Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 18/12/2014, 18 dicembre 2014
MARSIA IL SATIRO, DALLE VIGNACCE AI «CONSERVATORI»
Ha il corpo realizzato in un unico blocco di marmo dalle venature rosso violacee, per indicare la carne scuoiata viva. Le mani e i piedi, dove è rimasta attaccata la pelle, sono in marmo bianco. Il bulbo degli occhi in pietra calcarea, l’iride in pasta vitrea, il contorno delle palpebre e le ciglia in bronzo. Tracce di vermiglio ai lati della bocca. Così appare oggi, dopo un attento restauro, la statua di Marsia ritrovata nel luglio del 2009 nel Parco degli Acquedotti, presso la cosiddetta Villa delle Vignacce, che nel II secolo d.C. appartenne a Quinto Servilio Pudente, noto per avere avviato, nel 123 d.C., una fiorente produzione di mattoni. La stessa epoca della statua, copia in marmo di un prototipo in bronzo nato probabilmente a Pergamo, in Asia Minore, quattro secoli prima. E i maestri di Afrodisia, città che faceva parte del regno di Pergamo, sono stati identificati come autori di quest’opera. Marsia il satiro, nell’iconografia antica, non era mai da solo. Appariva, come questo, appeso ad un albero, mani e piedi legati e scuoiato vivo per aver osato sfidare Apollo nell’esecuzione di un brano musicale. Il Marsia è esposto nel Palazzo dei Conservatori, accanto al coevo Marsia degli Horti di Mecenate fino al 1 febbraio. Poi sarà collocato alla Centrale Montemartini.