Dario Fabbri, Pagina99 20/12/2014, 20 dicembre 2014
IL GRANDE AFFARE DELLA GUERRA PRIVATA
È l’eredità più rilevante e meno nota della guerra al terrorismo. Nell’erroneo tentativo di combattere un conflitto convenzionale contro un nemico mobile e oscuro, da oltre un decennio gli Stati Uniti hanno affidato ai privati parte dell’attività di intelligence e di difesa. Contractors, nell’espressione anglofona che indica i titolari di un appalto federale. Mercenari, secondo una definizione denigratoria e solo parzialmente accurata. Grandi aziende statunitensi e straniere che, al netto di ogni giudizio morale, svolgono per il governo di Washington le mansioni più disparate. Dal mantenimento della sicurezza all’interno delle ambasciate all’analisi degli eventi internazionali; dall’addestramento delle milizie locali allo spionaggio; dalla costruzione di nuove infrastrutture alla consegna di derrate alimentari.
Per lunghi periodi il numero di contractors presenti in Iraq e in Afghanistan è stato superiore al contingente militare statunitense stanziato nei due Paesi e i loro servigi hanno provocato l’esponenziale crescita dei costi di guerra. Uno status quo cristallizzato nel tempo e destinato a perpetuarsi: oggi un quinto delle spie americane lavora per le agenzie private, e in Iraq sono tuttora presenti circa 15 mila esterni. Con conseguenze assai rilevanti per il budget nazionale, la dottrina bellica e Fazione dell’esecutivo.
Benché nella storia statunitense il ricorso massiccio a collaboratori non-governativi risalga alla guerra del Vietnam, quando il Penta- gono necessitava di tecnici esperti in grado di riparare gli armamenti, è con il crollo delle Torri Gemelle che avviene l’imponente esternalizzazione delle operazioni militari e di spionaggio.
A determinare l’inedito fenomeno sono ragioni di natura logistica, strategica e politica. Colpita nella sua geografica inacessibilità e velleitariamente intenzionata a cancellare il terrorismo dalla faccia della terra, dopo l’11 settembre l’America scopre di non possedere il know-how e gli uomini necessari a realizzare l’impresa. La riduzione dei fondi a disposizione di Cia e Pentagono, imposta dalla fine della guerra fredda e dall’assenza di un nemico designato, aveva provocato il trasferimento dei dipendenti statali più capaci verso il settore privato, attirati dai lauti stipendi e dall’assenza di burocrazia. Così, destinatari di risorse finanziarie pressoché illimitate e incaricati dal Congresso di combattere un conflitto dai contorni incerti, nel XXI secolo i principali ministeri si affidano scientemente alle società specializzate, gremite di ex colleghi.
Del resto i contractors offrono molteplici vantaggi. Anzitutto riducono l’impatto della guerra sull’opinione pubblica. Inviati nel teatro bellico senza alcun annuncio ufficiale, impegnati in un conflitto d’ombre che non affiora in superficie.
Solitamente gli esterni si muovono fra l’indifferenza dei media e senza in- fluire sul dibattito interno in materia di politica estera. Il loro numero non è inserito dall’esecutivo nella spedizione militare, ne nei bollettini di guerra. Un escamotage che nella campagna irachena ha consentito al segretario alla Difesa, Donald Rumsfeld, di optare per un’armata leggera, consapevole che questa sarebbe stata integrata da migliaia di mercenari. E che ha alleggerito il computo finale delle vittime di oltre 1.500 caduti e 40 mila feriti. Inoltre la loro mancata assunzione permette all’erario di risparmiare sulle spese collaterali della guerra, ovvero sulle pensioni e sui sussidi di invalidità che riceverebbero se fossero impiegati federali.
Sbrigando spesso mansioni molto controverse, i contractors liberano poi parzialmente il governo da onerose responsabilità etiche e legali. Come nel carcere di Abu Ghraib, dove tra il 2003 e il 2007 furono in larga parte proprio gli addetti delle società di intelligence Caci e L-3, ufficialmente assunti come traduttori, a macchiarsi di aberranti, violenze nei confronti dei prigionieri. Infine, specie nel campo dello spionaggio, gli analisti privati sono considerati in media più competenti dei loro omologhi ministeriali. Non solo perché nel 2001 la Cia non seppe intuire il piano ordito da bin Laden e due anni dopo fu (ingiustamente) accusata d’aver segnalato la presenza in Iraq di armamenti non convenzionali. Nelle aziende del settore hanno lavorato alcuni dei migliori funzionari dell’apparato governativo. Su tutti: l’attuale direttore dell’intelligence nazionale, James Clapper, già dirigente esecutivo del colosso Booz Allen Hamilton, che fino al 2013 stipendiava il fuggitivo Edward Snowden; l’ex direttore dell’agenzia di intelligence della Difesa, Lowell Jacoby, in passato vice-presidente della società Caci; l’ex vice segretario di Stato Richard Armitage, già membro del consiglio d’amministrazione della Caci.
I dati relativi all’intervento americano in Iraq e in Afghanistan e la lettura dei bilanci federali mostrano la rilevanza del fenomeno. Nel 2008, nella fase di massima espansione del contingente statunitense, erano presenti in Iraq circa 130 mila contractors a fronte di 120 mila truppe regolari. L’anno successivo, quando Obama ordinò il surge, in Afghanistan operavano 75 mila esterni e 68 mila soldati regolari; mentre oggi, stando al più recente rapporto del Pentagono sul tema, il loro numero è sceso a 45 mila, più di quattro volte i rimanenti militari americani (circa 10 mila).
Solo in Iraq tra il 2003 e il 2011 gli Stati Uniti hanno versato 138 miliardi di dollari alle aziende incaricate di sostenere il personale nazionale e «realizzare la ricostruzione del Paese». Alcuni contratti meritano una menzione particolare. Tra il 2000 e il 2008 l’amministrazione repubblicana ha pagato: quasi 40 miliardi di dollari a Kellogg Brown and Root, in passato una divisione di Halliburton di cui fu amministratore delegato l’ex vicepresidente Dick Cheney, per la costruzione di decine di basi militari e il supporto logistico offerto alle forze armate; oltre due miliardi a International Oil Trading Corporation per il rifornimento di carburante alle truppe; 1,44 miliardi alla DynCorp per l’organizzazione e la preparazione della polizia irachena; 1,1 miliardi a Flour per la ristrutturazione e la gestione del sistema fognario; 931 milioni al Washington Group International per la manutenzione dei giacimenti petroliferi; un miliardo di dollari a Blackwater, dal 2010 conosciuta come Academi, per la difesa dei membri del dipartimento di Stato; 878 milioni a Environmental Chemical, un’azienda che si è assicurata i diplomati più promettenti della scuola chimica dell’esercito Usa, per la rimozione di munizioni usate e armamenti guasti; 800 milioni a International American Products per la fornitura elettrica alle istallazioni Usa.
Negli anni della guerra al terrorismo le spese legate ai contractors sono lievitate esponenzialmente. Tra il 2000 e il 2008 il Pentagono e il dipartimento di Stato hanno rispettivamente triplicato e quadruplicato la cosiddetta «spesa esterna», passata da 133 a 391 miliardi di dollari nel comparto della difesa e da 1,3 a 5,6 miliardi in campo diplomatico. Nello stesso periodo, secondo un’analisi condotta da Bloomberg Industries sui bilanci secretati dell’intelligence, la Cia ha ad- dirittura esternalizzato il 70% del proprio budget. Con conseguente, vertiginoso aumento delle persone che negli Stati Uniti hanno accesso a documenti riservati: oggi almeno 3,5 milioni, di cui 580 mila funzionari di società private. Peraltro, in totale violazione dei dettami dell’austerity, un esterno costa all’anno mediamente quasi il doppio di un dipendente federale, compresi contributi e pensioni (207 mila dollari contro 125 mila dollari).
Eppure, a causa della straordinaria libertà di movimento che conferisce all’esecutivo, il considerevole ricorso ai contractors appare un trend irreversibile. In tempi di polarizzazione politica, con il Congresso che nei prossimi anni potrebbe rinnovare i drastici tagli alla difesa, la fuga verso il settore privato dei talenti migliori è destinata a proseguire. Per di più, considerata la ritrosia della Casa Bianca a utilizzare l’esercito nei conflitti internazionali e il rifiuto dell’opinione pubblica per ogni avventurismo, l’impiego di esterni serve a realizzare le offensive coperte tipiche della dottrina Obama.
Non a caso lo scorso luglio, poche settimane dopo l’inizio dei raid aerei contro le postazioni dello Stato islamico, il Pentagono ha chiesto alle società del ramo di elaborare una stima dei possibili costi riguardanti la costruzione in Iraq di dieci stazioni di comunicazione satellitare e l’addestramento delle unità anti-terrorismo delle forze armate locali. Nei confronti del Califfato il presidente appare ancora indeciso sul da farsi, ma se fosse necessario un intervento di terra e la Turchia continuasse a rifiutarsi di partecipare, l’amministrazione democratica si rivolgerebbe ancora una volta agli unici soggetti adatti a tutte le stagioni. Quei contractors cui è stata appaltata la sezione sotterranea della politica estera americana.