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 2015  novembre 20 Venerdì calendario

IN QUESTO MOMENTO SONO MORTO SENZA NEANCHE AVER AVUTO IL FUNERALE

Andrea Scanzi gli ha appena inviato un messaggio su WhatsApp: «Resistiamo!».
Lui si gira verso di me, digrigna la mascella in una smorfia e dice: «Vedi? Dobbiamo resistere». Ha i coglioni girati, ha appena visto un numero di Rolling Stone che mette in mostra le 100 facce della musica italiana e lui non c’è. «Che pensi, se divento più bravo ci metteranno anche me? Devo fare ancora un po’ di strada, sono ancora giovane... Devo aspettare un po’, devo resistere». Si toglie gli occhiali da sole solo una volta in quattro ore, e quando se li toglie fa così: «Un cia a facc’ chiù!». Edoardo Bennato è stanco, si rilassa a un tavolo del ristorante milanese La Mantia, dell’omonimo chef Filippo, suo amico da una vita, che racconta: «Io ho cominciato a suonare la chitarra dopo aver visto un concerto di Edoardo». Bennato mostra ancora i denti storti, storti come l’umore di questa sera: «Mi hanno detto la stessa cosa pure Jovanotti, Ramazzotti, Ligabue. Ma anche Vasco, ogni volta mi dice: “Ho pensato che volevo fare anche io il cantautore dopo averti visto a Modena”».
E allora perché non sei tra i primi 100?
«Dall’industria discografica sono stato sempre schifato. Quando feci l’album Non farti cadere le braccia, avevo già fatto nove anni di gavetta, dentro c’era pure Rinnegato, pensavo che fosse buono, invece dopo tre mesi il direttore della Ricordi mi chiamò e mi disse: “No guarda, lasciamo perdere perché hai la voce sgraziata”. Poi nel 1977, con Burattino senza fili, ho battuto il record di vendita dei dischi in Italia e sono diventato nazional popolare mio malgrado. Però qual era la testata che sancisce in nazional popolare in Italia?»
Tv Sorrisi e Canzoni.
«E secondo te mi hanno dato la copertina? Venivo preso a calci in faccia da destra e da sinistra, da sopra e da sotto. Fino a che uno ha le spalle forti, ok, ma ora mi sono proprio rotto le scatole, questo è il succo del discorso».
Hai riempito San Siro nell’80 con 100mila persone, roba che lévati...
«Se fossi uno sportivo sarei tra i 100 migliori atleti, perché nel campo dello sport ci sono i numeri a sancire le tue capacità rispetto agli altri. In questo mestiere invece ci sono i media a enfatizzare o annullare quello che fai. E se non ho più esposizione, dove vado?».
Dai, tu sei comunque Edoardo Bennato, ti sei tolto le tue soddisfazioni...
«Eh sì, ce lo facciamo fritto Edoardo Bennato. Tu mi dirai: “Edoardo ma che te ne importa ja, stai allegro, sei ancora vivo, vitale, cammini ancora”, giusto?».
Giusto. E adesso è appena uscito con Pronti a salpare, il nuovo album. Mentre parla fisso il suo indice destro: l’unghia è nera. Che hai fatto al dito, chiedo. «Mi sono chiuso la mano dentro la macchina, con grande divertimento di Gaia, mia figlia piccola di dieci anni. Cioè, prima si è spaventata, poi si è messa a ridere e mi ha detto: “Papà, ma come hai fatto a mettere la mano lì?” Ti faccio vedere la foto di Gaia, così parliamo di cose belle e non di cose amare». Cerca il video, Gaia canta una canzone in inglese, e spiega: «Lei sta a Napoli, ma fa la scuola americana».
In Io vorrei che per te citi L’isola che non c’è e sembri rivolgerti proprio a tua figlia, è così?
«Se è vero che l’isola che non c’è rappresenta l’utopia, il sogno irrealizzabile, adesso invece questo non è più accettabile. Una volta in questo Pianeta esistevano i compartimenti stagni: se nel Bangladesh c’era lo sfacelo, il resto del mondo andava avanti. Se invece ora c’è lo sfacelo in Iran o in Nigeria, il contraccolpo arriva fino a noi. È cambiata la visione del mondo e noi dobbiamo adeguarci, non possiamo più pensare di sognare retoricamente l’isola che non c’è. Dobbiamo fare in modo che ci sia veramente».
Quanta fiducia hai nel futuro?
«L’umanità si trova sempre di fronte a certe emergenze. Ti faccio un esempio: c’è una famiglia umana adulta che vive in una certa zona latitudinale, tanto per intenderci quella dove c’è differenza tra l’estate e l’inverno, e poi c’è una fascia in cui questa differenza non c’è ed è perennemente estate, la zona equatoriale, in cui vive guarda caso tutta la fascia disgregata della famiglia umana. Ci sono punti di tensione pazzeschi. La zona di confine tra Messico e Stati Uniti, per esempio. Quando attraversiamo il confine per passare a Ciudàd Juarez si arriva all’inferno. È una città dove c’è un omicidio ogni mezz’ora, è vero che anche noi a Napoli non scherziamo ma qui non riusciamo a fare più di due morti ammazzati alla settimana, non possiamo certo competere con Ciudàd Juarez. E ci sono altri posti nel mondo dove c’è questa situazione. L’obiettivo prossimo venturo è questo, colmare il gap tra la Bolivia e Chicago. Come riuscirci nel modo meno traumatico possibile? Adesso per esempio il trauma è sotto i nostri occhi, arrivano in decine e centinaia di migliaia, qualche milione, e come fronteggiamo? Sono tutti impreparati. Ognuno fa i discorsi per il proprio uso e consumo. Si scontrano tra di loro, si azzannano tra di loro, anche i due Mattei».
Però la tua prospettiva alla fine è ottimista, vedi una speranza, un futuro, una luce laggiù in fondo...
«Sì è vero. Se è vero che sono amareggiato dal fatto che in questo momento sono morto senza neanche aver avuto il funerale, però almeno c’ho una figlia a casa che mi dà gioia. Si chiama Gaia, non è un caso».
Perché dici di essere morto senza neanche aver avuto il funerale?
«Perché è la cruda verità».
Spiegami perché.
«Ti sembra che io sia un pazzo, uno squilibrato? Chiedilo a loro».
Loro sono il suo manager Franco De Lucia, il suo road manager e il suo chitarrista, seduti al nostro tavolo. Sono tutti di Bagnoli, come Bennato. Abitavano nello stesso condominio e non si sono mai separati. «Dovresti chiedere: “È possibile che non siete riusciti a difendere ‘sto qua in questi decenni? No, non ci sono riusciti. Comunque era una cosa che piaceva molto a Fabrizio De André, il fatto che io fossi circondato da questi amici d’infanzia, che uno si era inventato il mestiere di manager, uno faceva il tecnico del suono, però comunque stavano con me, quindi dovremmo chiedere a loro, se hanno un’idea, che cosa potrebbe essere successo. Oltre al giornalista Andrea Scanzi, l’unico che mi difende è Ringo. E non mi difende per la mia storia, mi difende perché è venuto recentemente a un mio concerto e ha visto come sta la situazione, quali sono i valori in campo tra me, Ligabue, Vasco e gli altri».
Mi hai parlato dell’Italsider, di Napoli, degli amici, ma se tu chiudi gli occhi, il primo ricordo che hai qual è?
«La vista di viale Campi Flegrei, che era un po’ in discesa, questa strada mi invitava a correre. Non solo, ma io faccio un sogno ricorrente, in cui prendo la rincorsa e poi volo...».
Tu hai sempre uno sguardo molto particolare sulla realtà, sei sempre molto dissacrante, satirico. Ma voti oppure no?
«Il problema è questo: l’Italia è un Paese non solo senza coscienza, ma non è neanche una nazione, quindi è talmente tutto sconclusionato che con quale spirito tu vai a eleggere un delegato se sai che a prescindere non potrà combinare niente? Però ho conosciuto Luigi Di Maio, del Movimento 5 Stelle, ed è fortissimo. Non potrà mai essere disonesto, è geneticamente onesto».
Lui lo voteresti come sindaco di Napoli?
«Guarda, farei bene a starmi zitto. Siccome stasera sono esasperato parlo un po’ troppo. L’Italia è ingovernabile, è come il gioco delle tre carte. Di Maio è l’unica persona che stimo, mi fido di lui, sono un napoletano pieno di buona volontà. So che Beppe dice tutte cose sacrosante, ma dove andiamo a parare? Quale Italia vogliamo e possiamo salvare? A Imola e dintorni ce n’è una che funziona più o meno bene sobbarcandosi di tutto il marciume che arriva da Roma, ma in Campania e dintorni ce n’è un’altra e Luigi sa di cosa stiamo parlando. Facciamo come Renzi Matteo che il giorno della catastrofe, al posto di prendersi qualche vaffa a Rossano Calabro, stava alla festa dell’Unità in una località del reggiano a prendersi pacche sulle spalle?».
Stai avallando la tesi del federalismo.
«Vedi, perciò io non parlo. Corro il rischio che quello che dico venga mal interpretato, usato a uso e consumo dei miei denigratori o delle fazioni politiche».
Chi mal interpreta, lo fa in buona fede, perché il concetto è veramente complesso, e invece tutto il resto della società semplifica.
«Ma i risultati quali sono? Sono sotto gli occhi di tutti. Figurati, io auspicherei che Renzi Matteo riuscisse a risolvere i problemi e a sanare lo squilibrio che c’è tra Taranto, Caserta, Lamezia Terme, Reggio Emilia e Cuneo. Certo, perché ho anche una figlia, qui tra un po’ va a finire a pesci fetenti. Ma ho la percezione che neanche il grillo parlante e i Grillini possono risolvere il problema. Mettiamo che Luigi Di Maio, per una serie di circostanze, fra tre anni sia Presidente del Consiglio, che cosa potrà fare? Porta i carri armati? L’anti Stato è più potente, c’ha più soldi. Luigi le sa queste cose qua».
Credi in Dio?
«Vedi, Dio l’abbiamo creato noi e non viceversa. Quindi così come abbiamo creato Dio, creiamo tutto quello che ci circonda. Mentre invece nelle facoltà umanistiche si parte dal presupposto che sul pianeta il cattivo sia l’uomo, soprattutto tra quelli che hanno un pensiero sinistramente sinistro. E questo è uno dei tanti paradossi perché le materie umanistiche girano proprio intorno all’uomo. E se tu chiedi a queste persone di scegliere di indossare una t-shirt con scritto: “Sono contro le leggi della natura” o “sono per le leggi della natura”, secondo te cosa scelgono?».
Di mettersi la t-shirt con scritto: «Sono per le leggi della natura».
«Anche per me. E ora facciamo una cosa: facciamo una zoomata sul pianeta, l’uomo non c’è ancora, siamo prima dell’evoluzione della specie, vediamo che succede. Andiamo in un prato qualunque dove ci sta un animaletto in agguato pronto a mangiarsi un animale più piccolo, oppure zoommiamo su una scena ancora più idilliaca, di amore materno, la leonessa che intercetta la mamma delle giraffe, la fa a pezzi e la porta in pasto ai cuccioli. Senza l’essere umano la natura è caratterizzata dalla sopraffazione di essere su altri esseri. Noi la chiamiamo violenza, per la natura no, è normalità. Noi abbiamo il senso del bene e del male, la natura è neutra».
Tu ti metteresti la maglietta contro o per la natura?
«Contro la natura, è chiaro. Io immagino o ipotizzo un mondo in cui siano tutti quanti uguali. In cui non ci siano quelli che sfruttano gli altri, quelli che muoiono di fame, quelli che si ammazzano tra di loro, in cui non ci sia violenza».
E il calcio? Sarri e il Napoli come stanno andando?
«In una situazione talmente avariata come a Napoli, forse l’unico elemento coagulante è proprio il calcio, è sempre stato così. E io stesso che faccio il filosofo e lo scienziato, quando si tratta del Napoli non guardo in faccia nessuno».
Cè qualcuno che ti manca?
«Mah, se non altro adesso se c’era De André gli facevo sentire Pronti a salpare».
Dimmi un aneddoto.
«Un giorno eravamo in un ristorante di Pau, in Sardegna. A un certo punto lui si ferma e mi fa: “Edoardo mi raccomando, il giorno in cui non avrai niente da dire, è meglio che stai zitto”».
Ovviamente non posso esimermi dalla domanda su Pino Daniele.
«Tre anni fa andammo a Lampedusa, e a un certo punto mi guardavo anche le prove. Zucchero bravissimo, serie A, era ironico, divertente, rock. Poi c’era Pino, che nonostante non stesse bene, andava bene, anche lui fortissimo. E gli altri che vedevo erano un disastro. C’è un luogo comune, un modo di dire: “Caspita, sono sempre i migliori che se ne vanno”. È vero... Qualcuno non se ne va in questo senso, ma se ne va per disperazione. Ivano Fossati, per esempio. È difficile che io senta qualcosa di italiano che mi dia la carica, che mi faccia dire: “Cavolo avrei voluto farlo io”. E mi è successo proprio qualche anno fa quando ho sentito un suo pezzo, Una notte in Italia. Non è un caso che negli ultimi due anni Fossati si sia schifato della musica e si sia tolto di mezzo, è emblematico».
E tu, come vorresti morire?
«Io confesso che non vorrei proprio morire. Mai».