Aldo Fontanarosa, Affari&Finanza – la Repubblica 23/11/2015, 23 novembre 2015
CALCIO-SCOMMESSA PER DALL’ORTO “COSÌ METTERÒ IN PIEDI RAI-PAY”
La Rai di Antonio Campo Dall’Orto tornerà in forze al tavolo dei diritti sportivi. Dove cercherà – oltre alla Nazionale, alla Coppa Italia, alle Olimpiadi, suoi cavalli di battaglia – altri eventi extra lusso, di calcio, tennis e basket. Per mostrarli su RaiUno, forse, oppure su RaiDue? Neanche per idea. La tv di Stato vuole inserirli in un catalogo di pregio – fatto anche di film, fiction, di frammenti del suo sconfinato archivio – che sarà consultabile con un abbonamento mensile (sul modello Netflix). Oppure anche in pay-per-view, pagando solo l’evento scelto. Il tutto grazie a un’app che rimanderà al catalogo di questa nuova Rai-Pay, in Rete. Il direttore generale dunque spinge la tv di Stato verso strade inesplorate, spaventato dalla staticità dell’azienda che dirige contrapposta al dinamismo dei concorrenti (vecchi e nuovi). Mentre Viale Mazzini è relegata nel recinto della televisione tradizionale, tutto intorno il mondo è cambiato. Nei suoi documenti di lavoro, Campo Dall’Orto valuta ad esempio il diretto concorrente Mediaset, che conserva i suoi canali gratuiti, rilancia la pay-tv Premium (grazie all’esclusiva Champions) e intanto presidia l’offerta Internet a pagamento, con il catalogo Infinity. A proposito di web, l’intera galassia dei siti Mediaset ha all’attivo 24,4 milioni di pagine viste a persona contro i 12,7 milioni del servizio pubblico, che dunque è quasi doppiato (nei primi 6 mesi del 2015). Normale quando i tuoi siti mancano – per dirne una – di “interfacce grafiche” e “standard unici” che permettano una visione eccellente (a prescindere dal sistema operativo e dal dispositivo che usi, se un pc, un Mac, un tablet Android, uno smartphone Apple). Su interfaccia grafica e standard, la tv di Stato stima di essere bellamente ultima. Battuta da Mediaset, da Sky, anche da la7 (la migliore in Italia). Intanto che la Rai arranca e Mediaset tiene il punto, tutto intorno i concorrenti si moltiplicano in Italia. Youtube è un competitore diretto per la voracità nella raccolta di pubblicità mentre Infinity (ancora lei), iTunes e Google Play vendono già contenuti in pay-per-view. Tim Vision – insieme a Netflix e a Sky Online – ha la sua offerta in abbonamento. E non sfugge al vertice di Viale Mazzini che proprio Tim Vision sia prossima a un salto di qualità con l’arrivo di un socio specializzato nei contenuti come la francese Vivendi, nuovo dominus di Telecom. In questo scenario, i “millennials” – gente che ha tra i 18 e i 34 anni e che vive aggrappata allo smartphone – guarda un tg, un pezzo di un concerto, un video quando vuole, dove vuole, come vuole. Tra questi giovani, Internet raccoglie ormai 5,7 milioni di utenti unici contro i 4,2 milioni della televisione (a giugno 2015). Ora la Rai sa bene di non aver mai sedotto i nativi digitali con le sue reti tradizionali. Qui i grafici aziendali, impietosi, confermano che solo i canali per bambini (come Rai Gulp e il gioiellino Rai Yo Yo), Rai4 e Rai Movie (ancora piccoli negli ascolti), le reti sportive e RaiTre pescano al di là del mare degli anziani e dei pensionati. Oggi Viale Mazzini ha capito anche che non recupererà i giovani persi alla tv – con i suoi siti sbagliati e arretrati. Il rilancio della nuova Rai passa dunque dall’adozione di un modello tVoD (Campo Dall’Orto lo scrive nero su bianco) che prevede la vendita in pay-per-view di film, di fiction, di partite di tennis e calcio. Serie A inclusa, viene da pensare. Quest’anno, il Pacchetto dei diritti per la trasmissione delle gare via Internet è stato snobbato da Sky e Mediaset finendo a prezzi di saldo alla Infront (consulente della Lega Calcio nella partita dei diritti). Si tratta del Pacchetto D che ha in pancia 114 partite, tre per giornata. Un tesoretto di eventi – finanche low cost per l’editore interessato – che sarebbe perfetto per saziare la fame di contenuti pay di Viale Mazzini. Campo Dall’Orto guarda anche in casa sua. Nel 2014, le sole RaiUno, RaiDue e RaiTre hanno trasmesso 17 mila 910 ore di programmi in “prima visione” e 6 mila 530 ore in “replica”. E’ un enorme serbatoio che alimenterà stavolta il catalogo a pagamento di Viale Mazzini (è il secondo modello pay, quello ribattezzato sVoD, lo stesso di Netflix, per capire). La condizione è che la tv di Stato abbia anche i diritti di trasmissione via Internet di questi eventi. Una prima stima dice che – dal 2006, dal lancio di Rai.tv – sono finiti in cascina 11 mila 273 “contenuti tv” utilizzabili anche sul web. Ma quanto tempo ci vorrà per trasformare la Rai – come dicono gli esperti – da emittente tradizionale in media company? Campo Dall’Orto userà i 3 anni del suo mandato, più altri due in caso di conferma. L’operazione richiede 5 anni – scrive – e si chiuderà solo nel 2020. Se Rai-Pay è una sfida di lungo periodo, il nuovo vertice deve gestirne un’altra con tempi più fulminei. In ballo ci sono le due newsroom unitarie che trasformeranno l’informazione del servizio pubblico. Il Piano già approvato dal vecchio Consiglio di Viale Mazzini e dalla Commissione parlamentare di Vigilanza – prevede l’accorpamento del Tg1, del Tg2 e di Rai Parlamento nella Newsroom 1; di Tg3, RaiNews 24 e della Tgr (la testata regionale) nella 2. Ora, Campo Dall’Orto ha accolto con una qualche freddezza questo Piano. Intanto il manager di Conegliano Veneto sarebbe partito volentieri dalle reti tv più che dai telegiornali, per sua storia professionale, per attitudine e mentalità. Ma non è solo questo. Campo Dall’Orto teme anche un asprissimo confronto sindacale visto che le due Newsroom unificate portano con sé decine di esuberi tra i giornalisti. Le prime simulazioni riservate non confermano il numero di 250 esuberi (ipotizzato dal sindacato dei giornalisti, l’Usigrai, furioso). Ma l’impatto sarà comunque rilevante soprattutto tra le figure di vertice delle redazioni (come i capiredattori, i vice capiredattori, i capi servizio). Sovradimensionata è anche la super redazione Interni che nascerebbe dalle nozze tra i cronisti politici di Tg1, Tg2 e Rai Parlamento. In ogni caso, il Piano non è archiviato, al punto che il direttore generale lo porterà al Consiglio di amministrazione del 27 novembre. Il Consiglio valuterà anche gli strumenti per gestire la grana degli esuberi. Tanti cronisti usciranno dalla Rai in modo naturale (per anzianità). Ci saranno, poi, esodi indolori perché incentivati. E infine saranno ridimensionati i contratti giornalistici a termine, di cui sono disseminati i programmi delle reti e le rubriche dei telegiornali. Se questi strumenti saranno giudicati congrui, allora il nuovo vertice Rai potrebbe rompere gli indugi e nominare entro l’anno i direttori delle Newsroom 1 e 2. E i nuovi direttori partiranno ancora da lì. Dalla definizione delle piante organiche delle redazioni integrate. Sempre entro l’anno, Campo Dall’Orto darebbe il via libera alle gare per gli interventi materiali del Piano, a partire dal rifacimento delle palazzine di Saxa Rubra a Roma, dove lavorano i redattori e i tecnici. Anche queste gare sono sulla rampa di lancio, basterà premere il tasto rosso. Si farà, alla fine, la riforma delle news? In fondo servono solo 23 mesi per completarla. Il nuovo vertice della Rai ragiona su un sondaggio di giugno 2015 che misura la reputazione di cui gode la Rai in Italia. I dati chiave sono ancora sopra la sufficienza, ma in calo rispetto a marzo 2014. Insomma: gli italiani guardano alla tv di Stato, la giudicano, la criticano. E prima di fermare il Piano Newsroom per lasciare tutto immobile com’è oggi, questa Rai dovrà pensarci bene.
Aldo Fontanarosa, Affari&Finanza – la Repubblica 23/11/2015