www.repubblica.it 2/4/2010, 2 aprile 2010
Il 27 febbraio 1878 il ministro dell’ Interno, il siciliano Francesco Crispi, era furente. Da un pezzo i giornali lo mettevano in croce per quelli che lui considerava affari strettamente privati, ma adesso un giornale più sfrontato degli altri, "Il Piccolo" di Napoli, osava stampare in prima pagina sei domande
Il 27 febbraio 1878 il ministro dell’ Interno, il siciliano Francesco Crispi, era furente. Da un pezzo i giornali lo mettevano in croce per quelli che lui considerava affari strettamente privati, ma adesso un giornale più sfrontato degli altri, "Il Piccolo" di Napoli, osava stampare in prima pagina sei domande. Nella prima chiedeva: «La signora che sino all’ anno passato fu da tutti conosciuta come la signora Crispi, era o no legalmente la moglie dell’ onorevole Francesco Crispi?». E via di questo passo, in modo sempre più impertinente. Il giornale suggeriva che l’ onorevole ministro avesse gabbato la buona fede di chi aveva celebrato le sue nozze con Lina Barbagallo: appena un mese prima, in tutta fretta, senza le necessarie pubblicazioni. Addirittura in casa. Per aiutare la signora che un certificato medico diceva quasi in fin di vita, per dare una famiglia riconosciuta dalla legge a una bambina nata quattro anni prima, per evitare di sposarsi pubblicamente quando tutti li pensavano già sposati. Una richiesta del ministro al Procuratore del re metteva nero su bianco tutti i motivi che consigliavano riguardo, e il ministro aveva sottoscritto che nessuno degli impedimenti previsti dal codice civile si opponevano al suo matrimonio. Così il 26 gennaio 1878 la cerimonia di rito civile era stata celebrata in casa di Crispi, a Napoli. In gran segreto. Ma qualcuno aveva parlato,e lo scandalo stava montando. Aveva cominciato la stampa locale, e di sicuro aveva ragione Crispi nel sospettare la regia di qualcuno dei suoi nemici dietro le dettagliate informazioni regalate dal "Piccolo" ai suoi lettori. Ma l’ argomento era ghiotto, sul ministro dell’ Interno accusato di bigamia dopo qualche giorno scrivevano da Milano a Palermo. "Il Piccolo" ne era fiero, riportava un florilegio degli articoli e commentava: «Chi ha lanciato contro una macina da mulino, chi un sasso, chi un ciottolo, ma tutti han lapidato». Lo scandalo sulla bigamia di Crispi è ora raccontato da Enzo Ciconte e Nicola Ciconte in un libro appena pubblicato da Rubbettino, Il ministro e le sue mogli (135 pagine, 14 euro) che, utilizzando al meglio la storiografia crispina, mostra l’ attualità di una vicenda dimenticata. E il ministro siciliano dalla vita sentimentale disordinata sembra incarnare un prototipo, destinato a ripetersi e perfezionarsi. Crispi è un potente uomo politico, non accetta limiti a quelle che considera le sue esigenze. Esibisce disprezzo delle leggi, insofferenza verso le critiche: «Io non sono un colpevole ma un perseguitato», scrive con grande sprezzo del ridicolo. Lo scandalo lo costringe a dimettersi ma non ne stronca la carriera, e tutta la vicenda sembra offrirsi come modulo interpretativo per l’ Italia di allora e per quella di oggi, raccontandoci le radici di una nazionale «debolezza etica» che da sempre attira le critiche ma - molto di più, almeno in patria - attrae consensi. Nel 1878 Francesco Crispi dichiara d’ essere libero da precedenti vincoli matrimoniali, ma dice il falso. E a montare ancor più lo scandalo è la figura della prima moglie, Rosalie Montmasson: schiacciata dal potere di lui, che sempre rimane in dignitoso silenzio. Era stata un’ eroina del Risorgimento, anticonformista e orgogliosa. Era cresciuta in un paesino dell’ Alta Savoia, aveva conosciuto Francesco Crispi nell’ estate del 1849 a Marsiglia. Lui era un avvocato trentenne in fuga dopo il fallimento della rivoluzione palermitana dell’ anno prima, lei era solo una lavandaia. Si era innamorata, per amore di lui era diventata una cospiratrice. L’ aveva seguito negli anni difficili, quando lui era poverissimo e lei lucidava i pavimenti nella case dei signori per mantenerlo. Si erano sposati a Malta, in casa di un sacerdote: anche allora bisognò fare in fretta, su Crispi pendeva un decreto d’ espulsione. Ma alla fine era arrivato il permesso della Curia, tutto era sembrato andare a posto. I coniugi Crispi avevano continuato a cospirare, lei era stata l’ unica donna fra i Mille. Era conosciuta e ammirata da tutti. Con l’ Unità era cominciata una seconda vita. Rapidamente lui era diventato importante, e anche ricco. Faceva l’ avvocato, frequentava i salotti eleganti. E per Rosalie erano cominciati i guai. La compagna di lotte, la donna che aveva mantenuto sé e il suo uomo coi lavori più umili, era invecchiata, era gelosa. La sua conversazione non era brillante, ogni suo gesto tradiva le umili origini. Nella lunga e pericolosa clandestinità era stata la compagna ideale, ma non era più all’ altezza di un uomo che amava il lussoe teneva servi in livrea. E Francesco Crispi si libera di Rosalie Montmasson, nel m o d o p e g g i o r e . D o p o vent’ anni, si appiglia a cavilli per sostenere che il loro matrimonio non è mai stato legalmente valido, a causa di alcuni vizi di forma: la loro storia diventa un «simulacro di matrimonio». Le stesse spregiative parole sarebbero tornate nella sentenza del giudice istruttore, che chiude il caso con la decisione di non proseguire il procedimento penale. Solo così Crispi può rientrare sulla scena politica. Verso il ministro istintivamente scatta una solidarietà tutta maschile e politica, che condiziona i magistrati, ed è ovvio che Rosalie venga sacrificata. Schierarsi contro di lei è il male minore. A difendere Crispi troviamo l’ avvocato Diego Tajani, molto noto a Palermo: nel 1871 aveva incriminato il questore Albanese, accusandolo d’ essere in combutta con la mafia. Era un magistrato integerrimo, ma la sua militanza nell’ area crispina era indubbia. Anche l’ ordinamento della magistratura proteggeva «naturalmente» il ministro: a dichiarare il non luogo a procedere è il pubblico ministero, che funge da «rappresentante del potere esecutivo presso l’ autorità giudiziaria». In pratica era un rappresentante del governo, alle dirette dipendenze del ministro dell’ Interno. Cioè di Crispi. Rosalie Montmasson aveva poche possibilità. Nella sentenza di proscioglimento, Crispi viene indicato come «un uomo levato a tanta altezza nella vita politica», esposto alle recriminazioni di «quella donna».