Orhan Pamuk, la Repubblica 24/1/2014, 24 gennaio 2014
ORHAN PAMUK
NEL famoso servizio della Paris Review, Hemingway stila un elenco di quei letterati che lo hanno influenzato e di quelle personalità dalle quali egli ha imparato di più. Alla lettura di quella lista di Hemingway — avvenuta nei giorni in cui, a ventitré anni, avevo deciso di soprassedere alla pittura per diventare scrittore — ero rimasto affascinato alla vista dei nomi di musicisti, quali Bach e Mozart, e di pittori quali Bruegel e Cézanne, fra quelli di scrittori come Flaubert, Stendhal, Tolstoj e Dostoevskij. Un giorno, nel tempo, avrei anch’io fatto la stessa cosa. Dopo trentacinque anni, una volta portata a termine la scrittura del Museo dell’Innocenza , ho capito che quel giorno era infine arrivato.
Ecco qui di seguito una lista di influssi scaturiti da vita, letteratura e arte.
1) Nel 1982, durante una riunione di famiglia, avevo conosciuto il principe ottomano Ali Vâsp Efendi. Quel principe, nipote del sultano Murat V, nel caso in cui il sultanato fosse continuato e se la dinastia ottomana fosse rimasta al potere e presente in Turchia, sarebbe dovuto salire al trono. Come è dato di arguire dalle sue memorie, il corrosivo assillo del principe era incubato dalla incessante preoccupazione della mancanza di denaro. Per tirare a campare, ad Alessandria, presso il Palazzo e il Museo Antoniadis, quell’uomo era stato prima controllore dei biglietti, e poi direttore. Ora, il principe affermava dolente di essere alla ricerca di un lavoro. Orbene: posta la sua conoscenza vuoi dello stile di vita nel castello trasformato in Museo, vuoi della conduzione di siti quali i musei-palazzi, ecco che uno dei nostri commensali ebbe a osservare che il principe sarebbe magari stato in grado di trovare una occupazione come guida al Castello di Ihlamur, dove egli aveva pur passato lunghi anni da bambino.
2) Continuiamo a parlare di re e di palazzi. Il noto romanzo di Vladimir Nabokov, Fuoco Pallido, prende il nome, secondo la spiegazione dello stesso scrittore, da un distico di Timone d’Atene di Shakespeare: «È una povera ladra cattiva la luna /Che al al sole sottrae il suo pallido fuoco». Sono versi volti in paragone, a illustrare la condizione dello scrittore creativo che ad altri luoghi attinge e suggestioni e ispirazioni… L’essenziale del romanzo è costituito dalle note, dai commenti strani che, pubblicando la poesia, va a stilare, verso dopo verso, un vicino del quale andiamo capendo nel corso della lettura lo stato mentale non esattamente sano. A questo punto devo aggiungere, strizzando l’occhio a quei lettori che leggono il mio romanzo nel segno della storia d’amore: a quanto pare, non avevo ancora raggiunto la piena consapevolezza della violenza inopinata d’amore, allora.
3) Una tale inconsapevole noncuranza della forza travolgente d’amore si rivela un problema devastante anche per il protagonista eponimo dello Evgenij Onegin , il romanzo in versi di Puškin che sonnecchia in grembo alle lettere russe. Quel nostro eroe, già saturo di balli e dimore opulente e giochi di società, ai rintocchi d’amore alla propria porta non avrebbe fatto subito caso, avrebbe anzi badato con un lieve senso di disprezzo a Tatjana, la ragazza innamorata di lui. Però poi...
4) E così, senza darlo a vedere, siamo arrivati a quell’arte che nel romanzo consiste nel passaggio inosservato da un argomento a un altro, nell’abolizione della differenza fra il dettaglio notevole e quello privo d’importanza, nel discorrere di elementi secondari rimasti a margine, quasi fossero ingredienti fondamentali. Accanto a Sterne, Flaubert, Nabokov, Alain Robbe-Grillet, a mio parere è Georges Perec — soprattutto con quel suo lavoro che torno di tanto in tanto a sfogliare con gran piacere, La vita, istruzioni per l’uso — che ci permette di cogliere quanto l’arte di deviare dal solco del tema svolto e di guidare alla vista delle cose immediatamente lì accanto, sia in realtà il tema posto alla base del romanzo serio, teso a suscitare sempre nuove domande. Il gusto di Perec di stilare liste, dopo la profusione e ricaduta delle cose effuse del romanzo alla Balzac, ci lascia percepire, immersi nell’atmosfera poetica, che gli oggetti vengono a collocarsi al centro della nostra vita, anzi nell’epicentro del nostro mondo morale, dello spirito.
5) La relazione poetica con gli oggetti. Amo tanto le nature morte dei Fiamminghi, la pittura della vanitas che lascia intendere l’essenza effimera della vita mediante i teschi, gli orologi, le candele oramai disciolte, e le cose rese poetiche e cariche di valenze simboliche, Chardin, il più brillante dei francesi del XVIII secolo, e le nature morte di Cézanne, Balthus, Duchamp, e Joseph Cornell.
6) Voglio dimostrare quanto il mio libro trovi alimento nella vita. Ma io, questo saggio lo sto componendo anche con il piacere di ricordare le cose belle vissute durante la scrittura di un libro al quale ho dedicato sei anni della mia vita, in una incubazione durata dieci anni.
7) Tra il 1996 e il 2000, il mattino accompagnavo a scuola mia figlia. Dopo averla lasciata all’entrata della scuola dietro Tophane, camminavo verso il mio studio, assorto, nel reticolo delle vie secondarie di Beyoðlu, Çukurcuma, Firuzaða e Cihangir. Nel fresco del mattino, le botteghe appena aperte, il profumo di pane e ciambelle al sesamo diffuso dai forni, studenti frettolosi diretti alle scuole, e io che traevo un gran piacere dal percorrere quelle strade. Il modesto mercato rionale delle pulci nelle viuzze di Çukurcuma, i negozianti che vendevano cianfrusaglie, dai tavoli decrepiti ai posacenere, dalle posate ai giocattoli di produzione locale della mia infanzia, e poi anche quei banchi di smunte riviste, pagine, carte geografiche servivano ad infiammare il desiderio di inserire in un quadro tutti quanti quegli oggetti e di custodirli all’infinito.
8) Più tardi, con l’acquisto di una casa che avrei potuto volgere in museo, si è acuito l’ardire del piccolo collezionista dentro di me. Del collezionista sapevo però di non avere lo spirito. Se infatti compravo una vecchia saliera notata in una vetrina, un bocchino per sigarette, un tassametro sopravvissuto a un taxi demolito o una boccetta di colonia, non era tanto per fini di collezione: era piuttosto per farne pezzi e brani del romanzo che avrei scritto.
9) Prima dell’uscita del Museo dell’innocenza avevo sognato di poter concepire un racconto, un romanzo semplicemente guardando a una serie di oggetti. Viktor Šklovskij, il formalista e teorico russo della letteratura, sostiene che ciò che viene chiamato ‘intreccio’ non è che una linea che attraversa quei punti e quei temi che vogliamo esporre, indagare in un romanzo. Dopo Delitto e castigo di Dostoevskij e i racconti di Edgar Allan Poe, anche il genere poliziesco, che imprime un segno duraturo sullo stagliarsi formale del romanzo moderno, è costruito sull’invenzione di una trama che mette in correlazione i vari indizi.
10) Tuttavia, allo scopo di ottenere un intreccio di eventi, di arrivare all’universo coerente, ricco e umano, dobbiamo essere in grado di istituire relazioni sentimentali con gli oggetti messi insieme. E un romanzo noi sappiamo immaginarlo solo disponendo in un dato ordine quelle cose che suscitano in noi un’emozione poetica.
11) La prima personalità che abbia trasformato l’idea di un rapporto sentimentale con gli oggetti in quella di un museo sentimentale, è Daniel Spoerri, l’artista svizzero di origini romene nato nel 1930. Nel 1979, in Germania, a Colonia, Spoerri ha allestito una mostra dove erano esposti oggetti banali della vita quotidiana, chiamandola “Museo Sentimentale”. Questa temporanea mostra recava in sé anche lo spirito dell’emozione di scoprire la poesia negli oggetti d’uso comune condiviso da Perec.
12) Ha dichiarato Spoerri che una delle suggestioni ricevute per il “Museo sentimentale” di Colonia scaturiva dal Museo Frederic Marès di Barcellona. In quel museo, «i fermagli, gli orecchini, le carte da gioco, le chiavi, i ventagli, le boccette di profumo, i fazzoletti, le spille, le borsette, i braccialetti del piano di sopra», sono tutti oggetti studiati da Kemal Basmac, protagonista del mio romanzo, e in seguito anche da me. Ed è questa l’occasione per ringraziare, e ricordare con rispetto Frederic Marès, il quale ha influenzato profondamente il mio museo, così come Proust, Joseph Cornell, Tolstoj, Nabokov, Borges, e il Museo Bagatti Valsecchi di Milano.
13) Aveva aggiunto Flaubert, alle 11 di sera, in calce a una lettera scritta il 6 aprile del 1846 a Louise Colet, da lui amata in gioventù, nonché modello per gli incontri e le scene erotiche in Madame Bovary : «Quando giunge quest’ora della notte in cui tutto sprofonda nel sonno, apro il cassetto dove custodisco i miei tesori. Guardo le tue pantofole, il tuo fazzoletto, i tuoi capelli, il tuo ritratto, rileggo le tue lettere e ne odoro l’intenso profumo ». Ora, a quel lettore curioso che mi chiede: «E voi, Signor Orhan, alla vista degli oggetti della vostra amata, non avete mai provato un senso di consolazione? Voi siete Kemal?», dovrò ben confessare: no, io non sono Kemal, io sono Monsieur Flaubert. ( Traduzione di Giampiero Bellingeri) © Eutopia Magazine — creative commons
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Amo i Fiamminghi carichi di poesia Ma anche Chardin e le nature morte di Cézanne