Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1977  ottobre 28 Venerdì calendario

Farah Diba racconta la sua storia di amore con lo scià di Persia Chi, mercoledì 28 ottobre 2015 Era un giorno di settembre del 1959

Farah Diba racconta la sua storia di amore con lo scià di Persia Chi, mercoledì 28 ottobre 2015 Era un giorno di settembre del 1959. Una bella iraniana di 21 anni uscì di casa per recarsi a prendere il tè nel palazzo di una coetanea, Shahnaz Palliavi, figlia dell’imperatore di Persia (l’attuale Iran). Lì, la ragazza incontrò Mohammad Reza Palliavi, l’imperatore, e rimase a passeggiare con lui per i giardini fioriti. Al tramonto, lui la chiese in sposa... Sembra l’inizio di una favola, ma è storia. Come lo ha raccontato la protagonista, Sua Altezza Imperiale Farah Diba, nel libro autobiografico La mia vita con lo scià. «Quel pomeriggio, l’imperatore mi parlò a lungo di sé», racconta Farah Diba. «E alla fine mi chiese di diventale sua moglie. Scoppiai a piangere. Lui mi abbracciò teneramente». Farah Diba (il nome Farah significa “gioia di seta”) apparteneva a una famiglia dell’alta borghesia. Era figlia unica. Suo padre, Sohrab, svolgeva importanti e incarichi a corte. Il nonno era stato ambasciatore in Russia. Lei aveva avuto un’educazione raffinata: aveva studiato a Teheran alla Scuola italiana e poi a quella francese, e infine si era trasferita a Parigi, per laurearsi in architettura. «Da ragazzina avevo visto diverse volte l’imperatore, ma da lontano», racconta nel suo libro. «Era un uomo bellissimo e ne ero innamorata, come tutte le mie coetanee. Lo consideravo un eroe; un eroe romantico e forte. Lo vidi da vicino la prima volta a Parigi nel 1958. Lui era venuto in visita ufficiale in Francia e volle incontrare una rappresentanza di studenti persiani. Quando gli dissi che frequentavo la facoltà di architettura, sorrise. “Bene”, disse. “Per il nostro Paese è una professione insolita per una donna. Ma questo significa che stiamo cambiando”. Lo rividi un anno dopo, a Teheran, il giorno prima che mi chiedesse di sposarlo. Avevo finito le vacanze estive e mi preparavo a rientrare a Parigi. Mi servivano dei documenti per il rinnovo della borsa di studio e mi ero recata nell’apposito ufficio governativo. Il direttore dell’ufficio era un giovane ingegnere, Ardeshir Zahedi, che da poco aveva sposato Shahnaz Pahlavi, la primogenita dall’imperatore. Mentre ero lì, arrivò sua moglie, la principessa, che, sentendomi parlarle di Parigi, si incuriosì. Cominciammo a conversare e alla fine mi invitò a prendere il tè a casa sua. Il pomeriggio del giorno dopo ero nella sua villa. A un certo punto arrivò una colonna di auto e da una limousine nera scese l’imperatore, venuto a far visita alla figlia. Shahnaz mi presentò. Ero emozionata. Gli dissi di averlo incontrato a Parigi un anno prima. Non si ricordava di me. Ma quando aggiunsi che ero a Parigi per studiare architettura, gli venne in mente rincontro. Restammo a parlare fino a sera. Tutti e quattro insieme: l’imperatore, sua figlia, il marito di Shahnaz e io. Tre ventenni e un quarantenne, ma lui sembrava più giovane di noi. Lontano dal protocollo, era divertente, allegro. Alla fine della giornata, prima di congedarsi, l’imperatore mi disse: “Signorina Farah, spero di avere altre occasioni di vederla prima della sua partenza per Parigi”. “Lo spero anch’io”, risposi e arrossii, perché mi sembrava di aver dato una risposta sfacciata. Poco dopo me ne andai anch’io. Salutandomi, Shahnaz disse: “Mi farebbe piacere rivederla ancora, magali domani”». Il pomeriggio del giorno dopo, Farah Diba tornò nella villa della principessa. «Non c’erano altri invitati quel pomeriggio», raccontò Farah Diba rievocando quel giorno. «Non c’era neppure il marito di Shahnaz. Conversavamo noi due sole. Improvvisamente, notai tra il verde del parco una fila di automobili. Solo una arrivò fino alla villa. Era la limousine dell’imperatore. Dopo i saluti, Shahnaz trovò una scusa per assentarsi. L’imperatore mi invitò a fare una passeggiata nel parco. “Ma ci tiene proprio tanto a diventale architetto?”, mi chiese. E cominciò a parlarmi della sua vita, dei suoi problemi, del fatto che era solo». Farah Diba non era una sprovveduta. Conosceva la situazione sentimentale dell’imperatore. Sapeva che si era già sposato due volte. Si diceva che le nozze erano fallite per la mancanza di un erede maschio. Ma si vociferava anche che fosse un rubacuori. La prima moglie, Fawzia d’Egitto, la madre di Shahnaz, se ne era andata di propria iniziativa. La seconda moglie, Soraya, risultò sterile; e lui, sebbene innamoratissimo, l’aveva ripudiata sotto pressione della coite che voleva un figlio maschio. Tutti sapevano che l’imperatore cercava una terza moglie, ma, pur ammirando quell’uomo, Farah non avrebbe accettato di diventare soggetto di un esperimento. La infastidiva quella corsa alla ricerca di una donna che potesse dare un erede alla nazione. «L’imperatore mi parlava delle sue ex mogli, del problema del figlio maschio necessario per la dinastia, ma parlava anche delle sue idee politiche, del suo amore per la Persia, dei progetti di rinnovamento. Poi, dandomi del tu per la prima volta, mi disse; “Farah, io sono innamorato di te. Ho voluto io incontrarti oggi, da sola. Io desidero sposarti: vuoi diventale mia moglie?’. Scoppiai in un pianto dirotto. Non credo di avere risposto. Forse farfugliai un sì. Ma le mie lacrime erano la risposta, e l’imperatore capì: mi strinse forte tra le sue braccia». A un osservatore esterno la scena potrebbe sembrare frutto di un’infatuazione, del miraggio di diventare imperatrice, e quindi di un qualcosa che aveva poco a che fare con l’amore. Invece, tutta la storia della vita successiva di Farah Diba ha dimostrato che quelle erano lacrime di vero amore. L’imperatore Reza Palahvi e Farah Diba si sposarono il 21 dicembre 1959. Alla fastosa cerimonia parteciparono i potenti del mondo. «La mia felicità era indescrivibile», racconterà Farah Diba, «ma durò lo spazio di un giorno. Poi fui invasa dell’ansia. Temevo di non riuscire a dare quel figlio maschio che la nazione aspettava. All’inizio del nuovo anno, rimasi incinta e il 30 ottobre diedi alla luce il mio primo figlio, Reza Ciro, un maschio, e tutta la nazione fece una grande festa. L’incubo era finito». Farah Diba diede poi altri tre figli all’imperatore: un altro maschio, Ali-Reza, e due femmine, Leila e Farahnaz. E con i figli arrivarono i grandi problemi. Cominciarono le sommosse popolari, la violenza di piazza, le rivolte. E poi la malattia, il tumore, che lentamente strappava l’imperatore alla sua esistenza. L’ultimo anno di vita dell’imperatore fu il più temibile. La rivolta popolare costrinse la famiglia reale all’esilio. Lasciarono la Persia il 16 gennaio 1979. Si rifugiarono negli Stati Uniti, poi in Egitto, in Messico, in Marocco, in Italia e di nuovo in Egitto, dove l’imperatore morì il 27 luglio 1980. Farah Diba aveva solo 42 anni. Era nel pieno della sua bellezza. Ebbe molti corteggiatori. Ma lei rifiutò di rifarsi una vita: «Ho avuto un solo grande amore e gli sarò fedele per sempre». Oggi, Farah Diba ha 77 anni. Vive negli Stati Uniti. Fedele al primo amore. Ha dedicato tutta se stessa ai figli. Affrontando dolori immani. Leila, la più piccola dei suoi figli, fu trovata morta in un hotel di Londra, 1’ 11 giugno 2001. Il 4 gennaio 2011, Ali-Reza, il terzogenito, si è tolto la vita a Boston.