Paolo Condò, SportWeek 28/2/2014, 28 febbraio 2014
DONETSK È IL SIMBOLO DELLA NOSTRA STUPIDITÀ
A volte una partita di calcio può essere anche, per ciò che ricorda, un tuffo al cuore. La scorsa settimana lo Shakhtar Donetsk ha ospitato il Bayern Monaco nell’andata degli ottavi di Champions, e “ospitato” è un concetto estremamente labile visto che la gara si è giocata a Leopoli, Ucraina occidentale adiacente alla Polonia, città praticamente equidistante da Monaco e Donetsk. Nel vedere Guardiola e Lucescu stringersi la mano prima del match è stato naturale ripensare alla primavera del 2011, quando seguii il quarto di finale tra Shakhtar e Barcellona nel bellissimo stadio Donbass, e ovviamente si parlò delle esperienze bresciane di entrambi i tecnici. In quei giorni, però, la vera curiosità di giornalisti e addetti Uefa convenuti nel lembo più orientale d’Ucraina riguardava i lavori di ammodernamento dell’aeroporto e delle altre infrastrutture (strade, alberghi, campi d’allenamento) necessari per l’Europeo dell’anno seguente: Donetsk avrebbe ospitato addirittura una semifinale, e del nuovo terminal – per dirne una – si vedeva appena un accenno di scheletro, mentre quello vecchio, oltre che da alcuni taxi, era ancora servito da carretti trainati dai muli. «Non ce la faranno mai», era stato il commento di un funzionario Uefa svizzero al momento di ripartire.
Invece gli ucraini ce la fecero. Almeno in parte: terminal finito in tempo (anche se decisamente disadorno), qualche buon albergo nella zona dello stadio – ne usufruì in tempo pure la Juve in un match di Champions del dicembre seguente – una piacevole passeggiata pedonale ricca di ristoranti per le calde serate di giugno dell’Europeo. Un vero peccato che l’impatto turistico, sul quale all’epoca si puntava molto, rimase impercettibile: Donetsk aveva lavorato sodo, ma senza riuscire a comunicarlo. La Spagna, per dire, giocò lì il quarto e la semifinale a distanza di quattro giorni: a regola la città avrebbe dovuto essere invasa dai tifosi della Roja, invece non se ne vide in giro uno, se non nei giorni delle partite.
È inevitabile pensare alla stupidità, umana e politica, che distrugge in pochi giorni ciò che è costato tanti sforzi costruire. Come ha ricordato sul Guardian (articolo di Alec Luhn) il portiere dello Shakhtar, Andriy Pyatov, «è una pena andarsi ad allenare e giocare le partite dopo aver letto che nella tua città hanno distrutto l’aeroporto, hanno bombardato lo stadio, hanno ucciso decine di persone con una granata fatta esplodere in un autobus e altri orrori del genere». La grande squadra di Donetsk si è trasferita a Kiev, visto che la città è sostanzialmente sotto il controllo delle milizie filo-russe, gioca a Leopoli le partite casalinghe di Champions, e almeno per il momento non se n’è andato nessuno (malgrado i brasiliani abbiano avuto buone offerte anche dall’Italia, come Luiz Adriano). «Merito di Lucescu», ha raccontato Pyatov, «perché avrebbe potuto andare al Galatasaray e invece ha preferito rimanere, obbligandoci moralmente a fare lo stesso».
Sogno di tornare al Donbass per una grande gara di Champions. Ci sono ragazze stupende a Donetsk, ma non è per questo.