Sergio Romano, Corriere della Sera 24/1/2014, 24 gennaio 2014
Perché non parla dell’astrusità della redazione di leggi e decreti, compiuta ad arte, affinché gli interessati si rivolgano a consulenti per decifrare il contenuto? Non esisteva una legge che obbligava ad essere chiari? Daniele Tellino d
Perché non parla dell’astrusità della redazione di leggi e decreti, compiuta ad arte, affinché gli interessati si rivolgano a consulenti per decifrare il contenuto? Non esisteva una legge che obbligava ad essere chiari? Daniele Tellino d.tellino@gmail.com Caro Tellino, S pero che dietro l’oscurità del linguaggio amministrativo non vi sia addirittura l’intenzione di giovare a una categoria professionale. Ma il problema esiste e meriterebbe di essere affrontato con la determinazione di cui dette prova Sabino Cassese quando fu ministro della Funzione pubblica all’epoca del governo Ciampi, dall’aprile 1993 al giugno 1994. Cassese (che ha da poco terminato il suo mandato di giudice costituzionale) conosceva il linguaggio della Pubblica amministrazione, sapeva che la sua oscurità non è soltanto una offesa alla lingua italiana: è soprattutto una offesa agli italiani, privati del diritto di comprendere le norme da cui è regolata la loro vita quotidiana. Per combattere questa piaga, promosse alcune ricerche da cui risultò, tra l’altro, che la capacità di leggere una qualsiasi circolare ministeriale dipende oggi dal grado di istruzione dei cittadini. Possono leggerla, più o meno facilmente, soltanto i laureati, vale a dire il 22,4% della popolazione (la media europea è 36,8%). Per rimediare occorreva che le leggi venissero «tradotte» in una lingua comprensibile. Con l’aiuto di qualche linguista Cassese fece preparare un vocabolario essenziale della lingua italiana da cui erano escluse tutte le parole astruse e apparentemente erudite che sono la delizia della burocrazia nazionale. E fece «tradurre», per fornire esempi di redazione, alcune norme particolarmente incomprensibili. Il risultato fu un libro (bello anche graficamente) che venne stampato nel 1993 dall’Istituto Poligrafico dello Stato sotto il titolo Codice di stile delle comunicazioni scritte a uso delle amministrazione pubbliche . Il libro da solo non bastava. Occorreva distribuirlo ai ministeri, promuovere lezioni e seminari per diffonderne i contenuti, creare nelle amministrazioni e in Parlamento un ufficio di consulenti linguistici a cui affidare il compito di ripulire i testi prima della loro approvazione. Se devo giudicare dai risultati, molto resta da fare.