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 1956  ottobre 28 Domenica calendario

Così i pianoforti fatti ad arte vincono la crisi Nata 35 anni fa l’azienda Fazioli regge la concorrenza dei colossi e conquista artisti di classica e di jazz Sandro Cappelletto Un nuovo padiglione di 3600 metri quadri; un aumento della produzione del 15 per cento; dieci nuove assunzioni di personale qualificato

Così i pianoforti fatti ad arte vincono la crisi Nata 35 anni fa l’azienda Fazioli regge la concorrenza dei colossi e conquista artisti di classica e di jazz Sandro Cappelletto Un nuovo padiglione di 3600 metri quadri; un aumento della produzione del 15 per cento; dieci nuove assunzioni di personale qualificato. Comincia così il 2015 della Pianoforti Fazioli. Trentacinque anni fa, quando dalla fabbrica di Sacile uscì il primo strumento, gli davano del matto. Ma cosa si era messo in testa questo ingegnere romano col pallino della musica, figlio di una famiglia di mobilieri, trapiantata nel Nord Est quando questo spicchio d’Italia stava iniziando il suo miracolo economico? Tutti gli altri chiudevano, e lui si azzardava ad aprire. Pensava davvero di poter reggere la competizione in un mercato dominato dai colossi di sempre - anzitutto, la Steinway, con le sue due teste, a New York e Amburgo - e dalle nuove tigri d’Oriente: le giapponesi Yamaka e Kawai? Non c’era più margine per i piccoli costruttori storici, figurarsi per i nuovi. Lui però, Paolo Fazioli, aveva tre assi nella manica: la persuasione che il legno della Val di Fiemme, lo stesso usato da Stradivari e dagli altri grandi liutai italiani per fabbricare i loro violini, viole e violoncelli, potesse funzionare benissimo anche per il pianoforte; la qualità degli artigiani e tecnici, tutti italiani, che aveva iniziato a formare; il principio che ancora lo ispira: appena hai raggiunto un obiettivo, pensa subito al prossimo, migliorando sempre. «Oltre alle difficoltà commerciali, dovevo vincere lo scetticismo: i tuoi pianoforti suonano bene, mi dicevano, ma fra 5, fra 10 anni, saranno ancora solidi? E invece il tempo passava e la fiducia cresceva, soprattutto tra gli artisti, di cui ascolto sempre i consigli, le critiche: non devi mai pensare a uno strumento, anche al migliore, come a un prodotto da fotocopiare», racconta l’ingegnere pianista, settant’anni appena compiuti, passeggiando tra i diversi padiglioni della fabbrica, che riceve il 40% del fabbisogno di energia dal fotovoltaico. Nel 2010 un Fazioli gran coda è entrato alla prestigiosa Juilliard School di New York; nei mesi scorsi ha vinto il bando per fornire sette nuovi strumenti all’Università della Musica di Vienna; la Fenice di Venezia e l’Accademia di Santa Cecilia a Roma hanno acquistato alcuni esemplari. «I paesi dove siamo più presenti in Europa sono Austria, Germania, Inghilterra, ma anche Polonia, Russia, Ucraina, nazioni dove la cultura musicale è più forte di qualsiasi crisi; poi l’Asia, e in particolare Cina, Corea del Sud, Thailandia. Gli Usa sono in netta ripresa, il Canada è un grande mercato, in Sud America i paesi più dinamici sono Brasile e Cile». I clienti provengono sia dal mondo della classica che dal jazz; uno strumento costa dai 60 ai 140 mila euro. Nel 2015 la produzione salirà da 130 a 150 strumenti, restando comunque al di sotto delle richieste; i dipendenti da 45 a circa 55. Eppure, stava per andare tutto all’aria. «Ci ho messo due anni per ottenere i permessi necessari all’ampliamento della fabbrica: un progetto che mi sembra bellissimo di uno studio di architetti di Sacile. Due anni! Le ho tentate tutte: ho urlato, ho implorato, ho fatto la spola tra comune, provincia, regione. Una vergogna. Quattro mesi solo per l’autorizzazione dai Vigili del Fuoco: poi ho saputo che per tre mesi la mia pratica era rimasta nei cassetti. Ti chiedi il perché di certi comportamenti. Poi, quando per dare 1 euro pulito a un tuo dipendente ne spendi 3, capisci quanto in questo paese sia diventato impossibile lavorare». Ingegnere, a mezza giornata di macchina da qui ci sono nazioni dove il lavoro costa molto meno e le costruirebbero ponti d’oro se lei «dislocasse». Perché non l’ha fatto? «Per una sola ragione: i miei collaboratori non mi seguirebbero. Siamo tutti legati a questo territorio, viviamo vicino alla fabbrica, ci piace il cibo, il vino, le relazioni umane che abbiamo creato tra di noi. Se me ne andassi, sarebbe considerato un tradimento. E dunque resto, anche se le tasse continuano ad aumentare». Si sta facendo sera, nell’Auditorium accanto alla fabbrica alcuni giovani musicisti sono in prova. Duecento posti, sala da concerto e da registrazione, nel 2015 festeggerà i 10 anni di attività. Suo simbolo è una farfalla, dipinta con i sette colori dell’arcobaleno. Speriamo non voli troppo lontano.