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 2014  gennaio 24 Venerdì calendario

DALLA NOSTRA INVIATA DAVOS

Il rischio default torna di attualità all’indomani del lancio del Quantitative easing (QE) da oltre mille miliardi da parte della Bce, che scarica l’80% delle eventuali perdite derivanti dall’acquisto di titoli di Stato sulle banche centrali nazionali, mentre solo il restante 20% sarà a carico dell’eurosistema, anzi anche meno visto che si tratterà per lo più di titoli emessi da istituzioni europee. Ma che cosa succede quando uno Stato fallisce?
L’insolvenza
In passato lo Stato non falliva, perché continuava a stampare moneta, ma così facendo produceva iper inflazione (l’esempio più drammatico è la Repubblica di Weimar). Oggi uno Stato, che si trova in condizioni tali da non poter restituire completamente il suo debito pubblico ai creditori, diventa insolvente e si parla perciò di insolvenza o default sovrano. Il default può essere accompagnato da una dichiarazione formale di un governo di pagare solo parzialmente i suoi debiti (detta haircut), tagliando gli interessi o allungando le scadenze, come è successo di recente con la ristrutturazione del debito greco. O quando cessano di fatto i pagamenti: è il caso dell’Argentina del 2001 .
Le classi di creditori
Il fallimento non colpisce tutti i creditori allo stesso modo, ma a seconda del grado di seniority degli investitori. Nel caso greco, ad esempio, l’haircut ha risparmiato la Bce, ma non istituzioni private e hedge fund. Poi c’è il problema dei Cds, o Credit Default Swaps, derivati che costituiscono una sorta di assicurazione per proteggersi dal fallimento dell’emittente. Nel caso di dichiarazione volontaria di default, non scatta il rimborso dei Cds, ma l’ultima parola spetta alla Isda, l’associazione che riunisce le società che emettono derivati, come le grandi banche.
Rogoff: i Paesi a rischio
«Molti Paesi della periferia dell’eurozona dovrebbero ristrutturare il proprio debito in questo momento. Penso all’Irlanda, al Portogallo, alla Grecia e alla Spagna, attraverso una riduzione dei tassi e un allungamento delle scadenze. Senza troppo rumore: non andrebbe fatto in modo teatrale», sostiene Kenneth Rogoff, 61 anni, docente di economia ad Harvard. Alleggerire il peso del debito è importante per aumentare lo spazio per le manovre di bilancio e rilanciare la crescita è la tesi di Rogoff, autore del controverso «Growth in Time of Debt» (La crescita ai tempi del debito), pubblicato nel 2010 insieme a Carmen Reinhardt. Ma l’Italia e la sua montagna di debiti stimata dall’Ocse in salita fino al 132,6% del Pil nel 2015, però, è un caso speciale per Rogoff. «Non sono sicuro di quanto una ristrutturazione del debito aiuterebbe il Paese ora. Un’operazione di questo genere inoltre andrebbe accompagnata da una patrimoniale, e non credo ci siano le condizioni. La verità è che l’Italia ha un alto tasso di ricchezza privata e oggi l’80% dei titoli del debito pubblico è tornato in mani italiane». I Paesi a rischio di crac imminente sono altri. «Per il Venezuela è scontato: dichiarerà default». La Russia, il cui bilancio dipende in gran parte dal petrolio, seguirà? «Mosca non ha un grande indebitamento, mi aspetto piuttosto un massiccio fallimento di aziende, che ricadrà sul sistema bancario e, in ultima analisi, sullo Stato».