Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  dicembre 01 Lunedì calendario

I ROTOLACAMPI DI ED RUSCHA

Chi non ha visto nei film western quei grandi gomitoli di erba secca che corrono portati dal vento attraverso i deserti e le aride praterie’ Li chiamano tumbleweed, rotolacampi. Piante che, una volta mature, si staccano dalle proprie radici e volano in giro per il mondo per diffondere i propri semi. Ed Ruscha, artista originario del Nebraska, chiama rotolacampi i materiali di scarto che si accumulano nelle discariche o ai margini delle autostrade e che lui inserisce nelle sue opere: brandelli di pneumatici esplosi, lattine di birra acciaccate, scatoloni da imballaggio, materassi sventrati, manifesti accartocciati, cassette di plastica, stracci. Ruscha li dipinge nei minimi particolari, come nature morte iperrealiste che si stagliano su fondi neutri sfumati o pianure senza confini, simili a quelle in cui ha vissuto l’adolescenza prima di trasferirsi a Los Angeles, la città dove ancora oggi, a quasi ottant’anni, vive e lavora. A Los Angeles trae ispirazione per i suoi quadri. Anche dalle cose che più lo spaventano, come la crescita smisurata della città: «Ogni giorno vi si trasferiscono tredicimila persone nuove», dice. È qui che ha realizzato i grandi dipinti esposti fino al 17 gennaio alla Gagosian Gallery di via Francesco Crispi 16. Sono le opere più recenti e si riallacciano alla serie precedente, chiamata «Psycho Spaghetti Western», dove raffigura alterazioni della realtà, dovute sia a cause naturali che sociali. È così che racconta il deterioramento del panorama americano, sia a livello empirico che metaforico. Lo fa usando un linguaggio che include il filone pop e l’arte concettuale, il surrealismo e la grafica commerciale. Non a caso iniziò a lavorare giovanissimo come impaginatore per un’agenzia pubblicitaria. E il segno di questo lavoro è rimasto nelle grandi parole che attraversano i suoi dipinti. I «words paintings», in cui i termini del gergo americano sono usati da Ruscha come elemento figurativo, sono iniziati negli anni Sessanta e sono forse i suoi lavori più conosciuti. Parole che sono rimaste anche in questa nuova serie di dipinti. «Inner-City Make Scream» è la scritta che campeggia sovrapposta ai brandelli di copertone galleggianti in un cielo verdastro, riprodotti meticolosamente a grandezza naturale, acrilico su tela. E una gigantesca battuta musicale in chiave di violino sovrasta il materasso logoro semicoperto da lenzuola sgualcite. Ma nel corso della sua carriera Ruscha ha sperimentato di tutto. Dal collage all’acquarello, che definisce un «procedimento pittorico piuttosto antiquato» e che ha appreso frequentando i corsi di Robert Irwin al Chouinard Art Institut. Fino alla ricerca di un’alternativa estrema all’uso dell’olio o dell’acrilico. Ricerca che lo ha portato a dipingere con materiali organici: il sangue e la polvere da sparo, il grasso e i succhi d’erba, il caviale e il cioccolato, il tabacco e i petali di rosa. E mentre dipingeva si domandava: «Dureranno’».