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 2014  dicembre 20 Sabato calendario

IL VALORE POLITICO DELLE SANZIONI A PUTIN

Le sanzioni contro la Russia stanno rapidamente perdendo il loro senso economico. La bufera del rublo e del petrolio sta facendo più di qualunque embargo: in poche settimane ha spogliato l’emirato petrolifero di Vladimir Putin delle sue ambizioni, svelando la fragilità di un sistema obsoleto e rigido. La svalutazione ha già decimato le file dei consumatori russi che facevano i budget di boutique e resort e, di conseguenza, del «partito russo» degli esportatori europei. Lo stesso Putin stima l’impatto delle sanzioni in un 25% della crisi che gli è scoppiata tra le mani: il resto l’hanno fatto i mercati, mostrando ai russi il loro grado di dipendenza dal resto del mondo.
Qualche commentatore vicino all’opposizione russa, come Leonid Bershidsky, propone di revocare le sanzioni, «per umiliare Putin» e impedirgli di scaricare sulla propaganda dell’assedio nemico responsabilità che dopo 15 anni di governo sono solo sue. Ma le sanzioni non sono solo uno strumento per costringere un Paese a più miti consigli (quelle «mirate» di Usa e Ue poi colpiscono essenzialmente singoli funzionari, oligarchi e società della «Kremlin Corporation», mentre le tasche e i frigoriferi dei russi semmai hanno subito le «contro-sanzioni» sugli alimentari di Putin). Sono innanzitutto un’arma politica, un segnale, un monito, un dito alzato della comunità mondiale contro chi viola le sue regole. Sono un pezzo del sistema «premio-punizione» nel quale i russi, non a torto, intravedono un fastidioso messaggio pedagogico. Costringere gli oligarchi putiniani al Capodanno in Crimea, invece che nelle loro dimore svizzere o londinesi, è una puntura di spillo ai loro portafogli, ma una martellata alla loro autostima.
Indipendentemente dal loro effetto pratico, le sanzioni sono un avvertimento che tremila testate nucleari negli arsenali e 400 miliardi di petrodollari nei forzieri non danno comunque il diritto di annettere territori, invadere i vicini con «omini verdi» e sostenere improbabili ribelli con missili come quello che ha abbattuto il Boeing malese con 298 civili a bordo. Sono un richiamo alle regole che fa da antidoto alla «Realpolitik» della forza predicata a Mosca, e all’arroganza di molte élite ex comuniste convinte, più dei capitalisti, che tutto si possa comprare. Infine, le sanzioni sono un vaccino preventivo: la prossima volta che un Paese che, come la Russia, dichiara a livello di dottrina politica di respingere i valori europei, vorrà annettersi qualcosa, dovrà calcolare meglio il preventivo.
Anna Zafesova, La Stampa 20/12/2014