Giovanni Belardelli, Corriere della Sera 24/12/2014, 24 dicembre 2014
MARINA
«Be cool and join the Navy». Questo è lo slogan che campeggia su un palazzo romano per invitare i giovani ad arruolarsi nella Marina militare. È fin troppo ovvio considerare un cartellone del genere come l’ennesimo esempio della superficiale anglofilia di un Paese come l’Italia, che l’inglese lo conosce mediamente poco ma cerca di usarlo molto. Un Paese il cui ministro dell’Istruzione ha annunciato di recente l’insegnamento in inglese di una materia curricolare delle superiori, quando è a tutti noto che un ragazzo o una ragazza che in Italia vogliano imparare davvero l’inglese devono provvedervi con corsi fuori dalla scuola o con soggiorni all’estero. Ma probabilmente quel cartellone indica anche qualcosa d’altro, che va oltre la provincialissima tendenza a usare l’inglese soprattutto se e quando non è indispensabile. Possibile mai, infatti, che in una terra tutta protesa nel Mediterraneo come la nostra, con una storia come la nostra, in cui il rapporto col mare è stato tanto importante — dalle Repubbliche marinare alle migrazioni e invasioni di popoli venuti appunto dal mare —, la Marina militare abbia pensato seriamente di invitare all’arruolamento con uno slogan del genere? Uno slogan la cui capacità di richiamo non si affida al contenuto, che di per sé è piuttosto banale e potrebbe andar bene per una marca di jeans come per la partecipazione a X Factor, ma alla lingua veicolare, l’inglese. D’accordo, è solo un cartellone pubblicitario. Ma in un Paese già disorientato di suo, in cui i vecchi riferimenti istituzionali e culturali appaiono in crisi e i nuovi non si vedono ancora, meraviglia e sconcerta non poco constatare che perfino la Marina militare si propone ormai ai giovani con richiami che si industriano di non avere nulla di specificamente legato a ciò che è stato ed è ancora italiano, neppure la lingua.