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 2014  dicembre 20 Sabato calendario

«IO STO CON IL PREMIER MA SBAGLIA TUTTO SU SENATO, REGIONI E...»

Con gli anni Mariotto Segni, che oggi ne ha 75, ha preso sempre più la finezza di tratti del padre Antonio, presidente della Repubblica mezzo secolo fa. Ha i capelli bianchi, il viso malinconico e l’ombrosità sarda verso gli estranei. Seduto su una poltrona girevole, mi scruta aldilà dello scrittoio che ci separa, nello studio legale romano dove lavora. "Sono passati vent’anni. Ora se ne può parlare", dice Mariotto (si chiama davvero così, mentre il soprannome è Mario. Il mondo alla rovescia). «Vent’anni da che?», esclamo sorpreso . «Da quell’articolo offensivo e sbagliato che scrisse su di me», dice freddo. Ah, benedetti risentimenti isolani! Ricordo bene l’articolo, piuttosto sarcastico. Criticavo Segni perché, nel momento del maggiore successo, dopo il trionfo (1991) del suo referendum sull’introduzione del maggioritario, quando aveva l’Italia in mano, si fece da parte. Costringendo il Cav, che l’avrebbe voluto capo del centrodestra, a supplire al suo rifiuto entrando in politica personalmente (1994). Almeno, così si disse. Nell’articolo, gli detti grosso modo del pusillanime. Mariotto mi tolse il saluto. Un quindicennio dopo, gli chiesi un’intervista per un altro referendum che stava mettendo in piedi. Pur di sostenere l’iniziativa, accettò a malincuore. Stette sulle sue e non accennò all’articolo “sbagliato”. Oggi, invece, lo ha fatto. Perché? Va detto che, nel frattempo, Mariotto è uscito da tutto. Non solo dalla politica, dopo sei legislature nazionali (1976-1996) e una europea (1999-2004), ma anche dall’Università di Sassari dove insegnava Diritto civile, essendo ormai in pensione. Forse si sente pacificato. «Che c’entra il vecchio articolo?», chiedo. «I fatti mi hanno dato ragione -replica lui-. Previdi che Berlusconi avrebbe compiuto sfracelli, sfasciando il centrodestra. Gli dissi in anticipo che il conflitto di interessi avrebbe bloccato la rivoluzione liberale. Non si può costruire lo Stato di diritto se si è costretti a fare le leggi ad personam». «Anche per lei, il Cav è colpevole del declino italiano e di ogni altra nefandezza?», chiedo beffardo. «Per niente - risponde -. Parlare del ventennio berlusconiano come sentina di tutti i mali è un falso della sinistra e del giornalismo. I problemi sono molto più antichi. Eravamo forse al top nel 1992? Il debito era già fuori controllo, c’era Mani pulite, avevamo una spaventosa instabilità politica. Per risalire alle origini, bisogna andare agli anni ’70 e ’80, quelli in cui esplosero statalismo e partitocrazia. Altro che Berlusconi!». «Perché non ha preso lei il vessillo del centrodestra?», chiedo. «Non ci sono riuscito. Nonostante i consensi vastissimi dei primi anni ’90, non sono stato capace di creare un partito vincente». «Qual è il suo punto debole come politico?». «Sono presbite. Vedo lontano, ma non vicino. Un politico è invece un tattico, non uno stratega. La mia idea fissa era la modifica delle istituzioni, il maggioritario, il presidenzialismo. Non sono cose di breve periodo». «La verità - lo interrompo - è che lei è un figlio di papà, viziato per via dei suoi lombi illustri. Per impegnarsi, vuole essere pregato». «Da me non verranno mai a dirmi: “Fatti avanti tu” - si schermisce Mariotto-. Sono considerato un rompiscatole. Nella Dc combattevo il compromesso storico e l’alleanza col Pci. Da liberale ho contestato il Cav. Sono uomo di rottura, non di mediazione. Però, in situazioni estreme, non mi tirerei indietro». «Situazioni estreme! -esclamo-. Ha il pallino dell’eroe. Questo è orgoglio al cubo. Come Cincinnato, aspetta che da Roma arrivi, con pifferi e tamburi, la delegazione senatoria». «Forse, ha ragione -ammette-. Non ho sete di potere, ma l’orgoglio è grande. Cincinnati nella Storia ce ne sono stati tanti. Una sola volta è capitato di richiamarlo. Non credo toccherà a me». Mi guarda dritto, fiero della sua solitudine e intrattabilità. La ragione di fondo della nostra crisi? «La perdita di autostima degli italiani». Le riforme più urgenti? «Instaurare il presidenzialismo. Riformare la Pa che è la causa più profonda del declino economico-civile dell’Italia. Ridare alla Giustizia credibilità e celerità». La riforma del Senato è quella giusta? «Quasi inutile. Non vale le perdite di tempo che causa. Parte da una tesi sbagliata: che le lentezze derivino dal bicameralismo». Si parla poco delle Regioni, fonte enorme di sprechi. «È così. Nacquero negli anni ’70, nel massimo fulgore della partitocrazia. La quale genera statalismo e burocrazia che sono, come diceva don Luigi Sturzo, il brodo di coltura della corruzione. Su questi criteri sono state improntate le Regioni». Abolirle? «Il decentramento è ormai un valore diffuso anche nell’Ue. Cancellarle, no; riformarle drasticamente, sì». Com’è che, da noi, la corruzione è onnipresente? «C’è uno spaventoso abbassamento della morale collettiva. L’acceleratore fu il craxismo che la giustificò culturalmente: la politica costa e autorizza a fare la cresta. Fino all’iperbole di Giuliano Ferrara: la Storia è fatta dai malandrini, purché capaci». Chi vota? «(Riflette così tanto che potrei fare una passeggiata) Se nascerà una destra europea potabile, la voterò. Nell’odierno marasma, voterei Matteo Renzi, pur dandone un giudizio tutt’altro che positivo». Avendo premesso che lo vota, ora può anche mazzolarlo. «Critico il messaggio che manda agli italiani: in pochi mesi risano tutto e andremo a trecento l’ora. L’Italia deve, invece, convincersi che ha davanti decenni di difficoltà. Il messaggio giusto è lacrime e sangue. Con l’eccesso di promesse, Renzi creerà forti delusioni. I sondaggi già lo danno in calo». Col Patto del Nazareno si è liberato dell’opposizione di centrodestra. «Lì per lì, ne fui entusiasta perché gli dava mani libere. Il patto non doveva però servire a mandare Renzi a Palazzo Chigi ma per fare subito la legge elettorale e andare a elezioni. Avrebbe avuto cinque anni davanti a sé. Oggi, invece, ha dieci fronti aperti e gira a vuoto. Un accordo deve realizzarsi subito su uno scopo immediato. Se no, si deteriora. Il Nazareno fa ormai acqua da ogni parte». La squadra di Renzi? «Fatta su misura per un premier che decide tutto da sé. Ha voluto ministri proni, anziché collaboratori validi». A partire dalla defenestrazione del Berlusca, il Quirinale ha manovrato tutto. Onora al merito o dioneguardi? «Onore al merito. Napolitano ha tenuto la barra ferma. Un’unica incertezza: ha fatto bene a incaricare Monti dopo il Cav o era meglio andare a elezioni, evitando l’interregno del governo tecnico? Ho molti dubbi». E Monti ha incamerato un laticlavio a vita gratis et amore dei! «Strano e incomprensibile. Ma piccola cosa di fronte allo sconquasso generale». Chi vedrebbe come prossimo inquilino del Colle? «Voterei l’ex presidente dell’Ue, Romano Prodi. Anche perché l’Ue sarà il tema del decennio a venire». L’Ue merkeliana è quella che si aspettava? «No. Sono di una generazione che ha sempre sognato l’Europa politica. Quella di oggi, è una cosa sbrindellata anziché un Palazzo scintillante e sarà a lungo un’entità miope, dominata dalla Germania. Ma attenzione: se l’Italia ne uscisse, sarebbe soggetta a spinte disgregatrici che possono rompere tutto. I più svariati indipendentismi rialzerebbero la testa». Parla da sardo? «È un vento che sento forte anche in Sardegna». Il Cav è al tramonto? «Su di lui ho sbagliato tante volte che esito a fare previsioni. Secondo me , avrebbe il compito importantissimo di preparare la successione. Senza nominare un erede ma fissando le regole con cui farlo. Però pensa a tutt’altro». Avete rapporti? «Rari e non cattivi». Qual è l’eredità del Cav? «Rischia che a succedergli sia una destra alla Le Pen e non è quello che voleva. Temo che invece di un’eredità lasci un’alluvione». Quale politico ci vorrebbe per estrarci dalla palude? «Se ce ne fosse uno in circolazione, sarebbe emerso. Se oggi non c’è alternativa a Renzi è perché questo passa il convento». In caso di tracollo, si rifugia in Barbagia o in Svizzera? «A Stintino, nei luoghi della mia infanzia. Alla peggio, ho una barca a vela e il mare è grande».