Franco Bechis, Libero 20/12/2014, 20 dicembre 2014
ROMA INVASA DAI MAGAZZINI ISLAMICI
A Roma ormai nessuno ci fa più caso, è diventata una consuetudine. Passi per le vie del centro e ti imbatti in mille bancarelle, e in venditori improvvisati dell’ultimo oggetto che funziona. Ora vanno molto i bastoni per reggere il telefonino e scattare un selfie, e il mercato ha preso ancora più piede da quando a palazzo Chigi è arrivato Matteo Renzi, cultore della materia. Ma se il cielo improvvisamente si annuvola e minaccia un temporale, i bastoni per i selfie improvvisamente vengono rinfoderati. Non ne vedi più uno in giro. Gli stessi venditori, in genere immigrati più o meno clandestini dal Bangladesh tirano fuori un campionario di ombrelli impressionante: 5 euro quelli piccolini, 10 quelli più grandi. Non reggono molto più di una pioggia, perchè poi si rompono. Ma chiunque compra alla bisogna: non c’è altro modo per non farsi una doccia. Ma come fanno in meno di cinque minuti a cambiare la merce? Semplice: hanno magazzini a portata di mano. «Generalmente viaggiano con poche cose, appena le hanno vendute vanno a ricaricare subito la merce. Normalmente è dentro casa. La cambiano in pochi minuti perché la casa ce l’hanno centralissima. In via del Corso, dietro fontana di Trevi, Pantheon o piazza Navona. Costano 10 mila euro al mese. Ma loro l’affittano in 70-80, quindi pagano qualche decina di euro a testa. E usano gli appartamenti per dormire o come deposito della merce. Nella zona del Colosseo sono tutti appartamenti loro». Chi parla è un vigile urbano di Roma, che sta facendo il suo servizio accompagnato da una collega. L’ho incontrato per caso, mentre stavo girando alcuni filmati sulla Roma natalizia. Sono incappato in uno dei rarissimi sgomberi di venditori ambulanti improvvisati, fra le proteste dei turisti. Ho filmato. I vigili si sono risentiti, e mi hanno chiesto i documenti. Si sono rasserenati. Anzi, sembrava non cercassero altro che un giornalista con cui sfogarsi. «A me piacerebbe parlare», mi ha detto l’uomo, «se riporta le cose come stanno. Ma sa quale è il problema? Se io faccio una intervista, un minuto dopo mi cacciano». E allora non facciamoli licenziare. Lo chiamiamo vigile Roberto, e lei vigilessa Laura, nomi di fantasia. Però non facciamoci scappare i rivenditori di ombrelli, quelli del Bangladesh. Roma li ha adottati: sono diventati in ogni quartiere fruttivendoli, aprendo centinaia di esercizi commerciali. Li chiamano affettuosamente “bangladini”, uno sciame entrato nella capitale. «Noi non possiamo fare niente», spiega Roberto, «ma sono del Bangladesh, non dovrebbero essere pericolosi». Così dicono i vigili. Ma c’è un particolare non secondario: il Bangladesh è un paese dove quasi 9 abitanti su 10 sono mussulmani, sunniti. E islamici sunniti sono i tagliagole dell’Isis. Oggi i “bangladini” in quella incredibile rete di depositi nel centro di Roma tengono ombrelli e giochini alla moda. Ma se al loro posto mettessero armi? Qualcuno controllerebbe? «Case e depositi ne ho visti», dice Roberto, «ma ci dicono di lasciare perdere, che sono inoffensivi». Eppure la loro attività sta ormai diventando una rete imprenditoriale con quei negozietti di frutta e verdura... «Colpa della normativa», sostiene il vigile Roberto, «che toglie tasse e contributi per i primi tre anni alle imprese che nascono. Comprano frutta e verdura ai mercati generali a 0,99 euro alla cassa, perchè è tutta roba di seconda o terza categoria, la rivendono, ci fanno i soldi, dormono nei loro negozietti che quindi sono anche casa, e dopo tre anni chiudono la baracca e portano via i soldi». Più che un tema da polizia urbana, sembra materia da ministero dell’Interno e servizi segreti, sempre che se ne occupino. I due vigili hanno mille altre cose su cui sfogarsi. «Da domani», spiega Laura, «non facciamo più straordinari. Siamo sotto organico, dovremmo essere 8.400 unità, e invece siamo 5.900. E per noi è sempre più difficile lavorare, perchè abbiamo l’opinione pubblica contro, siamo noi i cattivi. Dobbiamo essere i cattivi, e siamo lì stretti fra l’amministrazione e i cittadini». Certo i vigili seguono la sorte di ogni sindaco: se non è popolare lui, sono guai per loro. Ma i due poliziotti urbani trovati per strada sembrano avere le idee molto chiare sul principale, Marino: «È riuscito a ricompattare in pochi mesi 24 mila teste», spiegano all’unisono, «che pensavano ognuno per conto proprio: ora sono tutte e 24 mila contro di lui». La vigilessa rincara la dose: «Tutti gli altri stanno in carcere o indagati, e invece Marino da questa vicenda ci ha ricavato la scorta, ed è diventato all’improvviso il salvatore di Roma». In bicicletta, però... «Ma se ha la bicicletta con la pedalata assistita...», chiarisce ironico Roberto, «È solo scena, non fa nessuna fatica lì. Ma oggi quel che conta è soltanto l’immagine, e il sindaco è il prodotto di questa epoca». Lei lancia uno deglòi altri drammi classici di Roma: «Nel centro siamo due o tre mesi che siamo senza ditta per coprire le buche. Qualche giorno fa si sono piantati in poche ore 15 autoveicoli sulla stessa buca. Non hanno rinnovato con la ditta, e non c’è nessuno che lo fa. Anche l’anno scorso: cinque mesi senza. Quando c’è l’emergenza però chiamano improvvisamente una ditta che vogliono loro senza gara e procedura per risolvere sul momento. Ma la manutenzione ordinaria non si fa». Roberto sostiene che c’è uno schema verificato sugli appalti pubblici: chi vince le gare non le porta mai a casa, va nei guai economici e subappalta, fino a quando la commessa non arriva a dove la si vuole portare». Spiega che il grande scandalo a questo proposito è sulla demolizione dei manufatti abusivi: alla fine è sempre la stessa ditta che se ne occupa, passando tranquillamente di amministrazione in amministrazione. E anche i vigili hanno le loro responsabilità in queste pastette. Probabilmente la corruzione non li ha lasciati immuni.