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 2014  dicembre 21 Domenica calendario

PIERLUIGI CONCUTELLI FRAMMENTI NERI SUL MASSACRO PASOLINI

È la mattina del 2 dicembre, il giorno in cui Roma si sveglia Capitale della mafia. Il maxi blitz disposto dalla procura tra 70 indagati e decine di arresti è solo l’inizio dell’avanzare della marea nera che dal “mondo di sotto” ha invaso il “Palazzo”, il “mondo di sopra” procedendo in simbiosi. Pierluigi Concutelli, rilasciato agli arresti domiciliari nel 2011 dalla Procura di Roma per motivi di salute, non è più un “comandante” militare, ma nemmeno uno qualunque. Una vita da “rivoluzionario”, così ha sempre affermato, tenendo tuttavia dentro di sé i nodi che hanno visto saldare tra loro eversione nera, violenza – dall’omicidio del giudice Occorsio a quello dei militanti neofascisti Ermanno Buzzi e Carmine Palladino – e potere politico negli anni di piombo e della strategia della tensione. Lo incontriamo nell’appartamento in cui abita attualmente a Roma. (Per anni Concutelli è stato ospite a Ostia - per i postumi di un’ischemia - di quello che lui chiama il suo “angelo custode”: Emanuele Macchi Di Cellere, ex capo del movimento rivoluzionario popolare arrestato pochi giorni fa per l’omicidio di Silvio Fanella). “Mi sto lavando” dice Concutelli aprendo la porta. Aspettiamo e ci fa entrare in salotto. Libri, tanti e immagini, simboli, soprattutto uno, quello del Duce raffigurato in una grande immagine, immancabile. Sul tavolino di fronte alla poltrona sulla quale si siede prima dell’inizio di questa conversazione c’è Correndo attraverso Pechino di un giovane scrittore Xu Zechen, la storia di chi vive ai margini della società e cerca di sopravvivere. L’intervista inizia dopo un po’: prima il caffè in cucina, poi la sigaretta e le attenzioni per Moustafà, il gatto che gli fa compagnia da due anni. A Concutelli parliamo di una foto, poco o nulla nota tra le tante che da anni girano sul corpo martoriato di Pasolini, assassinato all’Idroscalo di Ostia la notte tra il 1 e il 2 novembre 1975. Uscì sul numero 6 de L’Espresso, nel febbraio 1979, insieme ad altre sottratte all’obitorio, a pochi mesi dall’ultima udienza del processo di Cassazione che doveva vibrare l’ultimo giudizio verso l’unico imputato per l’omicidio dello scrittore, Pino Pelosi. Il titolo Massacro di un poeta già incideva sui dubbi riguardo alla tesi dell’unico assassino, dubbi che oggi più che mai a distanza di 39 anni dalla morte sono riemersi nell’ultima inchiesta aperta dalla Procura di Roma sul caso, con una nuova ricostruzione, che include due nuovi sospettati e tre tracce di Dna da verificare. La foto ritrae di schiena Pasolini: sulla pelle si vedono chiaramente dei segni circolari, tondeggianti che hanno lasciato delle lacerazioni in alcuni punti.
Quei segni tondeggianti non possono essere stati causati da un bastone e una tavoletta di legno, sembrano essere stati provocati da un qualcosa di più pesante (come anche la prima perizia di parte aveva rilevato, ndr)...
Sì, tondini di ferro.
La foto è molto chiara anche se stranamente fino a oggi questa foto non è mai entrata nelle analisi delle ricostruzioni giudiziarie o di altro tipo.
Non ha mai interessato gli inquirenti...
Secondo alcune evidenze, Pelosi viene usato come esca quella notte e insieme a Pasolini avevano un appuntamento all’idroscalo per recuperare le pizze del film Salò o le 120 giornate di Sodoma. Oltre alla macchina di Pasolini sul posto ne arrivano altre due, una Fiat 1300 e un’Alfa uguale a quella dello scrittore e una moto. È l’altra Alfa che l’ha sormontato e finito dopo che lo hanno riempito di botte.
È plausibile. Pestano, lo pestano...
Dei picchiatori del Msi del Tiburtino, mentre l’uomo con la barba teneva Pelosi minacciandolo, hanno prima tirato fuori Pasolini dalla sua macchina e poi lo hanno pestato quasi a morte. Soltanto dopo lo hanno finito passando sopra il suo corpo più e più volte.
Sono sue ricostruzioni ‘basate su asserzioni di non precisati testimoni’ (lo scrive sul foglio pieno di sue note che riempie mentre parliamo, ndr). Io non posso dire ciò che non ho constatato con i miei occhi anche se la storia che mi racconta è plausibile. Ma ero all’estero allora.
Lei era a Roma in quei giorni, qualcuno le portò della frutta, un ragazzo gliela consegnò.
Non risponde. Ma quella testimonianza esiste. La riferisce un abitante di Monteverde Nuovo che divenne poi consigliere del municipio XII, il quartiere in cui visse Pasolini per un po’ dal 1956 al ‘63, gli anni fra l’exploit di “Ragazzi di Vita” e di “Accattone”. Il giovane cascherino (così si chiamavano i ragazzi che guadagnavano poche lire per consegnare frutta e alimenti a domicilio a Roma, ndr) imparò il valore della letteratura dallo scrittore tra una cassetta e l’altra da consegnare nel palazzo in cui abitava anche la famiglia Bertolucci in via Carini: gli assegnava delle letture e ne discutevano quando possibile. In quella zona fra Piazza San Giovanni di Dio a ridosso di Donna Olimpia, fra borghesia e popolo, abitavano nel ‘75 anche i fratelli Fioravanti e Alessandro Alibrandi: er Cocomero e Ali Baba, come venivano chiamati Giusva Fioravanti e Alibrandi, in quel periodo. Francesco Bianco anche lui ex Nar raccontò come già Carminati li conoscesse bene. Quei giorni prima e dopo il massacro restano oscuri nella biografia di Pierluigi Concutelli, glielo diciamo. Quel cascherino nei giorni dell’omicidio gli consegnò la frutta e ad aprire la porta andò proprio lui. Nel settembre del 1975 ad Albano Laziale si formalizzò la fusione fra Avanguardia Nazionale e Movimento politico Ordine Nuovo considerato fuori legge al tempo. Gli ricordiamo quella riunione facendogli presente che avvenne poco tempo prima rispetto all’omicidio di Pasolini.
Da sempre nelle note biografiche, nel libro scritto con un giornalista e nelle cronache che si riferiscono a quei giorni, quel piccolo lasso di tempo fra la riunione del settembre ‘75 e la partenza per la Spagna con Stefano Delle Chiaie (1976) resta un buco nero senza storia. Una cosa è certa: non era in carcere. Concutelli continua a non rispondere su questo punto.
È uno schema preciso quello usato quella notte.
Due macchine, due livelli e una verità messa in bocca a qualcuno, uno schema doppio come quello che ha caratterizzato tanti fatti orrendi di questa Repubblica.
Doppio? È una storia plausibile, ma le ripeto (scrive sempre sul foglio di carta, ndr) è una cosa non accettabile in Tribunale e priva di solemnitas juridica.
Che dice di Giuseppe Mastini, il ‘Johnny lo zingaro’ amico di Pelosi indicato, seppure senza comprovati riscontri, come possibile complice dell’omicidio Pasolini?
Ho conosciuto Mastini. Un teppista, un malato di mente (porta il dito sulla tempia, ndr)
Malato? Uno che non ha logiche e agisce così tanto per agire?
Sì.
Ha visto Salò? Cosa ne pensa?
L’ho visto. Una versione del potere secondo i suoi occhi però.
Cos’era per lei Pasolini?
Un poeta e basta, non un oracolo.
Ordine Nuovo poteva avere interesse a ucciderlo?
No!
Ma qualcuno le avrà riferito cosa successe quella notte?
Non so io, non sono in contatto più con nessuno. Pasolini (scrive ancora Concutelli, ndr) aveva le sue teorie su chi fossero i soggetti rivoluzionari, lui negava tale funzione agli studenti e assegnava un ruolo ai poliziotti. Io non condivido ciò ma lo comprendo. Aveva radici culturali e politiche contadine e un suo concetto di socialismo che non era condiviso dai politici di professione. Io stimavo Pasolini perché ragionava col proprio cervello, non era di nessun partito e aveva del marxismo una sua idea personale (si accerta che scriviamo queste parole sul taccuino e gliele rileggiamo affinché approvi, ndr).
In fondo ai due fogli infine, che accetta di consegnare, l’ex comandante appone una nota finale: “Sono ricordi di un vecchio che ha solo ricordi come patrimonio”.
***
C’è un documento inedito ma ufficiale che salta fuori tra le carte del procedimento di Catanzaro relativo alla strage di Piazza Fontana. Fu acquisito dall’allora giudice istruttore Gianfranco Migliaccio il 12 novembre del 1975, e racconta un’altra storia sulla quale però sembra nessuno abbia mai indagato. Abbiamo chiesto all’ex giudice se aveva fatto caso a questa notizia da lui acquisita ma Migliaccio afferma che in quel momento il procedimento sulla strage di Piazza Fontana aveva la priorità. È l’8 novembre 1975 e Giovanni Ventura, ex ordinovista entrato e uscito dai molti processi su Piazza Fontana, risponde al Nucleo Antiterrorismo della questura di Bari sul contenuto di un telegramma da lui ricevuto e riguardante la morte di Pasolini. Nella risposta al Nucleo Antiterrorismo vi è un riferimento a un dialogo che vi sarebbe stato fra lo scrittore e l’ex terrorista. Una lettera che testimonia di quel dialogo esiste, fu pubblicata in una raccolta curata da Nico Naldini nel 1994 ed è datata 24 settembre 1975:
Gentile Ventura, proprio due o tre giorni fa ho spedito al Corriere un articolo che finisce affermando l’ineluttabilità del Processo nel caso fossero condotti a termine i famosi processi in corso. Su ciò siamo d’accordo. Quanto al resto, non so. Vorrei che le sue lettere fossero meno lunghe e più chiare. Una cosa è essere ambigui, un’altra è essere equivoci. Insomma, almeno una volta mi dica sì se è sì no se è no. La mia impressione è che lei voglia cancellare dalla sua stessa coscienza un errore che oggi non commetterebbe più. Fatto sta che lei resta sospeso ancora – e ai miei occhi di ‘corrispondente’ scelto da lei - in quell’atroce penombra dove destra e sinistra si confondono. Si ricordi che la verità ha un suono speciale, e non ha bisogno di essere né intelligente né soprabbondante (come del resto non è neanche né stupida né scarsa).
Suo, Pier Paolo Pasolini
L’articolo citato dallo scrittore è quello che poi verrà incluso negli Scritti Corsari e pubblicato il 28 settembre 1975 sul Corriere della Sera dal titolo “Perché il Processo”. È una lettera anch’essa come la foto de L’Espresso poco o nulla nota ma produce lo stesso effetto sonoro del ferro usato quella notte di 39 anni fa.
Simona Zecchi, il Fatto Quotidiano 21/12/2014