Diego Gabutti, ItaliaOggi 20/12/2014, 20 dicembre 2014
DAL 5 AL 10 OTTOBRE 1582, DIECI GIORNI, PUF, SCOMPARVERO NEL NULLA PER PASSARE DAL CALENDARIO GIULIANO A QUELLO GREGORIANO (IL NOSTRO)
Dal 5 al 14 ottobre 1582 sono dieci giorni nell’iperspazio, dieci giorni di coma, non succede niente, zero, un mortorio. Si va a letto la sera del 4 e, come in certi racconti di fantascienza, ci si risveglia la mattina del 15, più vecchi, imbambolati, come rapiti da un Ufo e poi rificcati nel letto, rimboccati, con un buco così nella memoria. Dieci giorni grattati via dal calendario, puramente e semplicemente cancellati, negati e rimossi, deposti come usurpatori, rubati alle feste di compleanno, alle domeniche del villaggio e alle febbri del sabato sera, a chi aveva un appuntamento col dentista il giorno 8 o 12, alle decime e ai decennali.
Cos’è successo? È successa la riforma gregoriana del calendario. Gregoriana da Gregorio XIII papa, ex docente di diritto, mente giuridica, gran talento d’organizzatore. C’è lui dietro quei dieci giorni perduti. Gregorio dice al tempo di correre come Giosuè comandò al sole di fermarsi lì dov’era. Alla freccia del tempo tocca così darsi una mossa e dieci foglietti del calendario volano via a velocità accelerata come quando nei vecchi film si voleva affrettare e segnalare il passaggio dal punto x a quello y della sceneggiatura.
Succede nell’ottobre del 1582, è lì che viene al pettine il nodo del calendario, un nodo ultra millenario, ma prima della storia c’è una preistoria e tutto comincia, in realtà, quando un ex accademico d’Oxford e Parigi, passato ai francescani dopo i quarant’anni, trasmette a Clemente IV papa un memoriale, noto come Opus maius, opera maggiore. Siamo nel 1267 e ormai da anni Ruggero Bacone è stato messo in frigorifero dai confratelli. Costoro diffidano del suo testone balzano nel quale sfarfallano le idee più sciagurate. Così gli hanno vietato di scrivere e d’intontire a chiacchiere il prossimo suo.
Poi un cardinale, Guy Le Gros Foulques, che ammira le sue opinioni bislacche lo richiama dalla Siberia francescana e gli suggerisce di mettere per iscritto le sue idee e di mandarle al papa. Detto e fatto. Bacone lecca la punta alla penna d’oca e via a scrivere l’opera maggiore. È in gran forma, e «in questo testo fatto giungere a Roma attraverso le strade disseminate di pericoli che solcano l’Europa medievale», scrive David E. Duncan nel suo Calendario, Piemme 1999, «espone le proprie teorie riguardo a materie che spaziano dallo studio delle lingue alla geometria del prisma alla geografia della Terra Santa». Profetizza, ormai è invasato, l’avvento di macchine straordinarie che fanno pensare (si dirà) all’automobile e all’aeroplano, forse persino alle cerniere lampo, al modem e al bidet.
Tra le tante bizzarrie, «in un lungo e sconnesso capitolo sulla matematica e in particolare in una sezione in cui difende l’oggettività della scienza e dei numeri», Bacone affronta la questione del calendario e avverte che da quando Giulio Cesare, nel tempo dei tempi, ha introdotto il calendario giuliano calcolando senza troppa precisione la durata dei giorni l’Occidente si è bevuto ridendo e scherzando qualcosa come sei giorni sei – uno ogni centotrent’anni circa, giorni e notti che sono finiti nel limbo o sulla Luna, insieme al senno d’Orlando.
Si rischia, perdendo un giorno intero ogni centotrent’anni, di festeggiare prima o poi la Pasqua a Natale, dice Bacone, di gioire per l’Ascensione a ferragosto, di celebrare la domenica delle palme il 25 aprile o, peggio, la Concezione Immacolata nel dì della Befana. Bacone, che ci ha pensato su, suggerisce di tirar via un foglietto di calendario ogni 125 anni, ma spiega anche che la durata effettiva del giorno, le ore e i minuti spaccati, continua a essere questionabile.
Muore il papa in carica ed è proprio Guy Le Gros Foulques a prenderne il posto col nome di Clemente IV e così, storia dentro la storia, è lui stesso a ricevere il trattato baconiano che aveva sollecitato per un altro. Da vecchio fan di Bacone il nuovo papa dovrebbe affrettarsi a riformare il calendario. No. invece. Muore subito anche il nuovo papa e così Bacone torna in Siberia, accusato di «novità sospette», le pive nel sacco e il tempo eguale a prima, sfasato, munto di sei giorni. La prende malissimo. Comincia a dubitare di tutto. Attacca re e papi, lancia ai potenti accuse roventissime, finisce in prigione e ne esce settantenne, in rovina, tenta altre provocazioni, muore tra gli sputi.
Anche Tolomeo, mille anni prima di lui, s’era accorto che qualche cifretta non tornava nel calcolo dei giorni, come pure l’astronomo indiano Aryabatha nel IV secolo e, nel secolo VIII, il matematico arabo Mohamed Ibn Musa al-Khwarizmi, per non parlare del Venerabile Beda nel VII secolo e d’un sacerdote svizzero, Nokter il Balbuziente, alla fine del millennio. Ormai è pacifico che del calendario non c’è da fidarsi. Ma è Bacone a passare dal sospetto alla certezza. È solo grazie a lui che questo chiodo resta piantato nelle coscienze e che, nell’ottobre del 1582, le campane suonano a stormo e c’è finalmente la riforma.
Ai protestanti, per antipapismo pregiudiziale, la riforma lì per lì non piace, ma alla fine abbozzano. Non ne vorranno sapere invece gli scismatici orientali. È stato, dicono, un antico decreto conciliare a stabilire che giorno è. Carta canta. Così è scritto e così sia. Ci vuole la rivoluzione bolscevica, bisogna prendere il Palazzo d’Inverno nel 1917 per riformare anche il calendario russo ortodosso, che slitta di dieci giorni e finalmente s’unisce, anche nei filofax, al proletariato internazionale: i dieci giorni che cambiarono il mondo.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 20/12/2014