francesco parla della «grave crisi ambientale» e riprende il filo dell’enciclica Laudato si’ : «In un mondo che continua a sfruttare piuttosto che proteggere la casa comune» i governanti devono «promuovere modelli responsabili di sviluppo economico».
Tutto si tiene, l’ecologia è sempre anche «umana»: «Vi è un chiaro legame tra la protezione della natura e l’edificazione di un ordine sociale giusto ed equo. Non vi può essere un rinnovamento del nostro rapporto con la natura senza un rinnovamento dell’umanità stessa». Così, «fintanto che le nostre società sperimenteranno le divisioni, siano esse etniche, religiose o economiche, tutti gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati a operare per la riconciliazione e la pace, il perdono e la guarigione dei cuori». Bisogna edificare una «società multietnica che sia realmente armoniosa, giusta e inclusiva», democrazie che sappiano «proteggere e investire sui giovani», preoccuparsi dei poveri, compiere «una giusta distribuzione delle risorse». Guerre e terrorismo si nutrono di paura e disperazione: «In ultima analisi, la lotta contro questi nemici della pace e della prosperità dev’essere portata avanti da uomini e donne che, senza paura, credono nei grandi valori spirituali e politici che hanno ispirato la nascita della nazione e ne danno testimonianza coerente».
Gian Guido Vecchi

MASSIMO FRANCO
L’ «attentato delle zanzare» evocato da papa Francesco è una battuta tesa a sdrammatizzare i timori di un vero attacco terroristico durante la sua visita in Africa. Dire di temere più gli insetti che l’eversione islamica è molto in stile Jorge Mario Bergoglio. È la sfida di un Pontefice che vuole sperare nella forza del dialogo, anche con parole che possono essere male interpretate. Il pericolo di un’altra strage dell’Isis esiste, e riguarda anche il Vaticano. Fino a qualche mese fa, i collaboratori lo apostrofavano scherzosamente: «Santo Padre, ancora non l’hanno ammazzata oggi?». Ormai, però, non c’è da scherzare. Quando qualcuno riferisce alla diplomazia statunitense che Oltretevere sono rimasti sorpresi dalla circolare con la quale l’Fbi consiglia ai turisti americani a Roma di stare alla larga dai luoghi religiosi, la risposta è laconica ma ferma. «Quell’allarme» si ribadisce, «va preso molto sul serio».
Gli stessi servizi di sicurezza italiani cominciano ad ammettere che la prospettiva di un attentato nel nostro Paese, purtroppo, è «un problema di quando, dove e come, non di “se” ci sarà». Non esistono tracce concrete, vistose. È stato notato però da tempo una sorta di ribollìo informatico sui siti del fondamentalismo islamico contiguo a Isis e Al Qaeda. Nella «rete profonda», come viene definita, i segnali di un’offensiva anche contro l’Italia sono diventati martellanti, quasi ossessivi dopo il 13 novembre: il giorno degli attentati a Parigi. Un anno fa, sulla testata di Dabiq , la rivista online dell’Isis,che prende il nome dal villaggio siriano dove nel 1516 gli Ottomani sconfissero i Mammalucchi, campeggiava l’immagine di piazza San Pietro sovrastata dalla bandiera nera dell’organizzazione.
Allora, quel segnale fu interpretato come un messaggio di propaganda all’interno dell’arcipelago dell’eversione sunnita. Adesso, la preoccupazione è che dalla propaganda si stia passando ad altro. Il fatto che la polizia abbia costellato di metal detector l’ingresso al colonnato del Bernini in piazza San Pietro rappresenta una misura preventiva. Ma si ammette che non può essere di per sé un antidoto totale. Di fronte a terroristi che si suicidano, non prevedono vie di fuga, quelle barriere servono ad evitare che entrino esplosivi tra la folla delle udienze. Chiunque, però, potrebbe insinuarsi nelle file di chi aspetta di essere controllato, e farsi saltare in aria.
D’altronde, il primo comandamento della guerra asimmetrica è di spargere il panico tra la popolazione inerme, e non tra soldati o agenti in uniforme. Il terrorismo sa quanto questo destabilizza l’opinione pubblica, soprattutto occidentale. E sullo sfondo rimane il problema di un Pontefice allergico a qualunque misura di sicurezza; e deciso ad andare anche nei luoghi più pericolosi. Si ricorda ancora quando nell’agosto del 2014, di ritorno dal suo viaggio in Corea del Sud, Francesco voleva fare tappa in Kurdistan, nel Nord della Siria. Fu fermato elencandogli i pericoli. Stavolta, «nonostante gli sia stato detto in tutti i modi» di non andare in Africa, non c’è stato nulla da fare.
I sopralluoghi compiuti nelle scorse settimane dai vertici della Gendarmeria vaticana tra Repubblica centrafricana, Kenya e Uganda, sono serviti a circoscrivere i pericoli. Tuttavia, il Papa girerà tra la folla sulla sua auto bianca scoperta e senza giubbotto antiproiettile. E domenica 29 novembre aprirà la Porta santa e il «Giubileo della misericordia» nella cattedrale di Bangui, circondata da un enorme campo profughi. Ma il ritorno a Roma preoccupa almeno altrettanto. I mesi del Giubileo non vedranno probabilmente l’affluenza di milioni di pellegrini che era stata prevista. La paura ha diradato, almeno per ora, anche il numero dei fedeli in piazza. Ricorre sempre più spesso, però, l’idea di invertire il paradigma di un Giubileo concentrato su Roma: fare in modo che la gente si sparga nelle città italiane dove pure si celebra l’Anno Santo; e opti per la capitale solo in seconda battuta.
Sarebbe la maniera più semplice per limitare una militarizzazione lunga undici mesi. Tra l’altro, sta facendo capolino all’interno della stessa Chiesa cattolica il timore che, se si verificano attentati, qualcuno possa strumentalmente chiamare in causa il Papa; mettere all’indice il suo rifiuto di blindare il Vaticano e di blindarsi; e recriminare sul modo improvviso col quale nell’aprile scorso Francesco annunciò l’Anno giubilare «di gioia, di serenità e di pace»: senza consultarsi con nessuno, nemmeno con le autorità italiane. L’organizzazione a dir poco carente, dovuta in parte anche alla crisi politica in Campidoglio, potrebbe diventare un argomento contro Bergoglio da parte degli avversari.
Misericordia e sicurezza sono due principi che nell’ottica papale non si contraddicono. E il dialogo rimane un assioma naturale nella pedagogia cattolica. «L’esperienza dimostra che la violenza, il conflitto e il terrorismo si alimentano con la paura, la sfiducia e la disperazione, che nascono dalla povertà e dalla frustrazione», ha affermato ieri il Papa arrivando in Kenya, con parole che hanno suscitato qualche clamore. Non sarà facile accreditare verità ireniche e controverse in una realtà traumatizzata e spaventata. L’Italia, l’Europa e l’Occidente sono esposte a un’aggressione contro la quale il verbo del Pontefice latinoamericano rischia di essere, se non respinto, frainteso.

PEZZO DEL CDS DI VENERDI 27/11
DAL NOSTRO INVIATO
NAIROBI (Kenya) Viottoli fangosi tra le baracche di lamiera che fanno da abitazione o negozi o tutte e due le cose, pecore e polli che sgambettano nella mota giallastra, la miseria e l’Hiv, ma anche i bimbi che escono dalla scuola primaria, le costruzioni a un piano che hanno decorato di elefanti, zebre e lettere dell’alfabeto colorate, il campo giochi e l’istituto tecnico, l’ospedale, gli uomini che dipingono intenti le palizzate, le donne che lavano la gradinata in pietra all’esterno della piccola chiesa. Padre Paschal Mwijage è il parroco e viene dalla Tanzania, «l’attenzione ai poveri di Francesco ci commuove», i gesuiti che animano il «Jesuit Aids Network» e tutte le attività accanto agli ultimi della periferia fondarono la parrocchia trent’anni fa e sono in quattro, oggi aspettano il quinto: Francesco stamattina arriverà qui, tra la gente di Kangemi, prima di volare in Uganda. E il discorso che farà nello «slum» di Nairobi sarà il compimento di quello che ieri pomeriggio ha rivolto alle Nazioni Unite: «Fra pochi giorni inizierà a Parigi una riunione importante sul cambiamento climatico, in cui la comunità internazionale in quanto tale affronterà nuovamente questa problematica. Sarebbe triste e, oserei dire, perfino catastrofico che gli interessi privati prevalessero sul bene comune e arrivassero a manipolare le informazioni per proteggere i loro progetti».
Crisi ecologica e umana, squilibri naturali e sociali sono collegati nel «costante rischio di distruzione causato da egoismi umani», bisogna correggere le «distorsioni del sistema di sviluppo attuale» e mettere «l’economia e la politica al servizio dei popoli» che non chiedono elemosine ma di essere «artefici del proprio destino». Le parole riprendono il filo dell’enciclica Laudato si ’ e sono un monito alla Conferenza che sta per aprirsi: «Spero porti a concludere un accordo globale e trasformatore, basato su solidarietà, giustizia, equità e partecipazione, e orienti al raggiungimento di tre obiettivi: la riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici, la lotta contro la povertà e il rispetto della dignità umana».
È il giorno dei trecentomila fedeli che danzano e cantano sotto la pioggia nella messa all’Uhuru Park, delle parole di Francesco nell’incontro interreligioso: «Il nome di Dio non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza, troppo spesso dei giovani vengono resi estremisti in nome della religione». Alla radice, c’è sempre il tema della povertà, che Francesco evoca con le parole dell’Apocalisse nell’incontro con sacerdoti e religiose: guai ai consacrati che «si dimenticano di Cristo crocifisso» e quindi dei poveri, «il peccato della tiepidezza fa orrore a Dio, fa vomitare Dio».
Il Papa richiama a scelte radicali, ai seminaristi dice: «Se qualcuno non ha il coraggio di andare su questa strada, cerchi un altro lavoro, si sposi e metta su una bella famiglia».
Gian Guido Vecchi

PEZZO DEL CDS DI SABATO 28
DAL NOSTRO INVIATO
KAMPALA (UGANDA) Francesco arriva in Uganda nel breve crepuscolo equatoriale tra decine di migliaia di persone che lo accompagnano nel buio ai margini della strada, rende omaggio al Santuario dei martiri cristiani del 1886, domani si prepara ad andare contro paure e allarmi nel Centrafrica in guerra civile e aprire a Bangui la porta santa del Giubileo della Misericordia. Un viaggio per «attirare l’attenzione sull’Africa», denunciare «le nuove forme di colonialismo» che alimentano povertà e violenze, esortare al dialogo — a Kampala ha incontrato in forma privata il presidente del Sud Sudan in guerra — e parlare al mondo: ieri è andato fra i viottoli fangosi e le baracche di lamiera dello slum di Kangemi («qui mi sento a casa») e prima di lasciare il Kenya ha risposto ai ragazzi che riempivano lo stadio di Nairobi — con il governo in prima fila — sulla corruzione come «cammino di morte» che affama i poveri ed è presente «non solo in politica ma in ogni istituzione, compreso il Vaticano», e sui giovani reclutati come terroristi o «combattenti» dai fondamentalisti.
Questioni urgenti, a cominciare dal «reclutamento», con Francesco che ascolta la domanda di Manuel («come possiamo fermarlo?»), lascia perdere il discorso scritto e spiega d’un fiato: «Per rispondere dobbiamo sapere perché un giovane, pieno di speranze, si lasci reclutare oppure vada a cercare di essere reclutato: si allontana dalla sua famiglia, dagli amici, la tribù, la patria, si allontana dalla vita perché impara ad uccidere... E questa è una domanda che voi dovete rivolgere a tutte le autorità: se un ragazzo o una ragazza non ha lavoro e non può studiare, che può fare? Può delinquere, o cadere in una forma di dipendenza, o suicidarsi — in Europa, le statistiche dei suicidi non vengono pubblicate —, o arruolarsi in una attività che gli dia un fine nella vita, ingannandolo...». Ecco «la prima cosa per evitare che un giovane sia reclutato o cerchi di farsi reclutare: istruzione e lavoro», scandisce il Papa: «Se un giovane non ha lavoro, che futuro lo attende? Da lì viene l’idea di lasciarsi reclutare. Se non ha la possibilità di ricevere una educazione, che può fare? Lì c’è il pericolo! È un pericolo sociale, che va al di là di noi e anche del Paese, perché dipende da un sistema internazionale che è ingiusto e ha al centro dell’economia non la persona, ma il dio denaro».
Per «aiutare o far tornare» chi si fa reclutare, bisogna «pregare con forza» perché «Dio è più forte di ogni campagna di reclutamento». E poi «parlargli con affetto, tenerezza, amore e pazienza. Invitarlo a vedere una partita di calcio, fare una passeggiata, stare insieme nel gruppo: non lasciarlo da solo». La religione autentica non c’entra, Francesco aveva definito la violenza in nome di Dio «una bestemmia» e ora parla di «fanatismo ideologico». E di quell’altro male, la corruzione, «che ci entra dentro come lo zucchero: è dolce, ci piace, è facile, e poi finiamo male! Con tanto zucchero facile, finiamo diabetici!». C’è sempre la possibilità di scegliere, dice. La corruzione distrugge il «cuore» delle persone e «la patria», sottrae soldi «ai malati, agli affamati».
Nella baraccopoli aveva denunciato la «terribile ingiustizia della emarginazione urbana», l’«accaparramento delle terre», la mancanza d’acqua, le «organizzazioni criminali, al servizio di interessi economici o politici» che «utilizzano bambini e giovani come carne da cannone per i loro affari insanguinati». Parole durissime: «Sono le ferite provocate dalle minoranze che concentrano il potere, la ricchezza e sperperano egoisticamente mentre la crescente maggioranza deve rifugiarsi in periferie abbandonate, inquinate, scartate».
Gian Guido Vecchi

PEZZO DI OGGI DOMENICA 29
DAL NOSTRO INVIATO
KAMPALA (Uganda) L’aereo del Papa decolla da Entebbe alle 7.15 italiane per atterrare all’aeroporto M’Poko, nella Repubblica Centrafricana, alle 10 di stamattina. «Certo che si parte, è tutto confermato, mai avuto dubbi», considerava tranquillo ieri sera padre Federico Lombardi. Francesco, oggi pomeriggio, sarà il primo pontefice ad aprire una porta santa del Giubileo fuori da Roma, nella cattedrale di Bangui, un anticipo dell’Anno Santo della Misericordia che inizierà l’8 dicembre a San Pietro. Lo ha voluto fin dall’inizio, «ci vado anche col paracadute!, al ritorno vi spiegherò perché ho voluto il Centrafrica», diceva nel volo di andata: e non «nonostante», ma proprio perché è zona di guerra, una guerra civile che dura da quasi 3 anni. «Sarà un nuovo inizio», dice l’arcivescovo Dieudonné Nzapalainga.
Il comandante della Gendarmeria vaticana, Domenico Giani, ha incontrato i responsabili della missione «Minusca» inviata dall’Onu l’anno scorso. Non che sia cambiato granché, a Bangui almeno cento morti da settembre. Ma negli ultimi giorni «abbiamo avuto notizie confortanti» dice Lombardi. Il programma di Francesco è serrato: vertici ufficiali, visita al campo profughi, messa in cattedrale e incontri con vescovi, comunità evangeliche e giovani; domani andrà nella moschea del quartiere musulmano Pk 5 e celebrerà la messa allo stadio prima di rientrare a Roma.
La storia degli ultimi tre anni, nella Repubblica Centrafricana, è una sequenza di orrori: la nascita nel 2012 della coalizione musulmana Seleka che nel marzo 2013 depone il presidente Bozizé, scappato in Camerun; la nascita delle milizie cristiane degli «anti-Balaka», ovvero gli «anti-machete»; il presidente autoproclamato Djotodia che lascia nel gennaio 2014; la guerra civile e il reclutamento di diecimila bambini soldato, le violenze che si moltiplicano e hanno provocato migliaia di morti e quasi un milione di sfollati. La presidente provvisoria, Catherine Samba-Panza, sta portando il Paese ad elezioni (previste per fine dicembre). Chi soffia sull’odio religioso ha mire più terrene. Una delle popolazioni più povere del mondo vive in uno dei Paesi più ricchi di risorse: l’uranio a Bakouma, i giacimenti sparsi di oro e di ferro, il petrolio a Birao, il legname. «Una ong britannica, Global Witness, ha dimostrato come alcune aziende, impegnate nel business del legname, abbiano finanziato le milizie dei vari fronti, per mantenere lo status quo: imprenditori francesi, belgi, cinesi , tedeschi e libanesi», spiega il padre comboniano Giulio Albanese.
Mica per niente Francesco, in questi giorni, ha insistito sul «male della corruzione» e le «nuove forme di colonialismo» che affamano i poveri, denunciando «le organizzazioni criminali, al servizio di interessi economici o politici, che utilizzano bambini e giovani come carne da cannone per i loro affari insanguinati». In una giornata dedicata al ricordo dei martiri ugandesi e all’«ecumenismo del sangue», il Papa ha sillabato l’essenziale del viaggio nella Casa della carità di Nalukolongo: «Non dimenticare i poveri, i po-ve-ri!». E ai ragazzi nello stadio di Kampala: «Siete disposti a trasformare la guerra in pace?».
G. G. V.

SECONDO PEZZO DI OGGI
DAL NOSTRO INVIATO
KAMPALA (uganda) «Guardi, adesso in città è tranquillo. Ci sono in giro i Caschi Blu, dicono diecimila, la gente è impegnata a pulire, a mettere tutto in ordine. Gli stessi musulmani desiderano la sua presenza. Speriamo che l’arrivo del Papa dia speranza, inviti a ragionare. Che la sua parola sia ascoltata e non ricominci tutto dopo la partenza». Il padre comboniano Gabriele Perobelli, di Verona, ha 69 anni e sta in Centrafrica da quaranta. Era parroco di Nostra Signora di Fatima nel «Km 5» di Bangui, il quartiere dove Francesco visiterà domani la moschea, quando il 28 maggio del 2014 accadde ciò che qui chiamano «il massacro di Fatima»: diciassette cristiani morti, una ventina di feriti.
Che cosa è accaduto?
«Era mercoledì pomeriggio, la vigilia dell’Ascensione. Dei musulmani armati sono arrivati d’improvviso, hanno sparato su tutti quelli che stavano fuori dalla chiesa e lanciato due bombe contro il portone, pensando che gli altri fossero dentro. Io ero nella mia stanza, altri nelle sale di catechismo, non abbiamo potuto fare niente. Gli attentatori invece hanno fatto quello che hanno voluto, non c’erano Caschi Blu a proteggerci, non c’era nessuno».
Com’è la situazione, oggi, al «Km 5» di Bangui?
«Non è cambiato nulla. C’è una linea rossa che separa il quartiere dei musulmani, la grande maggioranza, dalla parte dove vivono i cristiani. Chi la varca lo fa a suo rischio e pericolo. Può trovarsi fatto a pezzi, bruciato. I musulmani usano il coltello e anche i cristiani hanno imparato a fare la stessa cosa. Ad ogni uccisione da una parte scatta la vendetta dall’altra. Si vive come prigionieri. Abbiamo visto scene terribili».
Perché accade questo?
«Gli interessi dietro gli scontri delle milizie sono i soliti. Il potere. E quindi il controllo dell’uranio, dell’oro, del petrolio, del legname. E la povera gente, musulmani e cristiani, è quella che ci perde sempre. All’inizio non era come adesso. Quando le milizie musulmane sono arrivate per conquistare il potere, dal Nord del Paese ma anche dal Ciad e dal Sudan, c’erano cristiani che si sono uniti a loro. Arrivati a Bangui, i musulmani hanno detto: adesso tocca a noi comandare. Lì è scattata la scintilla. E sono nate le milizie cristiane, che di cristiano hanno ben poco…».
Prima com’era?
«Cristiani e musulmani vivevano insieme, anche al “km 5”. Eravamo mescolati, nel quartiere. Si viveva pacificamente».
Il Papa rischia a venire a Bangui e andare nella moschea del km 5?
«La moschea sta in una zona ai margini del quartiere, distante da quella più pericolosa. Credo e spero di no. Penso corresse più rischi in Kenya. Certo andare nella moschea è un gesto molto importante».
E i cristiani come si preparano?
«Le parrocchie stanno organizzando l’accoglienza dei fedeli che arrivano dalle altre diocesi, le case sono stipate, ogni famiglia ne ospita altre. C’è attesa e gioia, anche per la grande messa è tutto pronto, si fanno tante chiacchiere ma non si sospende nulla».
Il Papa si prepara ad aprire la porta santa del Giubileo a Bangui, prima che a San Pietro…
«È tutto pronto, sono appena tornato dalla cattedrale dove si è fatta una prova generale: il rito penitenziale, Francesco che apre la porta ed entra con il seguito… È un segno straordinario: dice tutta la necessità che abbiamo in questo Paese di aprire le porte alla misericordia e alla grazia di Dio».
Prima di partire, Francesco entrerà nella moschea con l’imam. Che significato ha per musulmani e cristiani?
«Non tutti hanno gli stessi sentimenti nei cuori, non c’è solo odio. Tante persone sperano di vedere il Papa nella moschea, in una sua parola di riconciliazione e perdono».
In Kenya diceva ai giovani: per evitare il reclutamento dei fondamentalisti, la sola via è educazione e lavoro.
«Questo è certo. I giovani sono i più fragili, tanto più se abbandonati a se stessi, senza scuole né prospettive».