Pierluigi Panza, Corriere della Sera 23/3/2014, 23 marzo 2014
«Iacopo Palma non è già soprannominato il vecchio perché ad esser tale foss’egli mai pervenuto, ché di soli 48 anni morì; ma perché visse prima d’un altro Iacopo Palma pronipote di lui e pittore anch’esso, il quale benché s’avvicinasse alla decrepitezza, nondimeno, per la contraria ragione ottenne dai posteri il privilegio d’essere contraddistinto con il predicato di giovane»
«Iacopo Palma non è già soprannominato il vecchio perché ad esser tale foss’egli mai pervenuto, ché di soli 48 anni morì; ma perché visse prima d’un altro Iacopo Palma pronipote di lui e pittore anch’esso, il quale benché s’avvicinasse alla decrepitezza, nondimeno, per la contraria ragione ottenne dai posteri il privilegio d’essere contraddistinto con il predicato di giovane». L’ Inventario redatto dal notaio Francesco Bianco il 22 giugno 1529, dopo la prematura morte del pittore, rivela impietosamente quanto volatile sia la vita degli artisti: non solo la gloria postuma è alterna, ma persino il nome è spesso incerto. Quello di Palma il Vecchio (Serina 1480 - Venezia 1528) era Jacobo (o Jacomo) Nigretti de Lavalle (questo era il toponimo), talvolta chiamato Giacomo Tonolo, dal nome del padre o solo Nigretto o Negretto, soprannome preso dal nonno, mentre Palma se lo diede lui, quasi selezionando l’eucaristica pianta dal popolare erbario che incornicia molte sue figure. Ma con la fortuna/sfortuna di Palma la bella e precisa mostra alla Gamec di Bergamo consente di rifare i conti. Anche se ad attestare la morte sono un mercante di vino, un tintore e un fruttarolo, Palma fu pittore pagato quanto Tiziano, unico collezionato in vita, già posto al vertice della pittura veneta come «primo ufficiale» dal Boschini e ammirato da Vasari, al punto da sostenere che Leonardo e Michelangelo non avrebbero operato tanto bene. Esagerazioni? La mostra curata da Giovanni C. F. Villa, la prima completa sull’artista, con 45 opere tutte autografe (complessivamente se ne conoscono un centinaio) provenienti da una ventina di prestatori, conferma le lodi e il credito accordato a Palma ai suoi tempi e poi sparito. A Palma sono stati dedicati studi monografici — dal primo di Fornoni (1886) all’ultimo del direttore del Guggenheim, Philip Rylands (1988) — ma mai l’artista era stato celebrato in un’antologica, poiché difficile si è sempre rivelato il tentativo di raccogliere i suoi dipinti conservati nei grandi musei: dalla National Gallery di Londra alle Gemäldegalerie di Berlino e Dresda, dal Kunsthistorisches di Vienna all’Ermitage di San Pietroburgo, al Louvre di Parigi. E ancora, dalle collezioni della Regina Elisabetta II, dagli Uffizi alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Ora si hanno a disposizione cento giorni per vedere queste tavole, che poi torneranno a casa. Lasciate le valli bergamasche per Venezia, dove è attestato sin dal 1510, concorrente di Lotto, Palma divenne l’erede della pittura di Bellini, Cima da Conegliano, Giorgione e Carpaccio e il precursore di quella modernità veneta che si ritrova in Bassano o Paris Bordone. Entrò in contatto con Tiziano, si dice innamorandosi della figlia, e questo generò mitologie. In realtà, Palma fu solo pittore, non si sposò e nemmeno parve interessato ai soldi. La qualità della sua pittura si ritrova sia nelle pale che nelle immagini della Madonna con il Bambino circondate dall’amorosa venerazione di santi e committenti, spesso davanti al panno d’onore o ampi paesaggi di chiarore veneto. Sono tavole che si rivolgevano più alla devozione privata che all’esibizione sugli altari, anche se i primi suoi collezionisti furono ecclesiastici. In mostra si possono ammirare i vertici esecutivi di Palma, tra cui il Polittico di Santa Barbara che per la prima volta ha lasciato Santa Maria in Formosa a Venezia. Accanto alla pittura religiosa sono esposti ritratti ove sono da osservare espressioni dei volti, qualità dei panneggi e delle stoffe (la famiglia di Palma commerciava in stoffe e lui è raffinatissimo nel dipingerle) come la Dama in blu di Vienna, La Bella della Thyssen-Bornemisza di Madrid o il ritratto al naturale dell’ Ariosto immalinconito. Palma è abilissimo nel trattare i neri, che lavora con ricami raffinatissimi, i veli e i particolari dei panni. Definisce anche l’ideale rinascimentale di una donna dalle forme morbide e ampie intenta a destreggiarsi con opulente vesti di seta. La mostra, che ha richiesto costi importanti in assicurazioni, dedica spazi anche ai bambini e un approfondimento sulle modalità esecutive della pittura di Palma, che in genere utilizzava velature successive (fino a nove o dieci) partendo dagli scuri e operando su disegno al carboncino sopra la biacca, con grande attenzione nella scelta dei pigmenti. Spiccano il cinabro, l’azzurrite, il pregiato lapislazzulo. Questa mostra — che non lascia spazio al virtuale — completa un percorso di Rinascimento veneto iniziato con le esposizioni alle Scuderie del Quirinale dedicate a Giovanni Bellini, Lorenzo Lotto, Jacopo Tintoretto e Tiziano Vecellio e quella di Cima da Conegliano a Palazzo Sarcinelli. La prossima tappa potrebbe essere una mostra su Bartolomeo Montagna, a Vicenza, nel 2017. L’esposizione è stata l’occasione per restaurare la Presentazione della Vergine della chiesa della Santissima Annunziata di Serina (Bergamo), malridotta per l’inadeguata collocazione. Qualche dubbio resta sull’idea di ricostruire in stile la cornice (non si discute la qualità della ricostruzione stessa) entro la quale ricollocare il polittico. Recuperate anche due tavole del Polittico della Resurrezione , e la tela dell’ Adorazione dei pastori di Zogno. Completo il catalogo Skira (utile la ridefinizione cronologica di Luisa Attardi), che presenta una particolarità: nel quinto centenario della morte Aldo Manuzio utilizza il carattere da lui creato per il De Aetna di Pietro Bembo. Sono stati realizzati anche cataloghini tematici, coinvolgendo studenti dell’Università di Bergamo, mentre aziende cittadine si sono mobilitate per il merchandising . © RIPRODUZIONE RISERVATA Pagina Corrente Pag. 18 Immagini della pagina