VARIE 24/11/2015, 24 novembre 2015
ANKARA
Alta tensione tra Russia e Turchia dopo che un caccia Sukhoi 24 dell’aviazione russa è stato abbattuto dagli F-16 turchi al confine con la Siria. I due piloti sono riusciti a lanciarsi con il paracadute ma secondo i ribelli russi sarebbero stati uccisi. Ankara ha accusato il velivolo di essere entrato nel suo spazio aereo e di aver ignorato i ripetuti avvertimenti con cui gli è stato chiesto di allontanarsi (VIDEO).
Turchia, aereo russo abbattuto al confine siriano
Mosca, però, ha negato lo sconfinamento e il presidente russo, Vladimir Putin, ha parlato di "un crimine", di "una pugnalata alla schiena sferrata da complici dei terroristi" e ha avvertito che l’incidente avrà "serie ripercussioni" sui rapporti tra Mosca e Ankara. Il capo del Cremlino ha affermato che il velivolo non minacciava la Turchia ed è caduto 4 chilometri all’interno del territorio siriano. Ma per gli americani l’episodio segna un "problema ricorrente" con le operazioni condotte dai russi in territorio siriano in queste ultime settimane. E Obama, ricevendo il presidente francese Hollande, ha ricordato che "la Turchia ha il diritto di difendere il proprio spazio aereo e il proprio territorio".
Caccia abbattuto, Putin: "E’ una pugnalata alla schiena"
La sorte dei piloti. I due piloti del bombardiere russo a bassa quota sono riusciti a lanciarsi in territorio siriano prima dello schianto del velivolo. La Difesa russa ha annunciato che uno dei due è stato ucciso una volta arrivato a terra, e che in una successiva missione di soccorso è morto anche un secondo soldato russo. Secondo il capo di Stato maggiore dell’Esercito libero siriano, Ahmed Berri, il jet russo "aveva appena bombardato dei civili nel villaggio di Jisr al-Shughur" e "uno dei piloti è stato catturato". In soccorso dei piloti abbattuti si era diretto nella zona un elicottero russo, costretto però a un atterraggio di emergenza nella provincia di Latakia dopo essere stato colpito da un missile anti-carro sparato dai miliziani. L’equipaggio di questo elicottero sarebbe stato portato in salvo da un secondo elicottero d’emergenza, ma uno dei membri della squadra è rimasto ucciso.
Jet russo, i ribelli siriani: ’’Missile su elicottero di soccorso’’
Le reazioni di Ankara e Mosca. Immediate le reazioni all’incidente nelle due capitali: Ankara ha convocato l’incaricato d’affari russo e ha ottenuto la convocazione d’urgenza per questo pomeriggio del Consiglio Nato del Nord Atlantico, massimo organo decisionale composto dagli ambasciatori dei 28 Paesi alleati. "È nostro diritto internazionalmente riconosciuto adottare tutte le misure necessarie contro chiunque violi il nostro spazio aereo o le nostre frontiere", ha affermato il premier turco Ahmet Davutoglu. Mosca ha risposto convocando a sua volta l’addetto militare dell’ambasciata turca, con la Duma che ha accusato Ankara di "aiutare i terroristi dell’Is". È stata cancellata la visita a Istanbul del ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov e il ministero degli Esteri ha chiesto ai russi di non recarsi in Turchia. Domani sarà a Mosca il ministro degli Esteri siriano, Walind Muallem, che sarà ricevuto dal presidente della Duma, Serghei Naryshkin, e probabilmente dallo stesso Lavrov.
Il retroscena. Secondo il sito di Sabah, l’ordine di abbattere il jet militare al confine con la Siria in base alle regole d’ingaggio dell’esercito sarebbe giunto direttamente dal premier turco, informato della violazione dello spazio aereo dal capo di Stato maggiore, Hulusi Akar. La zona in cui sarebbe caduto il caccia è stata oggetto nei giorni scorsi di un’offensiva del regime di Damasco, sostenuta dall’aviazione di Mosca, contro milizie ribelli.ì
Giornalisti russi feriti in Siria. Il ministero della Difesa russo ha reso noto inoltre che tre giornalisti russi sono rimasti leggermente feriti in seguito a un attacco con razzi anticarro di cui è stata fatta oggetto la loro auto. L’attacco sarebbe avvenuto vicino al villaggio di Dagmashlia, nella provincia di Latakia, in Siria.
Siria: il video del ferimento di tre giornalisti in diretta
L’attività diplomatica anti-Is di Putin. L’incidente arriva proprio nei giorni in cui il presidente russo Vladimir Putin è impegnato in un un tour de force diplomatico nella regione, con l’obiettivo di creare una coalizione internazionale contro l’Is. Oggi è previsto a Sochi un incontro con il re di Giordania, Abdullah II. Nei giorni scorsi ha avuto un lungo colloquio con Ali Khamenei, la guida suprema della repubblica islamica iraniana. Mosca ha anche revocato il divieto alle aziende russe sulla cooperazione nucleare con l’Iran.
Bombardamenti francesi in Iraq. Ieri dalla portaerei francese Charles de Gaulle, in navigazione nel Mediterraneo orientale, sono partite le prime missioni per bombardare le postazioni dell’Is, al momento limitate all’Iraq.
PUTIN: LA PERDITA DI OGGI È STATA UNA PUGNALATA ALLA SCHIENA DA PARTE DEI COMPLICI DEI TERRORISTI. NON POSSO DEFINIRE QUANTO È ACCADUTO IN NESSUN ALTRO MODO. UN NOSTRO CACCIA ABBATTUTO NEI CIELI DELLA SIRIA DA UN MISSILE ARIA-ARIA SPARATO DA UN JET TURCO F-16. SI TROVAVA SUL TERRITORIO SIRIANO, A QUATTRO CHILOMETRI DAL CONFINE TURCO
Tensione Mosca-Ankara: nave militare russa nel Mediterraneo
Una nave militare russa ha attraversato lo stretto dei Dardanelli entrando nel Mediterraneo poco dopo che l’aviazione turca, questa mattina, ha abbattuto un aereo russo nei pressi del confine con la Siria. Il primo a riferirlo è stato il quotidiano turco “Hurriyet”. Da quanto si apprende la nave "Yamal" è arrivata nel Mediterraneo intorno alle 13 ora turca, le 12 in Italia
RepTv News, Di Lellis: jet abbattuto, ora Putin sarà un problema per la coalizione anti-Is
Il caccia russo colpito dai turchi spacca il mondo impegnato nella guerra al Califfato. La dinamica non è chiara. Per Mosca volava sulla Siria. Per Ankara aveva sconfinato in Turchia. Certo è che non esiste un coordinamento militare efficace fra i vari paesi schierati contro l’Is. "Molti di loro continuano ad agire secondo agende proprie"
BORSE DEBOLI
MILANO - I listini europei trattano in ribasso in scia a dati poco entusiasmanti sulla crescita della Germania, ma a pesare sugli investitori c’è soprattutto la tensione tra Russia e Turchia, in seguito all’abbattimento del jet di Mosca. Negli Stati Uniti, invece, i dati sulla crescita confermano le aspettative e potrebbero spingere ulteriormente verso il rialzo dei tassi d’interesse; un quadro che rafforza il dollaro contro tutte le divise concorrenti.
L’euro risce a chiudere in lieve ripresa sul dollaro, dopo il minimo degli ultimi sette mesi toccato ieri a quota 1,0591. La moneta europea termina la seduta a quota 1,0640, ma sul valutario si registra il forte deprezzamento della lira turca dopo l’abbattimento del jet russo sui cieli di Ankara. Anche il rublo risente della nuova tensione. Salgono invece i rendimenti obbligazionari: i rendimenti dei decennali russi e turchi subiscono un incremento rispettivamente di 18 e 10 punti base, portandosi entrambi vicino al 10%.
Borse deboli sulla tensione Russia-Turchia. Il Pil tedesco rallenta, quello americano sale
L’improvviso ribasso della lira turca contro l’euro alla notizia dell’abbattimento del jet russo
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Piazza Affari chiude in rosso dell’1,55%, in linea con Francoforte (-1,43%) e Parigi (-1,41%), mentre Londra tiene meglio a -0,45%. La Borsa di Istanbul arretra di oltre 4 punti percentuali. "Le tensioni, che erano già su livelli molto elevati dopo i fatti di Parigi a cui hanno fatto seguito i raid aerei in Siria e Iraq, si sono propagate tra gli investitori internazionali. Tra la Russia e la Turchia torna il gelo, dopo che Putin ha definito l’attacco come una ’pugnalata alle spalle’. Crediamo che l’escalation delle tensioni possa minacciare seriamente il rally di fine anno sui mercati", rilevano a caldo gli analisti di Ig Markets. Anche Wall Street tratta in ribasso: il Dow Jones perde lo 0,5% e il Nasdaq scivola di quasi un punto percentuale.
In Germania, come accennato, l’economia è cresciuta dello 0,3% definitivo nel terzo trimestre dell’anno (in rallentamento dal +0,4% precedente) e dell’1,7% tendenziale, secondo i dati destagionalizzati che sono risultati in linea con le stime. I consumi privati sono saliti dello 0,6% congiunturale e quelli del governo dell’1,3%, mentre gli investimenti in costruzioni sono scesi dello 0,3%, l’export è salito dello 0,2% e l’import dell’1,1%. Sono stati i rilievi su esportazioni e investimenti a deludere leggermente gli analisti. Segnali di maggiore fiducia arrivano invece dalle imprese, con l’indice Ifo che a novembre segna un deciso aumento a 109 punti, rispetto al mese precedente quando segnava 108,2. Negli Stati Uniti, invece, il Pil del terzo trimestre è stato rivisto al rialzo al +2,1%, in linea con le aspettative di un progresso di due punti percentuali. Il dato si confronta contro il +1,5% della prima lettura e il +3,9% del secondo trimestre. Segnali negativi invece dalla fiducia dei consumatori americani: scivola a 90,4 punti in novembre.
Si stabilizza poco sotto i 100 punti lo spread tra i titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi: il rendimento del decennale italiano è poco sotto l’1,5%. Dopo il decreto salva-banche, il comparto del credito resta osservato speciale in Italia: "Abbiamo la necessità di usare tutti i possibili strumenti e spero che questa struttura possa andare in porto", ha detto Daniele Nouy, capo della vigilanza della Bce, sulla bad bank italiana per gestire le sofferenze bancarie. "Ma se non sarà possibile ci sono altre opzioni", ha precisato. Intanto l’agenzia di rating Fitch ha alzato a ’stabile’ l’outlook sul comparto tricolore.
La giornata, all’indomani dell’Eurogruppo che ha confermato i giudizi espressi dalla Commissione sulle leggi di bilancio degli Stati membri (Italia rinviata in primavera), presenta molti altri dati interessanti. In Francia la fiducia delle imprese è rimasta stabile a novembre a 102 punti, ma l’indice non riflette ancora l’impatto degli attacchi terroristici del 13 novembre, perché la gran parte delle imprese aveva risposto all’inchiesta prima di quella data. In Italia le retribuzioni contrattuali sono salite solo dello 0,1% mensile a ottobre, mentre l’Istat ha tracciato nel terzo trimestre un rallentamento dell’indice destagionalizzato del fatturato dei servizi, con un +0,1% sul secondo trimestre 2015. Male la bilancia commerciale, con l’export che soffre il rallentamento degli emergenti.
In Giappone, l’indice preliminare Pmi manifatturiero è salito a novembre a 52,8 dal 52,4 di ottobre. Chiusura in timido progresso per la Borsa di Shanghai, con l’indice Composite che sale a 3.616,11 punti a +0,16%. Lieve rialzo anche per la Borsa di Tokyo, dopo tre giorni di stop per il lunedì festivo: si tratta della quinta seduta positiva in fila. L’indice Nikkei ha guadagnato lo 0,23% arrivando a quota 19.924,89, ai massimi da fine agosto. A seguito di un’apertura negativa, c’è stata un’inversione di tendenza che si è riflettuta anche sull’indice Topix che ha chiuso a +0,17%, a quota 1.605,94.
In un contesto di debolezza delle materie prime, rimbalzano le quotazioni del petrolio: quando in Europa gli scambi si avviano a chiusura, il Wti a New York è in progresso di 2,5 punti percentuali in area 43, dollari al barile, in accelerazione proprio sulle tensioni internazionali. Tuttavia, alcuni analisti, ritengono che si tratti di una reazione a caldo che non sarà duratura, in quanto nell’area interessata non ci sono in gioco significativi giacimenti di petrolio. Dopo la debolezza della mattinata, con i corsi ai minimi da cinque anni, rimbalzano anche le quotazioni dell’oro: il metallo spot recupera lo 0,5% a 1.075 dollari l’oncia.
BOCCONI SU NECESSITA COORDINAMENTO
Video/Jet russo abbattuto, i rischi delle azioni unilaterali
L’episodio dell’abbattimento illustra il bisogno di coordinamento e cooperazione nelle azioni contro i pericoli internazionali, come spiega Giorgio Sacerdoti della Bocconi
L’abbattimento del cacciabombardiere russo da parte della Turchia al confine con la Siria mette in evidenza i rischi delle azioni militari unilaterali intraprese contro pericoli come il terrorismo organizzato, spiega in questo video Giorgio Sacerdoti, docente di Diritto internazionale alla Bocconi. Servono invece azioni coordinate, passando attraverso organizzazioni come il Consigli di Sicurezza dell’ONU.
LA STAMPA
newsletter
24/11/2015
maurizio molinari
corrispondente da gerusalemme
L’abbattimento del Sukhoi-24 russo da parte degli F-16 turchi sul confine siriano porta il conflitto in corso sul pericoloso ciglio di una guerra fra Stati. Al momento in Siria è in atto un conflitto civile che vede Mosca ed Ankara schierate con determinazione su fronti opposti: la prima sostiene il regime di Bashar Assad, la seconda i ribelli islamici che vogliono rovesciarlo. Entrambe le nazioni sono militarmente presenti in Siria: il Cremlino ha un contingente di almeno duemila uomini e oltre cento jet nelle basi di Latakia da dove conduce raid contro i ribelli, Ankara ha oltre 10 mila soldati schierati a ridosso del confine ed i suoi jet effettuano raid contro basi curde siriane.
La divergenza di approccio alla guerra in Siria è divenuta lampante al recente G20 quando Vladimir Putin, presidente russo, ha accusato individui di 40 Paesi - Turchia inclusa - di finanziare lo Stato Islamico (Isis) di Abu Bakr al-Baghdadi e la risposta è arrivata da Recep Tayyip Erdogan accusando Assad di acquistare greggio proprio da Isis per finanziare un nemico che lo rilegittima come leader nazionale. Tali e tanti contrasti nel mese scorso avevano portato anche ad attriti militari con i jet turchi “illuminati” dai radar russi lungo il confine: ora è questo fronte che diventa caldo. Precipitando il duello siriano fra Putin ed Erdogan sul sentiero più pericoloso.
MOLINARI 1 STAMPA.IT
STATI UNITI
Forze speciali per blitz più efficaci
«A giorni arriveranno in Siria le truppe speciali americane». È l’inviato Usa per la coalizione anti-Isis, Brett McGurk, ad anticipare quanto sta per avvenire: i soldati Usa affiancheranno i reparti curdo-arabi nell’offensiva per prendere Raqqa. Si tratta di un contingente ridotto ma affiancato da droni, satelliti, jet ed intelligence elettronica. È un intervento che evoca, in dimensioni più ridotte, quello a sostegno dell’Alleanza del Nord che strappò Kabul ai taleban a fine ottobre 2001. Ciò che più conta è che con i propri militari sul terreno, i raid Usa sono destinati ad essere più efficaci nell’identificazione degli obiettivi. Il Pentagono si è convinto della necessità di strappare Raqqa al Califfo al-Baghdadi e sta posizionando tutte le pedine sul terreno: più raid degli alleati - Gran Bretagna inclusa - più unità di terra curdo-arabe sostenute da elementi tribali e propri contingenti in prima linea. John Allen, l’ex ufficiale dei Marines predecessore di McGurk, non esclude che anche altri Paesi occidentali possano inviare truppe speciali, per compiere «operazioni congiunte».
RETROSCENA - Salta il tabù dei confini intangibili: “Dividere Siria e Iraq in Stati etnici” (di M.Molinari)
RUSSIA
Con la fanteria per riprendere subito Aleppo
I raid del Cremlino si concentrano nelle aree della Siria del Nord-Ovest con l’intento di consentire ai reparti siriani di Assad di riprendere il completo controllo di Aleppo. Riuscendoci, verrebbero tagliate le linee di rifornimento per i ribelli islamici che partono dalla Turchia del Sud. I comandi russi sono convinti che dal territorio della Turchia arrivano i maggiori aiuti per tutti i gruppi islamici, inclusi i missili antitank Tow. Nella provincia di Latakia ed Iblib i russi bersagliano pesantemente i ribelli islamici non Isis e ora, secondo fonti del Kuwait, fanno avanzare propri contingenti di terra con tank T-90. Puntano a travolgere le roccaforti dei ribelli a Sud di Aleppo adoperando anche missili lanciati dalle navi nel Mar Caspio e dai bombardieri strategici. Nelle province di Homs e Hama i raid russi colpiscono invece le linee di comunicazione dell’Isis. È grazie ai raid che i soldati siriani hanno riconquistato le città di Mahin e Hawwarin, a Sud di Homs, finora in mano allo Stato Islamico. Infine, Damasco: qui i russi colpiscono nella periferia i quartieri in mano ai ribelli ma finora hanno ottenuto risultati limitati.
SCHEDA - Chi è davvero al fianco di Isis? Tutte le accuse incrociate (di M.Molinari)
RIBELLI CURDI-ARABI
Puntare a Raqqa per tagliare i collegamenti con il nord Iraq
La coalizione delle «Forze democratiche siriane» è stata creata a metà ottobre con la partecipazione di unità curde ed arabe. Non include gruppi islamici ed è sostenuta dalla coalizione occidentale con armi ed istruttori. Opera nel Nord-Est del Paese ed ha come obiettivo Raqqa, la capitale del Califfato. Negli ultimi quattordici giorni ha strappato allo Stato Islamico 1100 kmq di territorio. Le aree liberate dai jihadisti sono a Est di Raqqa e coincidono con le linee di comunicazione terrestre verso Mosul, in Iraq. Si tratta dell’operazione gemella rispetto a quella riuscita ai peshmerga curdi iracheni a Sinjar. Tagliare i collegamenti fra Raqqa e Mosul significa dividere in due il Califfato, obbligandolo a disperdere le forze. Il primo passo verso due offensive separate: contro Raqqa da parte dei curdo-arabi e contro Mosul da parte delle forze governative irachene. L’offensiva di terra su Raqqa è sostenuta dai raid della coalizione. Quando Parigi e Washington parlano di «intensificazione dei raid» le unità curdo-arabe comprendono che la battaglia per Raqqa sta per iniziare. Per vincerla contano sulla cooperazione delle tribù locali.
IRAN
Duemila soldati già al fronte a sostegno di Bashar Al Assad
Teheran ha portato a duemila uomini il proprio contingente in Siria. Si tratta di truppe scelte, arrivate con un ponte aereo a Damasco e impiegate su due teatri diversi. Il grosso è a Sud di Aleppo, per affiancare le offensive di terra siriane, ed è qui che nell’ultimo mese hanno subito - secondo fonti ribelli - almeno 55 perdite. Ciò significa che hanno compiti di sfondamento, in prima linea, in maniera analoga agli Hezbollah libanesi presenti in Siria con almeno 5000 uomini. L’altra parte del contingente iraniano è dispiegata attorno a Damasco, nelle zone della periferia dove sono attestati i ribelli. Qui, a fianco degli iraniani, ci sono almeno 15 mila miliziani sciiti: volontari soprattutto iracheni e afghani a cui è affidato il pattugliamento delle zone urbane di confine. Fonti dell’opposizione a Damasco affermano che molti di questi volontari sciiti hanno una doppia missione: non solo combattere i ribelli ma anche insediarsi in città, in appartamenti messi a disposizione del regime, creando delle famiglie. Con l’intento di modificare la demografia cittadina: trasformando Damasco in una sorta di cantone sciita.
MOLINARI 2. DIVIDERE IL TERRITORIO DI SIRIA E IRAQ SECONDO CRITERI ETNICI
l tabù dei negoziati di Vienna è l’intoccabilità dei confini del Medio Oriente ma diplomatici, militari, leader religiosi e analisti di più nazioni sono protagonisti di un vivace confronto attorno all’ipotesi di sostituire Siria e Iraq con Stati etnici.
LO SCHEMA TEDESCO
James Dobbins, inviato speciale di Barack Obama in Afghanistan e Pakistan fino al luglio 2014, sostiene che «i negoziati di Vienna devono puntare al cessate il fuoco in tempi stretti per dare modo alla diplomazia di lavorare su una soluzione per la Siria sul modellO della Germania 1945» ovvero suddividendola in quattro Stati: curdo nel Nord, sunnita nel Centro, alawita sulla costa e quindi un’«area internazionale» dove ora si trovano i territori occupati da Isis. Insomma, Raqqa come Berlino. «La Germania è rimasta divisa per 44 anni, perché non immaginare una soluzione simile per la Siria?» si chiede l’ex stretto collaboratore di John Kerry. Lo «schema tedesco» che suggerisce è a base etnica, coincidendo con gli scritti di Eric Kaufmann, docente di nazionalismo al Birkbeck College di Londra, su «cantoni in Iraq e Siria autonomi all’interno di federazioni» oppure indipendenti.
UN NUOVO DAYTON
La necessità di partire dalle etnie per restituire stabilità alla regione viene anche dal Gruppo di ricerche e studi su Mediterraneo e Medio Oriente di Lione che, in settembre, ha pubblicato un documento redatto da Fabrice Balanche per richiamarsi agli accordi di Dayton grazie a cui nel 1995 si pose fine alla guerra di Bosnia definendo i confini del nuovo Stato sulla base della suddivisione dei territori serbi e bosniaci. «La divisione etnica c’è già in Siria - si legge nel rapporto - bisogna solo riconoscerla».
LA MAPPA DEI RAID
La Russia difende a spada tratta l’integrità territoriale della Siria ma osservando la mappa dei raid aerei condotti ci si accorge che coincidono con le regioni dell’Ovest dove potrebbe sorgere lo Stato alawita: la costa attorno a Tartus e Latakia, le aree limitrofe nelle province di Idlib, Hama e Homs, e Damasco.
IL GENERALE E L’AYATOLLAH
In agosto Raymond Odierno ha lasciato la divisa dopo 40 anni di servizio nelle forze armate Usa, che ha concluso come capo di Stato maggiore dell’Esercito dopo aver guidato le operazioni in Iraq. Prima di andare in pensione ha lasciato in eredità al Pentagono una sorta di testamento politico: «La priorità è combattere Isis ma sul conflitto sunniti-sciiti sono pessimista e in assenza di una riconciliazione andremo verso un futuro nel quale l’Iraq non sarà più quello di oggi» e la «spartizione su base etnica potrebbe diventare una soluzione». Il governo di Baghdad ha condannato aspramente le parole di Odierno ma poche settimane dopo il solitamente taciturno Grande Ayatollah sciita dell’Iraq, Ali Sistani, ha detto qualcosa di molto simile: «Senza riforme veloci e importanti saremo tutti trascinati verso la spartizione del Paese, che Allah non voglia».
QUATTRO STATI
Yoav Limor, veterano degli analisti militari israeliani, trae da tali premesse la conclusione che «per ridare stabilità al Medio Oriente bisogna passare dagli Stati geografici creati dagli accordi di Sykes-Picot nel 1916 a quelli etnici» e dunque «dopo la sconfitta dello Stato Islamico da parte della comunità nazionale» potranno nascere al posto degli attuali Siria e Iraq quattro diverse nazioni: sciita, sunnita, curda e alawita sui territori dove queste etnie costituiscono la maggioranza degli abitanti.
MOLINARI 3. CHI LOTTA DAVVERO CONTRO ISIS
Erdogan accusa Assad, Putin chiama in causa Turchia, Qatar e Arabia Saudita, l’Iran punta l’indice su Israele e viceversa, nelle sedi diplomatiche di Istanbul e nei ristoranti di Amman non si parla di altro: chi sono i fiancheggiatori segreti dello Stato Islamico (Isis)? È una discussione disseminata di indiscrezioni e sospetti che dà il polso dell’atmosfera in Medio Oriente.
Il greggio di Assad
Il presidente turco Erdogan, intervenendo al summit sull’Energia a Istanbul, ha accusato Bashar al Assad di «acquistare sottobanco petrolio venduto da Isis, pagandolo a peso d’oro». Ciò significa che «Assad sfrutta il terrorismo per rimanere in piedi» sotto due aspetti: ottenere il greggio che manca al regime e rafforzare un nemico contro il quale sta costruendo una sua nuova legittimità politica. «Isis è sostenuto da Assad», assicura Erdogan.
I finanziatori privati
L’affondo di Erdogan è arrivato pochi giorni dopo la chiusura del G20, che ha visto il presidente russo Vladimir Putin autore di un colpo di teatro, consegnando ai leader presenti una lista di finanziatori privati di Isis: si tratta di cittadini di 40 Paesi, ma spiccano in particolare i turchi, sauditi e qatarini. Sono individui che il Dipartimento del Tesoro Usa segue sin dal 2013, quando al-Baghdadi iniziò a ricevere donazioni - attraverso il Kuwait - in precedenza destinate ad altri gruppi sunniti in Siria e Iraq.
Sospetti a Istanbul
Fra i diplomatici europei accreditati a Istanbul e Ankara circolano con insistenza sospetti su presunte complicità fra il governo turco e Isis. La tesi prevalente è che Ankara ha consentito a Isis di rafforzarsi al fine di rovesciare il regime di Assad. La prova, indicata da più voci, sarebbe l’«autostrada della Jihad» fra il Sud della Turchia e il Nord della Siria che vede passare non solo i foreign fighters, ma anche i commerci illeciti che alimentano le finanze di Isis.
Ospedali nella Galilea
La tv libanese Al Manar, espressione di Hezbollah, accusa Israele di curare nei propri ospedali in Galilea un «grande numero di takfiri», ovvero jihadisti sunniti. Si tratterebbe di miliziani islamici, feriti in combattimenti, che attraversano la frontiera del Golan, vengono raccolti da Israele, curati e rimandati indietro. Israele nega tali accuse, affermando che sono civili feriti gravi - circa 1200 finora - curati «per ragioni umanitarie». Hossein Shariatmadari, direttore di «Kayhan», vicino ai conservatori di Teheran, definisce Isis «uno strumento di Usa e Israele nel complotto occidentale contro Assad».
Raid iraniani
Negli ambienti militari israeliani è diffuso il sospetto che dietro le «false accuse» di Hezbollah ci sia in realtà una complicità di fatto fra Teheran e Isis. La dimostrazione verrebbe dai movimenti iraniani in Iraq: l’offensiva massiccia contro Isis nella provincia di Dyala ha avuto successo grazie al sostegno dei raid aerei di Teheran, ma dopo essere riusciti ad allontanare i jihadisti dalla propria frontiera sono stati sospesi, allentando la pressione militare. Lasciando supporre di voler usare Isis con più obiettivi: spaccare il fronte sunnita, guidato dalla rivale Arabia Saudita, e spingere Washington ad allearsi proprio con Teheran per combattere i jihadisti in Siria.
L’origine delle armi
Il Centro di ricerche sugli armamenti nei conflitti, di base a Londra, afferma in un rapporto che le armi in possesso di Isis sono prodotte in Cina, Russia, Stati Uniti, Sudan e Iran. Includono almeno 656,4 milioni di equipaggiamento militare che gli Stati Uniti avevano lasciato all’Iraq e Isis ha catturato nelle basi militari così come ingenti forniture russe trovate nelle installazioni del regime di Assad.