Paolo Griseri, la Repubblica 18/11/2015, 18 novembre 2015
ARTIGIANI.COM
«Bea è una di quelle donne in perpetuo movimento di pensieri, di sentimenti, di emozioni e di azioni. Ora però ha deciso di fermarsi, una sosta per riprendere fiato. Seduta in quel bar che affaccia sull’orizzonte senza fine del mare blu, Bea fissa l’impronta che il rossetto ha lasciato sulla tazzina bianca del suo caffè. Lo sorseggia, poi si perde in quella vista che è incanto». La prosa è di Luca Carbonelli, artigiano torrefattore dell’interland napoletano. E’ sbarcato su internet quasi per disperazione: «La crisi ci stava facendo chiudere. Qui a Melito di Napoli subivamo la concorrenza dei grandi marchi che invadevano i supermercati a prezzi bassi. Nel 2006 abbiamo cominciato a giocare la carta di internet. Sembrava l’ultima spiaggia. E invece abbiamo svoltato. In poco tempo abbiamo quadruplicato il fatturato e ora vendiamo in tutta Europa». Va bene. Ma Bea, la storia del bar sul mare, il rossetto sulla tazza... era proprio necessaria? «Su internet è fondamentale. Io non posso far sentire l’aroma ai miei clienti in Germania. Devo raccontargli la storia, invogliarli, convincerli che il caffè Carbonelli ha una torrefazione speciale, unica al mondo. Solo cosi riusciamo ad avere un negozio con 7 miliardi di clienti potenziali».
Il produttore di caffè di Melito di Napoli è l’esempio di una nuova generazione di artigiani che attraverso internet uniscono tradizione e innovazione: producono locale e vendono globale. Un recente accordo tra Cna, che rappresenta quasi 700 mila artigiani italiani, e due colossi della rete come Google e Amazon, cerca di favorire il cambio di pelle nelle piccole e piccolissime aziende. «Il futuro è cambiato», dice Luca Iaia, responsabile della comunicazione digitale di Cna. E spiega che «per l’artigianato italiano, sempre più apprezzato nel mondo, internet rappresenta lo strumento di una potenziale rinascita». Cna ha commissionato un’indagine sull’Italia digitale e le imprese. E’ stato scelto un campione di 3.056 aziende e di queste circa l’85 per cento ha meno di 10 addetti. Una proporzione che rappresenta fedelmente il panorama italiano. La digitalizzazione delle micro imprese, quelle fino a 9 dipendenti, è ancora relativamente bassa: solo il 61 per cento ha un sito internet. Nelle imprese oltre i 20 addetti la percentuale sale al 97,7 per cento, praticamente la totalità. Eppure è proprio nelle imprese di dimensioni molto ridotte che si nascondono produzioni molto particolari e dal mercato potenziale molto vasto. «Quel che conta – dice Giulio Lampugnani, responsabile del progetto Made in Italy di Amazon – è saper utilizzare la rete, conoscerne le regole e le malizie». In Gran Bretagna e in Usa, ad esempio, l’artigianato dei gioielli e del design italiano è molto apprezzato. Ma è dimostrato che se si riesce a inserire sul sito un riferimento ai vetri di Murano il pubblico inglese si dimostra particolarmente sensibile. Amazon ha cominciato a costruire una vetrina del Made in Italy (amazon.it/madeinitaly) partendo dai prodotti di artigianato fiorentino per allargare a circa 100 botteghe di ogni parte d’Italia. «Per ora – spiega Lampugnani ci siamo limitati all’abbigliamento, l’arredamento e l’oreficeria». Manca insomma, accanto al lusso e alla creatività, l’altro grande atout dell’artigianato italiano rappresentato dalla produzione alimentare.
Nonostante tutti gli accorgimenti per rendere più appetibile il proprio sito, è chiaro che internet non va bene per tutti: «E’ molto più difficile avere il salto di qualità per certi settori merceologici», ammette Iaia che cura il progetto Digitaly (www.digitalyimprese. it). La ricerca di Cna mette in evidenza che il 77 per cento delle aziende alimentari dispone di un sito internet mentre la percentuale crolla al 48 nei trasporti e al 52 nel settore delle costruzioni. Ma è anche vero che il diffondersi della digitalizzazione finirà per modificare la mappa dell’artigianato italiano premiando le aziende che hanno un prodotto originale da proporre (o sono particolarmente brave a farlo credere agli utenti del web) e condannando all’estinzione quelle che non hanno una particolare specializzazione.
«Non di rado – racconta Lampugnani – sono i figli o i nipoti dell’artigiano ad aiutarlo ad orientarsi. Nella rete contano le immagini, i video, le suggestioni. Ci sono degli accorgimenti imprescindibili, delle parole chiave. La prima regola è quella di descrivere il prodotto nei minimi particolari. La seconda è quella di inserire nella descrizione particolari che attirano i potenziale cliente: se un prodotto è fatto a mano, se il materiale è la vera pelle, se soprattutto si può utilizzare il termine made in Italy, si riesce a creare nei clienti un’attenzione particolare ». Per un colosso delle vendite online orientato soprattutto al mercato d’oltre Atlantico, la scoperta dell’artigianato italiano può riservare delle sorprese: «Può capitare di vendere online in Usa un paio di scarpe da 1.000 euro prodotte a mano da un artigiano fiorentino». O scoprire nuovi problemi: «Quando un marmista di Carrara ci ha contattato per chiedere di entrare nella nostra rete di vendita online, siamo stati molto contenti. Salvo aggiungergli che avremo dovuto metterci d’accordo sulle modalità di consegna del prodotto».
Perché non basta un computer per saper utilizzare internet. La Cna sta svolgendo veri corsi di alfabetizzazione digitale per gli artigiani italiani: «Abbiamo realizzato incontri in oltre trenta territori, abbiamo coinvolto circa 3.000 aziende», dice Andrea Di Benedetto, vicepresidente nazionale della confederazione. L’incontro con i giganti del web come Google e Amazon, «è una contaminazione essenziale per lo sviluppo delle nostre aziende e della nostra economia».
Può anche accadere che qualcuno abbia saltato i corsi perché ha avuto l’intuizione giusta una decina di anni fa. Marco Vicentini è il titolare di una piccola azienda che produce filtri industriali a Rivarolo, in provincia di Torino. «Senza il web avremmo avuto una vita molto difficile», racconta Vicentini. E rivela il segreto del primo successo, quello decisivo nella vita di ogni azienda: «Avevo conseguito da poco il diploma di perito informatico. A 21 anni, insieme ad altre cinque persone, ho cominciato questa attività di produzione dei filtri industriali. Ho deciso di puntare tutto su internet. Siamo una piccola azienda. Ma sono riuscito, con parole chiave e altri accorgimenti, ad essere al primo posto nella pagina di Google quando si inserisce la parola chiave filtri industriali. Un vantaggio non da poco rispetto a un concorrenza certamente più grande. Così abbiamo ottenuto commesse importanti come quella per il Mose di Venezia o quella per un impianto industriale in Arabia Saudita». Cose che succedevano un po’ di anni fa. Conclude Vicentini: «Oggi le aziende sono esperte. Non basta più uno studente di informatica per scalare la classifica delle pagine di Google».
Paolo Griseri, la Repubblica 18/11/2015