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 2014  dicembre 21 Domenica calendario

LA PAURA DELL’UOMO NERO

È una questione di genere e, per una volta, non di genere femminile. «L’uomo afroamericano in quanto tale è il simbolo del pericolo in una società in cui, a dispetto del primo presidente nero della sua storia, c’è un grosso problema di integrazione e di emarginazione sociale»: Yasmine Ergas, docente di International Human Rights Law alla Columbia University, legge così gli ultimi drammatici fatti che hanno scosso l’America, dall’omicidio di Michael Brown, il giovane disarmato ucciso da un agente bianco a Ferguson, in Missouri, lo scorso agosto, alla morte di Eric Garner, l’uomo anche lui inerme, soffocato a New York dalla presa al collo di un poliziotto.
Il video che mostra la brutalità di quest’ultimo attacco che non si ferma davanti ai ripetuti «I can’t breathe» («Non riesco a respirare») mormorati dalla vittima, ha scatenato le proteste delle ultime settimane, culminate nelle grandi manifestazioni del 13 dicembre scorso: 25mila persone solo a New York, strade piene nelle principali città americane per denunciare la violenza delle forze dell’ordine e urlare che «black lives matter».
«La verità è che, come ha scritto Michelle Alexander in The New Jim Crow, questa parte di popolazione patisce ancora la segregazione nonostante sia caduta la segregazione giuridica», continua Ergas. «Ciò si riflette innanzitutto in un tasso di incarcerazione altissimo, il più alto di qualunque altro Paese. Un eccesso in cui, come dicono i dati, sono sovrarappresentati i maschi afroamericani». Stando a Naacp (National Association for the Advancement of Colored People, una Ong che ha una lunga tradizione di lotta per i diritti civili) su un totale di 2,3 milioni di detenuti, quasi un milione sono afroamericani, e il tasso di incarcerazione dei neri è sei volte quello dei bianchi.
Gli ultimi episodi hanno richiamato l’attenzione sull’uso della forza da parte della polizia. «In un contesto di tale sperequazione tra gli uomini neri e il resto della società, la rapidità con cui viene usata la violenza non può che alimentare il senso di un’ingiustizia diffusa. Il paradosso è che tutto questo avvenga sotto la presidenza Obama, che ha rappresentato se stesso come la persona che ricompone le fratture della società americana, anche e soprattutto razziali. Ma le sue politiche non sono state sufficienti, non sono riuscite a garantire l’accesso alle risorse che pure questa società offre. L’ineguaglianza aumenta. E l’accesso ineguale diventa differenza strutturale». Anche qui i dati, questa volta del Bureau of Labor Statistics, parlano chiaro: il tasso di disoccupazione del segmento afroamericano, in qualsiasi fascia d’età, è pari al doppio (e anche più) di quello dei bianchi, con punte che toccano il 36% tra i ragazzi di 18 e 19 anni.
Ergas, da oltre 25 anni a New York dove ha fatto l’avvocato prima di dedicarsi all’insegnamento, racconta come sia rimasta sempre colpita dal «tipico discorso che viene fatto ai ragazzi neri dai genitori: "succederà che la polizia ti fermerà, ti sembrerà un’ingiustizia, un abuso, non capiterà ai tuoi amici bianchi. Tu devi essere pronto a mantenere la calma e a non far precipitare le cose". Anche il sindaco di New York, Bill De Blasio, non ha nascosto di aver detto le stesse cose a suo figlio Dante».
Scuola, mercato del lavoro e sistema della giustizia sono le tre riforme necessarie se davvero si vogliono cambiare le cose, secondo Ergas: «L’istruzione deve diventare fattore di eguaglianza, bisogna investire nelle scuole pubbliche assicurandone la qualità. Oggi sono troppo spesso mediocri e sovraffollate e invece la promozione sociale di tutti i ceti comincia lì. La riforma carceraria, a mio avviso, è altrettanto importante, perché la non tolleranza di piccole infrazioni pesa soprattutto su alcuni tipi di persone che scontano più di altri il malessere sociale». Il problema sicurezza, che inevitabilmente si porrebbe, dovrebbe essere contemperato da politiche economiche adeguate facendo in modo che «i posti, a tutti i livelli, diano un reddito accettabile», cominciando dunque con l’innalzamento del salario minimo (da 10 dollari all’ora a 12/15: è un tema all’ordine del giorno in alcuni Stati americani).
Ergas vuol concludere questo incontro con un messaggio positivo, sottolineando anche il rovescio della medaglia, e cioè che quanto sta accadendo – la capacità di protestare, di rivendicare – si deve «a un contesto politico in cui il presidente è un nero, e ci sono studenti, persone comuni e intellettuali che condividono il sentimento di ingiustizia. E poi: abbiamo avuto alla Corte Suprema Sonia Sotomajor, una donna cresciuta nelle case popolari di New York. Abbiamo De Blasio, un sindaco la cui famiglia è un esempio di perfetta integrazione. Spero davvero che arrivino altri segnali di cambiamento».
Eliana Di Caro