23 novembre 2015
Intervista a Abass– Ventidue anni, nero, italiano, con sprazzi di immarcabilità e alti mai visti in carriera
Intervista a Abass– Ventidue anni, nero, italiano, con sprazzi di immarcabilità e alti mai visti in carriera. Nel destino di Awudu Abass c’è l’America dei canestri, passando per Cantù, la squadra di cui è capitano, faro, uomo ovunque. Lei, Abass, con Daniele Cinciarini e Aradori è il miglior marcatore italiano del campionato. «La nuda statistica da sola non spiega. Il numero però racconta una cosa fondamentale: che la squadra si fida di me, mi dà i palloni che scottano, che ho imparato a gestire la tensione». Ala piccola, 198 cm, mani roventi. «La mia è stata una crescita costante, tre anni fa non giocavo, due anni fa poco, con un’apparizione in Eurolega e un canestro contro il Real Madrid. Lo scorso anno di più». Oggi non la tengono. E l’Nba ha già bussato. «Dicono...». È vero che durante l’estate è stato a un passo dal grande salto? «Sono finito ai margini del draft, non lontano dalla chiamata, emissari dei Jazz e dei Mavs erano venuti a vedermi durante l’Euro Camp. Il sogno resta, ma so che c’è un modo solo per prendermi l’America: fare il massimo con Cantù ». Lo scorso anno ha avuto come compagno di squadra per qualche partita Metta World Peace. «Una lezione: era il primo ad arrivare al palazzetto, due ore prima degli altri. Ma come, uno con la sua storia che si comporta come l’ultimo del roster, come un ragazzino? È così, un professionista incredibile, umile, disponibilissimo». La sua storia, Abass, invece dove inizia? «A Como, sono nato qui, ho preso la cittadinanza a 18 anni, mi sento pienamente italiano, la mia è una storia di integrazione felicissima. Padre ghanese, madre nigeriana, una famiglia che ha provato la via dell’Italia, è andata bene. Ho iniziato a giocare a 13 anni, ero alto e forte già allora. Cantù, sempre, in autobus i primi tempi, ogni santo pomeriggio ». Mai avuto problemi per via del colore della sua pelle? «Qualcuno, da bambino, niente di speciale, qualche parola di troppo da ragazzini della mia età. Conosco chiunque da sempre a Como». Lei è musulmano. «Sì, frequento la moschea, prego, è la mia fede, una fede che non è mai imposizione, che non chiede sacrifici e sangue umano. Ciò che è accaduto a Parigi, ciò che accade tra Siria e Iraq non ha nulla a che fare con il credo di un miliardo di persone». Quando il turning point della sua carriera? «All’Europeo Under 20, vinto con gli azzurri nel 2013, un torneo in cui ho fatto benino per lunghi tratti, bene per altri: lì si è visto il vero Abass, per la prima volta. Il resto deve ancora arrivare, anche se i 14,2 punti di media in questo campionato e l’aver migliorato la mia attitudine difensiva mi dicono che sono sulla strada giusta. Alla prima di campionato, con Sassari, ho fatto 3/15 al tiro. Tornando negli spogliatoi mi sono detto “mai più”. Poi la palla ha iniziato a entrare». La Nazionale alle Olimpiadi, oltre ai tre Nba, dovrà portarcela anche lei. «Innanzitutto dovrò convincere il ct Messina, ma sono pronto a prendermi le mie responsabilità in campo e nel gruppo. Certo, servirà una grande impresa». Lei tifa Lakers. «Sì, gialloviola da tutta la vita. Mi piace il gioco che fanno laggiù, fisico, cattivo, la lotta spietata, la dimensione della sfida: mi vedo lì. Quando, non importa».