Marco Ferrari, Focus 2/2015, 23 gennaio 2015
LA FORZA DELLO STUPIDO
Il rapinatore di banche che era certo di essere invisibile alle videocamere, perché si era cosparso la faccia di succo di limone. Il professore in pensione che, alla riunione di condominio, spiega per filo e per segno come funziona la televisione satellitare, confondendo Stazione spaziale internazionale e satelliti artificiali. Il collega dell’ufficio acquisti che pontifica sulla sicurezza del nucleare, scambiando fusione e fissione. Se ne incontrano molte, di persone così (a parte forse il rapinatore); sono, secondo i ricercatori, tutti affetti dall’effetto Dunning-Kruger. Che non è una grave malattia neurologica, ma un comportamento che, chi più chi meno, tutti manifestano.
PRESUNTUOSI DA NOBEL. Il nome deriva da quello degli autori che l’hanno per la prima volta descritto (appunto, David Dunning e Justin Kruger, al tempo alla Cornell University, nello Stato di New York); l’hanno definito “sovrastima delle proprie capacità”. Cioè il pensiero, frequente e presente in ognuno di noi, che a fare o sapere qualcosa siamo migliori di quanto siamo in realtà.
Ci sono giocatori di scacchi che, nonostante la scala dei valori sia molto precisa, sono certissimi di essere migliori di altri obiettivamente più bravi. Novantenni che pretendono la patente, anche se palesemente non sono più in grado di guidare. Oppure ministri degli Esteri degli Stati Uniti che, per giustificare un attacco militare, accusano uno Stato di possedere “armi di distruzione di massa”. Fino ad arrivare ai premi Nobel che non fanno mancare all’umanità giudizi su qualsiasi argomento. Il famoso virologo francese Lue Montagnier, che vinse il Nobel nel 2008 per la scoperta dell’Hiv, sta diffondendo da anni la diceria che i singoli filamenti di Dna possono emettere onde elettromagnetiche, formando poi nanostrutture d’acqua che propagano informazioni. Linus Pauling, doppio Nobel (per la chimica e per la pace), propugnò la teoria della medicina ortomolecolare. Era basata anche su mega dosi di vitamina C per combattere le malattie, pure il cancro. Teorie senza senso, anche se vengono da premi Nobel.
MEGLIO DI TUTTI. Dunning e Kruger si sono chiesti se quelli che hanno raccolto siano solo aneddoti, oppure se alla base ci sia un fenomeno vero e descrivibile scientificamente. E hanno iniziato una serie di esperimenti e osservazioni per chiarire il fenomeno. In qualsiasi ambito, da quello finanziario all’uso delle armi, dalla grammatica inglese all’uso della logica, sono arrivati alla stessa conclusione: le persone non sono quasi mai in grado di giudicare correttamente le proprie capacità. Anche senza arrivare al Nobel o ai rapinatori stupidi (sembra una barzelletta, ma l’episodio è vero), sarà capitato a tutti di pensare di essere andati molto bene in un’interrogazione o un compito in classe, per ritrovarsi con un 4 o un 5. Un esteso studio del 2012, il National financial capability study, condotto dal Tesoro degli Stati Uniti, ha chiesto ai 25.000 americani chiamati a rispondere quale fosse la loro competenza in termini finanziari. Esaminando in particolare gli 800 che avevano fatto bancarotta, e che quindi si presume non fossero proprio dei “Wolf of Wall Street”, gli esperti hanno scoperto che in campo finanziario si giudicavano più esperti della media. Una sensazione che i bancarottieri hanno in comune con manager, studenti e giocatori di football. La maggior parte di essi, in base a sondaggi accurati, ritiene di essere migliore degli altri nel proprio lavoro, sia esso calciare una palla o coordinare le attività di un’azienda; e la cosa è palesemente inattendibile.
SICURI E AGGRESSIVI. Un effetto collaterale di questo difetto della valutazione personale è che gli incompetenti sono anche quelli più sicuri di sé. Quelli che non sanno o non sanno fare sono i più decisi nelle opinioni, i più certi delle loro conoscenze, i più ostinati nel mantenere e sostenere la loro posizione. E più si fa loro notare come quello che affermano sia del tutto illogico, più sostengono a pié fermo quanto hanno detto, fino a diventare aggressivi nel difendere le proprie posizioni. L’articolo di Dunning e Kruger che spiega tutto è intitolato infatti Unskilled and unaware of it: how difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessment, cioè “Inesperto e ignaro di esserlo: come le difficoltà a riconoscere la propria incompetenza porta a un giudizio esagerato su di sé”.
Come conseguenza di questa impostazione mentale, succede invece l’opposto: Dunning e Kruger hanno dimostrato che una persona veramente esperta tende a giudicarsi molto più severamente di una incapace. Fino ad arrivare a un punto in cui le persone più informate, avvedute e sagge si percepiscono meno dotate della media. Questo perché, secondo David Dunning, che insegna ancora oggi psicologia alla Cornell University: «I competenti pensano che gli altri siano bravi come loro; e che quindi ciò che sanno non sia niente di speciale rispetto al resto dell’umanità».
IDEE CASUALI. Ma quali sono nel nostro cervello le “forze” che ci spingono a una valutazione di noi stessi così errata da farci totalmente sbagliare il giudizio? Come mai l’incompetenza porta inevitabilmente all’incapacità di giudicare... la stessa incompetenza? Gli psicologi fanno notare che dal punto di vista logico la cosa sta in piedi. Per arrivare a giudicarsi incapaci, sarebbe necessario possedere le stesse capacità che garantiscono un autogiudizio obiettivo: impossibile. Come disse il naturalista inglese Charles Darwin nell’Origine dell’uomo e la selezione sessuale: “L’ignoranza produce confidenza più frequentemente di quanto non faccia la conoscenza”. Il rapinatore che si era spalmato il succo di limone sulla faccia non voleva credere che le videocamere lo avessero filmato e la polizia riconosciuto. Era assolutamente convinto che il succo di limone, visto che era noto anche come “inchiostro invisibile”, gli permettesse di fuggire alle attenzioni indesiderate.
FIDUCIA INNATA? Perché questo atteggiamento è così diffuso? Dunning risponde in maniera spiritosa: «Se mi chiedete quale sia la singola caratteristica che renda una persona soggetta a questo auto-inganno, io direi che è respirare». Più seriamente, gli psicologi ritengono che una mente che ignora non è affatto vuota, ma ricca di pezzi e frammenti di informazione, esperienze di altri che sentiamo nostre, discorsi sentiti al bar o letti anni e anni prima. Questi fatti, idee, informazioni e intuizioni sono a loro volta passati al vaglio da un cervello che milioni di anni di evoluzione hanno fatto diventare un “cercatore di pattern”, come dice Dunning: uno strumento che cerca di dare senso a tutto ciò che vede, sente o pensa, e in particolare al proprio io. E quando il senso non c’è, lo impone, a costo di inserire informazioni scorrette ma in apparenza giuste, a completare il quadro che ci siamo fatti di noi e del mondo. Il cervello è un infaticabile creatore di storie, e costruisce continuamente racconti più o meno plausibili su quel che siamo e sappiamo, riempiendo i buchi con nozioni raccogliticce. La ricetta perfetta per farci precipitare in situazioni pericolose o sfortunate.
Finché la nostra specie viveva in tribù di poche decine di persone, parenti e amici potevano esserci accanto per correggerci, sostenerci o prenderci in giro. Ma in una società democratica sempre più complessa e correlata, che sposta risorse e uomini in risposta a credenze popolari senza riscontro, il potere e l’aggressività di coloro che credono di avere sempre ragione potrebbero essere pericolosi.
Marco Ferrari