Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 19/11/2014, 19 novembre 2014
MIGLIAIA DI MICRO OPERE PER RACCONTARE IL MONDO
Le piccole pezze di lino bianco, già intelaiate nei loro supporti di legno, le spedisce Luciano Benetton. Tutte uguali: dieci centimetri per dodici. Indirizzate agli artisti di tutto il mondo, che le dipingono e le rinviano in Italia. È così che l’imprenditore veneto ha messo insieme una collezione che prevede di arrivare a circa ventimila micro opere entro il 2015. Un numero che sorpassa di gran lunga i millecinquecento «autoritratti minimi», otto centimetri per dieci, commissionati a metà del secolo scorso da Cesare Zavattini ai più importanti artisti italiani. L’idea era la stessa: il vincolo del piccolo formato. Diversa la motivazione. In Zavattini l’amore per l’arte, unito alla mancanza di soldi, lo fece ripiegare verso i piccoli quadri perché i grandi non poteva permetterseli. In Benetton, appassionato di colori e di viaggi, è stata l’esigenza di trasportare facilmente in valigia le opere. Tutto ebbe inizio una quindicina di anni fa, durante un viaggio in Cile. Un pittore gli disse che avrebbe voluto regalargli un quadro. Benetton rispose: «Sì ma piccolo, in modo che possa portarmelo dietro». Cominciò così la collezione sudamericana, la prima. Oggi le collezioni sono circa cinquanta, ognuna comprende tra i 140 e i 230 artisti, selezionati da un curatore locale. E l’insieme delle collezioni è diventata un’immagine del mondo, «Imago Mundi», come si chiama il progetto che, sotto l’egida della Fondazione Benetton Studi e Ricerche, vuole costruire e portare nel futuro una mappa visiva delle culture umane promuovendo gli artisti attraverso rassegne internazionali. Il debutto è avvenuto un anno fa alla Biennale di Venezia, con la presentazione di cinque collezioni e oltre mille dipinti. Ora è la volta della mostra al Museo Bilotti (Villa Borghese, via Fiorello la Guardia 6), che resterà aperta fino all’11 gennaio. Vi sono esposte le collezioni di sedici paesi africani, per un totale di oltre duemila artisti contemporanei. Duemila frammenti fatti di tela bianca dove migliaia di mani hanno tracciato segni con colori a olio e a tempera, acrilici e acquerelli, matite e pastelli. Ma anche volti e figure delineati da perline e bottoni, motivi astratti composti con piume e foglie, paesaggi creati con pezzetti di stoffa e di plastica. I frammenti, riuniti in espositori disegnati da Tobia Scarpa, che si chiudono come le pagine di un libro per essere trasportati con facilità da una mostra all’altra, ricompongono l’immagine del mondo africano oggi, con le sue tribù, le sue bellezze, le sue tragedie. «L’arte africana commuove, agita, coinvolge. È arte nuova», dice Benetton. «Dall’Africa viene sempre qualcosa di nuovo», aveva avvertito duemila anni fa Plinio il Vecchio.