Raffaele Panizza, SportWeek 28/3/2014, 28 marzo 2014
BUNGEE JUMPING E LIBRI PER CRESCERE
[Mattia Perin]
Matteo Roggi, che gli fa da procuratore, sostiene con affetto parlando che i suoi tratti caratteriali siano sostanzialmente “paraculeggianti”. «Ah sì? Mo’ le faccio vedere io chi sono», interviene quindi Mattia Perin, vicecapitano del Genoa e terzo portiere in Nazionale, facendo partire sul telefonino un video «che non ha mai visto nessuno». Nelle immagini, uno sperone di montagna assolato, pochi alberi e una colonna sonora fatta dalla crisi isterica del suo compagno di squadra Andrea Bertolacci che urla «è mmmatto! è mmmatto!» mentre lui si lancia nel vuoto da una piattaforma da bungee jumping, in Austria. «Appena smetto col calcio, prendo il brevetto da paracadutista», annuncia, ormai drogato di adrenalina per colpa del suo pusher Spinelli, preparatore dei portieri a Genova. Nel frattempo, più morigeratamente, Mattia vive ad Arenzano con la fidanzata Giorgia, bionda e filiforme ma non del genere velina tv, in una casa col terrazzo sul mare «e i suoi calzini sparpagliati ovunque», sorride lei innamorata e rassegnata. Poi qualche serata con gli amici, «sempre che Giorgia lo permetta». E tante oscillazioni tra l’antica versione di sé, tutta istinto e bischerate, e il nuovo Mattia che cita Michael Jordan e persino alcuni pensatori indiani. Un ex selvatico di 22 anni, diventato il the mentalist del calcio italiano.
La facevo più basso.
«È la televisione che mi accorcia».
Gliel’avevano già detto?
«A Genova? Tutti. Ma non è un problema, nella vita è meglio sorprendere».
Da piccolo pensavano fosse una specie di nano.
«Vero. A un certo punto i miei m’avevano persino portato a fare l’esame delle ossa. Sostenevano che non sarei cresciuto mai».
Una sentenza.
«Ma io non mi arrendevo. Mentre gli altri giocavano a pallone stavo appeso a una sbarra del parchetto, nel quartiere Q4 di Latina, convinto di allungarmi. Del resto ai provini mi avevano scartato tutti, compresa la Juve».
Mentre adesso.
«Sono 1 e 88. Coi tacchetti, anche uno e novanta».
Poi c’è il momento in cui si diventa grandi dentro.
«A me è successo l’anno scorso, 20 ottobre, ottava di campionato, col Chievo».
Telecronaca differita.
«Passaggio filtrante per Pellissier sul primo palo, che si aggiusta la palla sul destro e calcia, palla che passa sotto le gambe di Manfredini e m’arriva diagonale proprio come avevo provato in allenamento, io che mi butto paro e capisco subito che s’è sbloccato qualcosa dentro di me, sento una specie di clock nella pancia, la curva nord che applaude, e dico a me stesso “vabbene Matti, adesso ci sei”».
Va in trance, quando parla di calcio.
«Visualizzo. E ricordo tutto».
E non perdona niente.
«Solo a me stesso. Sono critico fino a farmi del male. Lei l’ha letto Il gioco interiore del tennis?».
No.
«È un libro importante, dove si dice che mai, e poi mai, bisogna insultare il proprio ego, dirsi “vai a quel paese Perin, che cosa diavolo hai fatto?”. Sono torti che incrinano la fiducia in se stessi. Io sto imparando a non farlo più».
Il calcio rende stupidi?
«Dipende dalle persone che incontri, dipende da chi sei. All’inizio arrivi nel football che conta e ti monti la testa, dici cavolo, ho solo 18 anni e sto in Serie A. Poi grazie a certe vicende che ho vissuto, le batoste prese a Pescara, sono tornato coi piedi per terra. A un certo punto sembrava che tutto mi fosse dovuto. E invece tutto dovuto un cavolo. Ho fatto mia una frase di Michael Jordan: “Il talento vince le partite, l’abnegazione vince i campionati”».
In mutande, da solo sull’erba, davanti a qualche migliaio di persone, non le capita mai di assentarsi o pensare “ma cosa diavolo ci faccio io qui?”.
«Ho le mie tecniche per restare sempre dentro al gioco. Cerco di immaginare in anticipo ogni mossa dei miei compagni, a chi stanno per lanciare la palla, se scatteranno o indietreggeranno. È il mio segreto per non partire con la testa».
Chi le ha stortato il naso?
«La botta più forte me l’ha data Luca Toni, in allenamento. Spalle alla porta, s’aggiusta la palla con l’intenzione di girarsi quando penso bene di fargli un’uscita bassa. Mi sono preso il suo 50 di piede dritto in faccia».
A che cosa pensa Balotelli prima di tirare un rigore, visto che lei è uno dei pochi ad averglielo parato?
«Se lui ti vede fermo, tende a incrociare il tiro. Da questa consapevolezza puoi iniziare a fare il tuo gioco. Io ho fatto finta di buttarmi a destra, l’ho confuso».
Dicono che lei abbia iniziato a giocare a golf.
«Proprio vicino a casa mia, nel nove buche della pineta di Arenzano. E da lì, sono passato a leggere Deepak Chopra. L’ha letto il suo libro sul rapporto tra golf e vita?».
No.
«Ecco, è importante. Si basa sulla teoria della completezza del gesto: se tu fai bene swing e backswing, poi la pallina la colpisci per forza. Allo stesso modo, in un rapporto di amicizia ad esempio, se prometti a una persona a te cara di fare una determinata cosa assieme, poi non devi mai farla cadere in modo sciatto. Devi chiudere il gesto. Telefonare. Prenderti cura. Non completare questi rapporti diventa un peso per l’inconscio e crea fatica per la mente. Chopra mi ha aperto un nuovo mondo».
Che sembra non centrare niente col..
«...col calcio? E invece c’entra. Perché se fai un gesto completo la palla la blocchi e la tieni lì, se invece lo fai incompleto la respingi e chissà dove finisce. Oh, ma non è che adesso voglio sembrare un santo, eh? Io a scuola andavo male. Solo che adesso mi è venuta voglia di avere un bagaglio culturale».
Male quanto?
«Quando giocavo a Pistoia venivano gli istitutori a svegliarci alle 7 di mattina, per andare a lezione. Io allora mi facevo chiudere a chiave nell’armadio dal mio compagno di stanza per non farmi trovare: alla fine della prima ora, visto che la scuola stava dentro il convitto, chiedeva di andare in bagno e mi liberava».
Del ragazzo che dormiva all’albergo Puppo di Pegli, l’hotel che ospita le giovanili del Genoa, cosa è rimasto?
«Forse niente. O forse la fantasia, le idee strane che mi vengono. Solo che adesso, prima di fare una cavolata, conto fino a dieci».
Perché la prima cosa che ha voluto mostrare è il salto col bungee jumping?
«Perché mi rappresenta, è un’esperienza che ti rende più forte mentalmente e che consiglio a tutti: prima di entrare in campo, quando la tensione è alta, rivedo me stesso in cima a quel traliccio, e mi scende tutto».
La paraculaggine cos’è?
«L’arte di fare cavolate ridendo, e obbligare gli altri a volerti bene».
Voli basso Perin, le si potrebbe obiettare.
«Ecco, questa è una frase che non ho mai capito. Uno te lo può anche dire mille volte, di stare schiacciato. Ma se nel tuo cuore sai di essere destinato ad altre vette, non c’è niente da fare. È una percezione precisa. E, prima o poi, volerai».