Alberto Piccinini, il venerdì di Repubblica 27/11/2015, 27 novembre 2015
NUOVA BERLINO O NUOVA DUBAI? NON È UN GIOCO DI QUARTIERE
BELGRADO. Nuova Berlino o nuova Dubai? A sedici anni dai bombardamenti della Nato e dalla tragica dissoluzione della Jugoslavia, buona parte dell’immagine futura dell’ex capitale Belgrado passa per la riconversione delle aree industriali nel centro città, specie quelle attorno alla vecchia stazione ferroviaria sulla riva destra del fiume Sava.
Savamala, più che un vero quartiere oggi è una striscia di palazzi bassi e scassati, fuligginosi alberghi liberty, strutture ferroviarie dismesse, magazzini e officine al di qua e al là del viale Karajordjeva che corre parallelo al fiume, dalla stazione di stile asburgico fino alle fondazioni monumentali del ponte Branko. Tutte le guide segnalano questo come il «cultural district»: bar, locali, sale da concerto, centri artistici e culturali, ostelli, street-art. Meta a colpo sicuro per il crescente turismo low cost giovanil-culturale, una piccola «nuova Berlino» balcanica appunto.
Ma c’è qualcuno che ha altri progetti per la zona. Faraonici è dir poco. Dallo scorso settembre un enorme poster appeso alla facciata della vecchia stazione svela ai passanti il rendering a colori accesi del Belgrad Waterfront: megacentro commerciale, hotel, palazzi ipermodemi e una nuova sistemazione del lungo fiume; tutto all’ombra di un grattacielo tondeggiante di 200 metri.
Belgrado, nuova Dubai. La definizione ha in sé un po’ di (voluta) imprecisione. La Eagle Hills – società responsabile del progetto – ha sede ad Abu Dhabi. Lo sceicco Khalifa Bin Zayed, che garantirebbe i 3,5 miliardi di euro stimati per la realizzazione del progetto, vanta già notevoli crediti e investimenti in Serbia.
Suo amico e sponsor politico è il premier Aleksandar Vucic, 45enne leader del Partito Progressista. Già giovanissimo e spietato ministro dell’Infonnazione di Milosevic, oggi è un nazionalista temperato dalle circostanze, europeista e da tempo sostenitore di una normalizzazione di quest’area della città. A fine settembre Vucic ha partecipato alla simbolica posa della prima pietra del primo palazzo di Belgrad Waterfront, le BW Residences. Due torri che promettono appartamenti con vista fiume e vibrant lifestyle incorporato, a 400 mila euro. In un Paese il cui reddito procapite si aggira sui 400 euro al mese, Eagle Hills annuncia tuttavia di aver già venduto il 75 per cento di quelli disponibili.
Lo stesso giorno della cerimonia il comitato No da(vi)mo Beograd (un gioco di parole tra «non affondiamo» e «non regaliamo» Belgrado) portava in piazza qualche migliaio di persone, soprattutto giovani frequentatori e animatori del quartiere. Non era la prima volta. All’inizio dell’anno, quando l’idea del Waterfront si è resa ufficiale, l’opposizione ha svelato il suo simbolo: una grande papera gialla di polistirolo. L’hanno parcheggiata davanti al Parlamento, portata in barca sul fiume, riprodotta in migliaia di palloncini. Tuttavia, non si può dire che questo sberleffo sia un sentimento generalizzato in città. Domina piuttosto lo scetticismo, l’antipolitica, una specie di blanda rassegnazione.
Spulciando le carte (piuttosto opache in verità) dell’accordo tra Eagle Hills e il governo serbo, i ragazzi del comitato hanno scoperto che Belgrade Waterfront sarà proprietà congiunta privata-pubblica rispettivamente al 60 per cento e al 30 percento; che il tempo limite di realizzazione è fissato in trent’anni (il primo annuncio sbandierava ottimisticamente il 2019); le cifre di investimento sono per il momento minime e i centomila posti di lavoro promessi ancora un boutade elettorale. Nessuno – e questa è la cosa più curiosa – è riuscito a inviduare archistar eventualmente coinvolte nella progettazione. Ancora nulla o quasi, in questo accordo, si dice delle sorti del «quartiere creativo». Se cioè Savamala e le sue vecchie strutture riadattate alla berlinese soccomberanno ai palazzoni luccicanti, anonimi, ma stile Dubai. L’assessore alla cultura di Belgrado Vukosavljevic ha detto che no, che Savamala resterà così com’è, semmai sarà «migliorata». La sua è la sola voce ascoltata fin qui.
In realtà, i ragazzi del comitato guardano con preoccupazione alla concessione gratuita alla Eagles Hills di uno dei più begli edifici liberty di Belgrado, il Geozavod, da trent’anni abbandonato nel cuore del quartiere, per farne la sua sede. E già temono che l’hotel Bristol a poche centinaia di metri, il cui ristorante è oggi un irripetibile palcoscenico di vecchi e nuovi nottambuli, possa fare la stessa fine. In generale assistono con un misto di impotenza e rabbia alla mano libera lasciata dal governo, sancita persino da una legge speciale. Quando si tira in ballo la mitologia berlinese bisogna sapere che le vie del rinnovamento urbano e della gentrificazione confinano quasi sempre con quelle della speculazione edilizia e della privatizzazione delle aree.
La velocità e l’enormità delle trasformazioni colpisce, certo. E Belgrado si può dire una «nuova Berlino» anche in questo. Un’altra cosa colpisce. La trasformazione di Savamala da quartiere di commerci e passaggio a «quartiere creativo» è avvenuta in neppure cinque anni. Pioniere è stato il Kc Grad, «centro europeo per la cultura e il dibattito» aperto in un magazzino abbandonato nel 2009. I suoi fondatori erano stati quelli che – neppure ventenni nei giorni peggiori della guerra – tenevano aperto un canale di comunicazione coi loro coetanei della ex Jugoslavia e con tutta l’Europa, scambiando musica, arte, idee. Tra loro gli animatori della leggendaria radio B92, che è stata definitivamente chiusa pochi mesi fa. Attorno al Kc Grad è fiorita Savamala: l’analogo centro culturale Mikser House, il Prohibition bar, gli ostelli decorati dai migliori Street-artist del mondo, le decine di locali sul lungo fiume dove nei weekend si suonano il rock «amerikano» (come dicono qui) e la migliore techno europea.
Non c’è nostalgia. Voglia di lasciarsi alle spalle il passato se ne respira in ogni angolo di questa città scassata e fuligginosa. Ma è significativo che il simbolico «nemico» di questa fioritura di piccola imprenditoria culturale ormai riconosciuta in tutto il mondo sia un leaderpolitico già pesantemente coinvolto col vecchio governo di Milosevic, al punto di esserne stato ministro dell’informazione. Infine: nessuno l’ha notato, e prudentemente il rendering di Belgrade Waterfront lo nasconde, ma la «nuova Dubai» sul fiume Sava si rispecchia preoccupantemente nella megacittà che fu già vanto del socialismo: «Nuova Belgrado», giusto sulla riva opposta del fiume. Costruita dopo la guerra da squadre di operai venute da tutto il Paese, palazzo dopo palazzo dietro il grattacielo di vetro del Comitato Centrale del partito, oggi Nuova Belgrado è ancora un monumento terribile e affascinante al brutalismo architettonico e alla sua sublime crudeltà. Cattiva coscienza di ogni nuova Dubai futura.
Alberto Piccinini