VARIE 31/7/2014, 31 luglio 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - I PROBLEMI DI RENZI
REPUBBLICA.IT
ROMA - "Il Senato ha i numeri per andare avanti". Con queste parole Matteo Renzi, nella conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri, ha voluto ribadire che l’incidente di ieri a Palazzo Madama, con il governo che è andato sotto nelle votazioni sulla riforma della Rai, non pregiudica il cammino dell’esecutivo.
"Abbiamo un patto con gli italiani, andiamo avanti più determinati di prima. Noi non abbiamo paura" ha affermato il premier che ha attaccato la minoranza dem colpevole, a suo dire, dello scivolone di ieri: "Sulla Rai mi pare che ci sia stato un segnale di natura politica" ma, avverte, il "voto di coscienza" sulla riforma della Rai non è uguale a quello per le riforme costituzionali.
Pd, Renzi alla minoranza: "Polemiche gestite dentro partito, non in aula"
Poi ha aggiunto: "Una parte del Pd ha voluto approfittare di alcune assenze per dare un messaggio. Io credo che non sia questo il momento di mandare messaggi, ma che sia il momento di cambiare il Paese. Le polemiche nel Pd devono essere gestite dentro il Pd. Se qualcuno vuole fare in altro modo lo dica, ma i numeri ci sono sia al Senato che alla Camera", ha aggiunto Renzi.
Nuovo Cda Rai durerà fino al 2017. Sulla Rai, alla luce del via libera dato dal Senato alla riforma che ora passa alla Camera, il premier ha dato indicazioni chiare: il cda Rai che sarà nominato martedì prossimo "non è un consiglio a termine, durerà fino al bilancio del 2017". Nel momento in cui entrerà in vigore la nuova legge, ha ricordato il premier, "i poteri previsti per l’ad vengono trasferiti al dg che è in carica fino al 2018". Dunque "sarà il nuovo Parlamento a varare il nuovo Cda" secondo i criteri fissati dalla riforma. Parole che lasciano intendere come per il premier la legislatura arriverà alla sua fine naturale, nel 2018.
Sul caso Azzollini: "Senatori non sono passacarte procure". Un parte della conferenza è stata dedicata al voto di Palazzo Madama che ha respinto la richiesta di custodia cautelare per il senatore Ncd Antonio Azzollini: "Ho molta fiducia nei senatori. Non si sta parlando del bar dello sport. Qui si sta parlando della libertà o della privazione della libertà di una persona" ha affermato Renzi che ha aggiunto: "Il Pd è quel partito che quando si è trattato di mandare in galera un proprio deputato ha fatto perchè non riteneva ci fosse fumus persecutionis". Infine la stoccata: "Lo considero un segno di maturità perchè i senatori non sono passacarte della Procura di Trani".
Caso Azzollini, Renzi: "Senatori non sono passacarte della Procura"
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Sull’occupazione la direzione è quella giusta. Il presidente del Consiglio ha voluto sottolineare i dati positivi sul lavoro: "C’è ancora molto da fare ma confermano anche che la direzione è quella giusta". Il dato complessivo sull’occupazione, per il premier, "continua ad avere aspetti positivi e poi negativi. Con il Jobs Act abbiamo un pò stimolato, abbiamo fatto un grandissimo investimento. Ma l’occupazione è l’ultima cosa che riparte dopo un periodo di crisi. I dati che vediamo sono ancora timidi, ma incoraggianti: la produzione le ultime rilevazioni sulla produzione industriale lasciano sperare che sia positivo anche il secondo trimestre, dato che verrà reso noto il 14 agosto; i dati dei consumi sono finalmente di segno positivo, i consumi sembrano tornare leggermente a crescere".
Insomma, conclude, "il quadro è ancora molto lontano da quello che vogliamo ma la direzione è quella giusta. Si è passati dal segno meno al segno più, anche sul lavoro, ma c’è ancora moltissimo da fare. Va notato, ha concluso, che "crescono sia i disoccupati che gli occupati. Gli inattivi tornano a crederci, quelli che erano sfiduciati, rassegnati, tornano a crederci. Un indice di una piccola ripartenza". Il premier ha poi speso parole di elogio per Eni, Enel e Finmeccanica che hanno prodotto "risultati molto positivi": un riferimento alle semestrali positive presentate dalle aziende.
LA BOCCIATURA DI IERI
REPUBBLICA.IT
ROMA - Il governo inciampa sulla riforma della Rai. L’esecutivo è andato sotto nell’aula del Senato sulla votazione per l’art.4 del ddl che riforma la Rai. Sono stati approvati emendamenti di minoranza Dem, FI, M5S, Sel e Lega soppressivi dell’articolo che attribuisce delega al governo sul canone, con 121 voti favorevoli e 118 contrari. Il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli ha in un primo momento sospeso la seduta per valutare l’impatto della votazione e poi ha fatto riprendere l’esame degli emendamenti.
Durante l’esame dell’articolo 2 sui nuovi poteri e sui criteri di nomina della governance di viale Mazzini, finora accantonato perché assai contestato, l’atmosfera in aula si è fatta più accesa e il senatore socialista Enrico Buemi si è dimesso dal ruolo di correlatore della riforma. Ma poi il governo ha dato la disponibilità, per bocca del sottosegretario Antonello Giacomelli, a rivedere la fonte di nomina dell’amministratore delegato della Rai, contenuta nell’articolo in questione. A seguito di tale annuncio in aula, la sinistra dem ha ritirato tutti i propri emendamenti.
Il presidente del Partito Democratico, Matteo Orfini, ha detto che "quanto accaduto oggi al Senato è incomprensibile. Se il voto in dissenso dal gruppo diventa non un’eccezione limitata a casi straordinari ma una consuetudine, significa che si è scelto un terreno improprio per una battaglia politica. Così non si lavora per rafforzare un partito ma per smontarlo".
"Credo che avere una parte del Pd che vota contro il Pd significa avere una parte del partito più ancorata a logiche di corrente che appartengono al passato che all’ interesse dell’Italia, noi andiamo avanti comunque", ha detto il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi alla Festa dell’Unità Pd a Roma. "Non è la prima volta che succede,
molto è dipeso anche dalle assenze" ha spiegato Boschi sottolineando come, visto che il testo potrà essere cambiato alla Camera, "nulla di grave" è accaduto nel merito. "Io sono stata minoranza, dentro al gruppo Pd ho sostenuto posizioni diverse a volte e in Aula ho sempre votato come mi ha chiesto il Pd, questo è base per lo stare assieme", ha sottolineato.
Esultano le opposizioni, in primis Forza Italia: "Governo battuto a Palazzo Madama su riforma Rai. Verdiniani o non verdiniani maggioranza non c’è più. Good morning Vietnam-Senato. Ciao Renzi" scrive su Twitter il capogruppo azzurro alla Camera Renato Brunetta. Esultano anche alcuni esponenti della minoranza dem, fortemente criticati dal senatore Pd, Salvatore Tomaselli, che scrive su Twitter che è "ignobile che ci siano senatori del Pd che gioiscano in aula e sui media per aver battuto il proprio governo". Deborah Serracchiani, governatore del Friuli, invece cinguetta: "La minoranza dem pensa alla propria corrente, noi pensiamo all’Italia".
Scorrendo i dati relativi alla votazione, risultano 19 (e non 18 come inizialmente riferito da fonti parlamentari) i senatori della minoranza Pd che hanno votato a favore dell’emendamento Fornaro, accompagnati da 2 senatori di Ala, il nuovo gruppo di Verdini. Significative le assenze dei verdiniani: in un gruppo di 10 disertano il voto in 7. I senatori del Pd che non hanno partecipato al voto sono stati 11 (escludendo dal computo il presidente Grasso).
Via libera invece all’articolo 5 con 146 sì, 92 no e 6 astenuti. L’articolo contiene la delega al governo per il riassetto normativo ed è stato modificato, dopo le richieste di opposizione e minoranza Pd di restringere la delega, a seguito dell’approvazione di un emendamento presentato dalla Lega Nord, riformulato su proposta del relatore, secondo cui il governo è delegato a riordino e semplificazione delle disposizioni vigenti "anche ai fini dell’adeguamento dei compiti del servizio pubblico, tenuto conto dell’evoluzione tecnologica e di mercato, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica".
In mattinata è stato approvato in Senato l’articolo 1 della riforma della Tv pubblica che prevede, tra le altre cose, l’impossibilità di nomina quale membro del Cda di componenti del governo in carica o che abbiano ricoperto tale incarico nei 12 mesi precedenti. Una norma che va incontro alle richieste, in primis, del Movimento 5 Stelle. Approvato anche l’articolo 3 relativo all’attività gestionale dell’azienda pubblica. Tra le novità, viene introdotta la responsabilità dei componenti degli organi delle società partecipate: prevede l’articolo che "l’amministratore delegato e i componenti degli organi di amministrazione e controllo della Rai sono soggetti alle azioni civili di responsabilità".
Vigilanza convocata per martedì 4 agosto. Intanto l’Ufficio di presidenza della Commissione di Vigilanza Rai ha deciso di convocare per martedì prossimo una riunione della bicamerale per l’elezione dei 7 membri del Cda Rai di sua competenza. A favore la maggioranza e Forza Italia. Si sono espressi contro M5s, Lega, Sel, astenuto il Psi. In attesa della riforma della governance di viale Mazzini, all’esame del Senato, i nuovi vertici saranno approvati in base alle disposizioni della legge Gasparri. Forse giovedì prossimo l’elezione del nuovo presidente.
Il Cda della Rai è scaduto il 25 maggio scorso. Nei giorni scorsi era stato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan a chiedere espressamente al presidente della Vigilanza Rai Roberto Fico (M5S) di procedere al rinnovo dei consiglieri con la legge attuale. Contrario alla scelta di votare il 4 agosto il Movimento Cinque Stelle: "La decisione di oggi è un blocco per tutte le procedure di trasparenza, di condivisione e di valutazione dei candidati. Si tratterebbe di raccogliere lunedì in quattro e quattro otto le candidature, vedere le disponibilità. Noi presumo che daremo comunque un nome, visto che abbiamo 5 voti in vigilanza" ha affermato il senatore pentastellato Alberto Airola.
IL DDL DI RIFORMA DELLA RAI: CONSIGLIERI E AD SARANNO LICENZIABILI
"Il destino della Rai nelle mani di Gasparri" scrive Beppe Grillo su Twitter rimandando ad un post sul blog scritto dai parlamentari Cinque Stelle: quella del Pd è una "legge, se possibile, anche peggiore della Gasparri. Una legge in cui tutto il potere andava nelle mani di un supermanager scelto dallo stesso governo come amministratore delegato", scrivono i parlamentari del M5S sul blog di Beppe Grillo.
"Il presidente del Consiglio - aggiungono i parlamentari - ha deciso che entro pochi giorni si debba votare il nuovo consiglio di amministrazione della Rai. E’ in questo modo che vogliono individuare le persone che dovranno guidare il servizio pubblico per i prossimi tre anni: niente trasparenza, niente competenza, niente merito. Solo bandierine da piazzare, così il premier imita Gasparri".
La protesta di Area popolare: riequilibrare Vigilanza. E scoppia subito la grana Area popolare: i capigruppo a Camera e Senato del partito di Alfano hanno chiesto di bloccare la nomina dei 7 consiglieri del Cda Rai eletti dalla Vigilanza finché non si affronterà la questione della composizione della commissione Bicamerale. La lettera di Ap è indirizzata ai presidenti Grasso e Boldrini.
Il capogruppo alla Camera di Ap, Maurizio Lupi, ha contestato a Forza Italia di essere sovrarappresentata in Vigilanza Rai (dove gli azzurri hanno sette membri) a scapito di Ap (che ne conta solo due). La questione è stata posta alla conferenza dei capigruppo congiunta Camera-Senato.
Da Forza Italia però non ci stanno: gli azzurri lamentano di essere sottorapprentati al Copasir e Maurizio Gasparri ha parlato di "provocazione" da parte di Ap sottolineando che "o si cambiano tutte le composizioni delle bicamerali o niente". Al momento ci sono in ballo diversi nodi da sciogliere: in Vigilanza Rai mancano il gruppo Cri Senato e Gal senato, in quella per l’Infanzia mancano Per l’Italia e Cri Senato, all’Antimafia mancano Sel e Gal, alla Rifiuti mancano il Misto e Per l’Italia, alla Aldo Moro mancano Scelta Civica e Ala (il nuovo gruppo di Verdini), al Copasir Forza Italia non ha un suo rappresentante.
IL VOTO SU AZZOLLINI
Azzollini, il no all’arresto spacca il Pd. Serracchiani: "Dobbiamo scusarci"
L’esito del voto in Senato (ansa)
I numeri apparsi sul tabellone di Palazzo Madama - 189 no, 96 sì, 17 astenuti - salvano dall’arresto il senatore Ncd Antonio Azzollini ma scatenano una tempesta politica. A partire dal vento gelido piombato sul Pd, che aveva lasciato libertà di voto secondo coscienza ai propri parlamentari e che ora subisce il contraccolpo per l’esito del voto segreto. "Francamente credo che ci dobbiamo anche un po’ scusare, perché credo che non abbiamo fatto una gran bella figura", dice in un’intervista all’Unità il vicesegretario del partito, Debora Serracchiani. Già a caldo, dopo l’esito della votazione, la presidente della Regione Friuli Venezia Giulia aveva scritto in un tweet che se fosse stata in aula avrebbe votato sì all’arresto: "Si è persa un’occasione - ha poi spiegato - per dare un buon segnale di cambiamento". E si è detta convinta "che la politica abbia il dovere di mantenere la massima trasparenza nei confronti dei cittadini e della giustizia", anche perché "così risulta quasi svilito l’approfondito lavoro della Giunta per le immunità", che si era pronunciata a favore degli arresti domiciliari chiesti dalla procura di Trani per la vicenda della casa di cura Divina Misericoridia. Proprio per il segnale rivolto alla Giunta per le immunità esulta invece il Ncd, con Fabrizio Cicchitto che afferma: "Il voto assai ampio dei senatori dovrebbe essere materia di riflessione per il presidente della giunta perché il suo ruolo non è quello di mettere il bollo ad ogni richiesta della magistratura inquirente". Immediata la replica di Dario Stefàno, presidente della giunta: "L’invito e la provocazione del presidente Cicchitto offendono profondamente la libertà e l’autonomia non solo del sottoscritto, ma della maggioranza stessa della Giunta, che, dopo un approfondito lavoro e una altrettanto puntuale valutazione di merito sul caso Azzollini, si sono espressi per la concessione dell’autorizzazione alla misura cautelare".
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La dichiarazione di Debora Serracchiani accentua le frizioni nella maggioranza - con Roberto Formigoni che definisce "ragazzina superficiale" la numero due di Renzi - ma anche all’interno del Pd. L’altro vicesegretario del partito, Vincenzo Guerini, in serata rilascia una dichiarazione che sembra marcare le distanze con quelle della governatrice friulana: "Se anche alcuni senatori del Pd hanno scelto di votare contro l’arresto evidentemente è perché non hanno rilevato dalle carte ragioni sufficienti per dare l’assenso. Ribadisco che trattandosi di scelte che riguardano le persone vanno soprattutto analizzate le carte". "Sul caso Azzolini oggi ci siamo fatti del male", afferma Gianni Cuperlo, contestando che l’indicazione di Serracchiani "sarebbe stata più utile un attimo prima" del voto: "Adesso serve un chiarimento nel gruppo Pd al Senato e nel gruppo dirigente del partito". In una nota i senatori della minoranza dem, Federico Fornaro, Maria Grazia Gatti e Carlo Pegorer scrivono: "Risulta stucchevole che questa presa di posizione si materializzi solo a posteriori, mentre sarebbe stata più opportuno e utile al Pd nel suo complesso, un chiaro intervento prima del voto dell’aula. Come era avvenuto in passato, la segreteria nazionale, infatti, avrebbe potuto e dovuto autorevolmente ricordare ai colleghi che occorreva tenere nella debita e giusta considerazione quanto valutato dalla maggioranza della Giunta delle elezioni, fermo restando la libertà di ogni singolo componente del gruppo stesso".
Voto in aula: Azzollini, l’attesa e la reazione al voto
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Secondo il presidente dei senatori Pd Luigi Zanda, "oggi in Aula c’è stata certamente una discreta dose di trasversalità". E aggiunge che "purtroppo nel Parlamento italiano il voto segreto è diventato un’arma politica, troppo spesso usata strumentalmente". Non ci sarebbe da stupirsi, però, secondo Zanda, se "in un voto così delicato e complesso ci siano state opinioni diverse" perché il no all’arresto è arrivato "dopo aver letto i documenti e ascoltato le relazioni in Aula, con giudizio di merito e senza alcun pregiudizio politico". Una decisione che, in realtà, contrasta con il voto a favore dell’arresto che lo stesso Pd ha formulato nella Giunta: "Se si riteneva che nelle carte vi fosse fumus persecutionis, allora dovevamo dirlo e difendere apertamente quella scelta. Se l’indicazione era di diverso tipo, dovevamo tenere ferma la nostra posizione espressa in commissione: oggi invece si ha la sgradevole impressione di una scelta presa sottobanco e di un successivo tentativo di smarcamento", afferma Davide Zoggia, esponente della sinistra Pd, chiedendosi da che parte stia Renzi.
Zanda respinge, comunque, gli attacchi del M5S, che dopo l’esito del voto ha inveito contro i banchi della maggioranza al grido di "Ladri!". "Le loro accuse sono strumentali, demagogiche e prive di fondamento, perché Azzollini sarà processato come qualunque cittadino italiano e sarà la magistratura a decidere sulle sue responsabilità" ribatte l’esponente Pd. Mario Michele Giarruso, senatore M5S e membro della Giunta per per le elezioni e l’immunità del Senato, afferma che sul caso Azzollini "ha pesato il fatto che per 12 anni è stato alla presidenza della commissione bilancio" e "i tanti favori fatti". Quindi "dopo avere bussato alla sua porta per tanti anni a chiedere soldi e favori adesso a molti di questi pesava di dover votare per l’arresto di un loro complice".
Azzollini, Giarrusso (M5s): ’’Pd sconfessa magistratura e propri commissari’’
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Secondo i grillini, "la Lega su Azzollini ha solo da star zitta. Lo scorso 4 dicembre - afferma il capogruppo Gianluca Castaldi - la Lega insieme a Pd e Forza Italia votò no all’utilizzo delle intercettazioni da parte della magistratura per l’indagine sullo scandalo del Porto di Molfetta che vede anche in questo caso coinvolto il senatore Ncd. Magari - conclude - è stato proprio il Carroccio con il voto segreto a contribuire al salvataggio di Azzollini". La replica del Carroccio: "Abbiamo votato per l’arresto del senatore Azzollini, a salvarlo è stato il Partito Democratico. L’intervento demenziale di Giarrusso del Movimento Cinque Stelle è stata la carta vincente di Azzollini perché ha chiarito le idee agli indecisi". E intanto su Facebook Matteo Salvini scrive: "Il Senato ha salvato dall’arresto il senatore Azzollini, dell’Ncd. Renzi e il Pd hanno calato le braghe per salvare le loro poltrone, che pena. Chi sbaglia paga, ma se serve alla sinistra non paga".
PEZZO DI FOLLI SU REPUBBLICA DI OGGI
TUTTO s’intreccia, la riforma della Rai e in prospettiva quella del Senato, l’esigenza di Renzi di procedere spedito e la puntigliosa resistenza della minoranza del Pd. Tutto s’intreccia e gli indizi del logorìo in atto non vanno sottovalutati. È vero, quel che succede in Parlamento alla vigilia della chiusura estiva, quando molti si considerano già in vacanza, è spesso dovuto al caso.
SEGUE A PAGINA 31
STEFANO FOLLI
QUINDI, se la maggioranza viene battuta in Senato sulla delega a rivedere il canone Rai, non vuol dire che il governo sia ormai alle corde. Vanno considerate le assenze, le distrazioni, lo scarso senso di responsabilità diffuso nei gruppi. Eppure, nonostante le attenuanti, non si sfugge all’impressione che l’incidente sia la spia di un ma-lessere più profondo di quanto non si voglia ammettere a Palazzo Chigi.
Niente di definitivo o di non recuperabile. E tuttavia il messaggio politico trasmesso dalla minoranza del Pd al segretario- premier Renzi è esplicito. Prima di tutto perché tocca un tasto molto delicato, la Rai, in un momento in cui si sta ridisegnando la mappa del potere interno all’azienda; e di conseguenza il rapporto con la politica.
E poi perché il segnale è fin troppo chiaro in vista dell’autunno, quando verrà al pettine il nodo della riforma costituzionale del Senato. Sarà quello il terreno della battaglia campale che deciderà il destino della legislatura e la prospettiva del “renzismo”. Sulla base del risultato di ieri, i voti per riformare il Senato sarebbero in bilico.
L’episodio insegna che nel Pd la minoranza è sempre più determinata e tende ormai a comportarsi come un partito nel partito. Una sorta di repubblica separata disponibile forse a stipulare tregue e intese con la maggioranza renziana, ma sulla base di trattative da potenza a potenza. Può darsi che si tratti di un bluff e che abbia ragione Renzi, quando si dichiara pronto ad alcuni limitati compromessi sulla riforma costituzionale solo a patto che la minoranza dimostri la sua volontà di non perseguire obiettivi politici impropri. Ossia, in parole povere, che non tenti di far cadere il governo facendo leva sulla riforma del Senato.
Il problema è che il presidente del Consiglio oggi non è più così sicuro delle carte di cui dispone. La coperta della riforma è diventata stretta. La certezza di poter andare avanti comunque, anche senza i 23-25 voti dei senatori frondisti, è svanita. A tutt’oggi nessuno ha le idee chiare sui numeri di Palazzo Madama e non a caso il segnale di ieri è servito proprio a creare il massimo di apprensione fra i renziani. Peraltro, si è fatta molta retorica sull’arrivo di Verdini e dei suoi dieci amici in soccorso a Renzi. La minoranza ha strumentalizzato l’evento per mettere in difficoltà il premier, dipingendolo come un capo spregiudicato pronto a barattare la sinistra del suo partito con il drappello dei transfughi ex berlusconiani. Allo stato dei fatti, i consensi dei nuovi arrivati sono rimasti nell’ombra. E nulla fa pensare che in futuro siano in grado di sanare le ferite politiche del centrosinistra, o addirittura di cambiare l’identità e la natura della maggioranza. Quelle ferite può curarle solo un medico che si chiama Renzi.
Sta a lui, al presidente del Consiglio e segretario del Pd, avviare un vero negoziato con chi gli nega i voti. A meno di non rischiare tutto andando al voto alla cieca. Le riforme sono il passaggio cruciale della legislatura, per ripetere le parole del presidente della Repubblica. E nel giorno in cui Mattarella ha confermato il suo sostegno a Renzi, gli ha anche ricordato che la democrazia non incoraggia la logica dell’uomo solo al comando. Come dire che esistono i margini per correggere qualcosa nell’impianto un po’ contraddittorio della legge costituzionale che trasforma il Senato. Ad esempio rendendo di nuovo elettiva la figura dei nuovi senatori, il che renderebbe più agevole riconoscere loro delle funzioni precise. Il tempo non manca, a patto di non sprecarlo. E di non ignorare i segni che indicano un quadro politico sfilacciato.
BENEDETTA TOBAGI
«L’opposizione a quell’odiosa legge (LA GASPARRI - NDR) è stato un tema fondamentale per tutta l’area culturale di riferimento della sinistra, per anni. Ora un governo presieduto dal segretario pd non solo non la cancella, ma se ne serve. Quanto alla riforma, andrei cauta: si tratta di emendamenti alla Gasparri spacciati per novità rivoluzionarie, che in realtà servono a rafforzare il controllo dell’esecutivo sulla Rai. Tutto questo grida vendetta al cielo ».
MATTARELLA
«Nessuno è un uomo solo al comando. Non è possibile in democrazia. E tanto meno per il presidente della Repubblica che non ha poteri di scelta politica. La Costituzione disegna un sistema di controlli reciproci, e questo equilibrio è la migliore garanzia».
MELI SUL CORRIERE DELLA SERA
l’ operazione «logoramento» nei confronti di Renzi prosegue. Con i fedelissimi, gli scappa una battuta: «Vedo che alla legge Gasparri sono affezionati anche quelli della minoranza». Il premier, quando viene evocato lo spettro del voto anticipato, confida: «Non ne ho paura, sono sicuro che nelle urne non avrei problemi e batterei sia Salvini che Grillo, ma ho senso di responsabilità...».
ROMA Ormai la minoranza «democrat» si muove come un partito nel partito. Quasi a voler dar seguito alle parole che Pier Luigi Bersani ripete con sempre maggior frequenza: «Dobbiamo riprenderci il Pd». Operazione che alcuni leader di quell’area non ritengono impossibile, perché, come ha spiegato Gianni Cuperlo, «la leadership di Renzi è fragilissima».
L’obiettivo è quello di logorare il presidente del Consiglio, reo di «aver snaturato il partito, facendolo diventare una forza di centro».
E in nome di questa convinzione, ieri, una pattuglia di senatori della minoranza, per uno di quei paradossi di cui la politica italiana abbonda, ha finito per votare contro il proprio governo non solo con Forza Italia, Lega e Movimento 5 stelle, ma anche con i «verdiniani», che avevano rappresentato uno dei motivi del contendere tra i bersaniani e il segretario.
Tutto ciò, dopo che in mattinata il tandem Roberto Speranza-Gianni Cuperlo aveva sferrato un altro colpo al governo attaccandolo duramente sul rapporto Svimez che illustrava il sottosviluppo del Sud Italia. Erano stati proprio l’ex capogruppo della Camera e il competitor di Renzi alle primarie i primi a intervenire con un’interrogazione, battendo sul tempo Forza Italia. E sempre ieri la «prodian-civatiana» Sandra Zampa tornava sul «caso Azzollini», chiedendo un confronto nel partito sulla «questione morale».
Insomma, la minoranza ha deciso di andare avanti e di non fermarsi, contribuendo, insieme alle opposizioni, a togliere al premier la delega sul canone Rai, che Renzi aveva in mente di dimezzare. Ma non finirà qui. I bersaniani potrebbero siglare una tregua temporanea soltanto di fronte alle modifiche da loro richieste all’articolo due della riforma costituzionale. Altrimenti sarà «guerriglia continua in Senato», avvertono.
Il presidente del Consiglio aveva chiesto alla minoranza di non «far diventare terreno di scontro quel ddl» e di «non pensare al Pd solo come a un partito che si divide in correnti». Ma, come si è visto, l’appello di Renzi è stato respinto. E l’operazione «logoramento» prosegue.Eppure il premier tende a non ingigantire la vicenda di ieri: «Mancava metà Ncd, che aveva una Direzione, metà dei senatori delle Autonomie, cinque dei nostri e i verdiniani non ci hanno appoggiato, anzi, alcuni hanno votato contro. Non mi pare un dramma. Del resto, siamo andati sotto su moltissime altre volte, quando sono stati presentati emendamenti. Loro hanno già agito in questo modo su tutti i provvedimenti, non è una novità e non è nulla di grave. In fondo, si tratta solo di un emendamento». Poi, con i fedelissimi, gli scappa una battuta: «Vedo che alla legge Gasparri sono affezionati anche quelli della minoranza».
Il premier, però, evita la polemica diretta. Affida il compito ai suoi, seguendo due schemi. Agli esponenti più istituzionali, come Lorenzo Guerini e Giorgio Tonini, spetta ridimensionare la vicenda. Gli altri, invece, si scatenano su Twitter e sulle agenzie. Finché, come sempre in questi casi, quando la tensione nel Pd monta, ecco arrivare, preciso come un orologio svizzero, Roberto Giachetti, che chiede il voto anticipato: meglio le urne che andare avanti così.Viene quindi di nuovo evocato lo spettro dello scioglimento della legislatura e delle elezioni. Magari in primavera, in abbinata con le amministrative. In qualche modo lo ha fatto anche Maria Elena Boschi, nell’intervista a Sette .
D’altra parte, lo stesso premier, ogni tanto, confida: «Io non ho paura del voto perché sono sicuro che nelle urne non avrei problemi e batterei sia Salvini che Grillo, ma ho senso di responsabilità...». Perciò, si va avanti. Preparandosi alla trattativa con la minoranza sulla riforma costituzionale, con queste parole d’ordine: «Nessun tabù rispetto a modifiche da apportare al ddl, ma sia chiaro che non possiamo ricominciare sempre tutto daccapo, che io sono determinato a mandare in porto la legge e che comunque le riforme si fanno con chi ci sta».