Valerio Cappelli, Corriere della Sera 20/12/2014, 20 dicembre 2014
SIANI , UN FILM DECISO DAL PUBBLICO: COSÌ HO CAMBIATO LA MIA FAVOLA
DAL NOSTRO INVIATO NAPOLI Alessandro Siani saluta il tassista e gli altri passanti che lo riconoscono mentre entriamo nel suo rifugio teatrale: per i napoletani, è uno di loro. Uno dei pochi a non essersene andato dalla sua città. A Napoli Il principe abusivo, il suo primo film con il «doppio passo» (era non solo interprete, ma anche regista), totalizzò 5 dei 15 milioni complessivi. Un botto, il secondo incasso italiano del 2013 dopo Checco Zalone. Ci riprova con Si accettano miracoli , in uscita il primo gennaio, dove ha fatto un’operazione «all’americana», sconosciuta in Italia.
La vuole spiegare?
«Abbiamo fatto cinque anteprime e ho modificato il film nel montaggio, che è durato due mesi, sulla base delle reazioni degli spettatori, bambini e adulti. Ho associato due generi, il fantasy e la commedia. Chi fa un cinema dove la gente deve non pensare troppo, ha bisogno di fantasia e di un po’ di verità, per non creare distanza da quello che racconti. È una specie di favola, come il mio film precedente, ma con più romanticismo. Io interpreto un tagliatore di teste che viene a sua volta licenziato».
Come George Clooney in «Tra le nuvole»?
«Noi più che tra le nuvole siamo sulla Terra. La mia reazione fuori controllo mi costerà i servizi sociali nella casa famiglia di mio fratello prete, Fabio De Luigi, nato nel Sud ma cresciuto al Nord, e stavolta recita con accento meno nordico. Per salvare quei bambini senza nessuno, ci vuole un miracolo».
Funziona ancora la comicità che unisce Nord e Sud?
«I film non si fanno per regione ma per una ragione. Non ho ascoltato le sirene del mercato che ti spingono a ripeterti, al punto che il cinema è tutto un sequel. Non ci sono le storie nuove e originali, e nemmeno il coraggio: non esiste più la seconda possibilità, se sbagli film stai fermo tre, quattro anni. Sono spontaneo e cerco di piacere alle famiglie, non ho messo una sola parolaccia».
Roberto Benigni in tv, pensando a Mafia Capitale, ha detto che nel 2015 vedremo Natale a Rebibbia,visto che li stanno arrestando tutti.
«Finalmente ho capito il senso delle larghe intese: rubano a destra e a sinistra. Commissariare Roma? Non lo auspico, ma potrebbe essere un monito. La corruzione è un problema italiano, la trattativa Stato-Mafia sembra una cosa risaputa, più che Cosa Nostra. Ci sono fatti che non mi tornano, Fabrizio Corona avrà commesso errori, ma sembra l’unico che paghi in carcere. E paga per tutti. Se in auto passo col rosso, tolgono i punti alla sua patente. È cambiata la politica, quando mia nonna, che non ci vede bene, ha visto su un settimanale la foto di Matteo Salvini desnudo, ha esclamato: “Però Belén si poteva fare la ceretta”».
Aveva progetti teatrali per ritrovarsi con Claudio Bisio e Christian De Sica.
«Un problema di tempi. Con Claudio, dovrei fare Gaber e lui pezzi in napoletano; con Christian, riportare Quasi amici , il film francese, sulla scena. Per il mio Principe abusivo forse si farà il contrario, c’è un’opzione per un remake in Francia. Intanto tornerò a teatro con un nuovo spettacolo intitolato Tramite amicizia ».
Non sarà l’erede di Massimo Troisi, ma lei è il nuovo re di Napoli.
«La standing ovation che ho ricevuto al Festival di Sanremo, per un comico, è una cosa straordinaria. Ai tappeti rossi dei festival del cinema preferisco i fazzoletti bianchi di chi ride o piange ai miei film».
La Campania è il solito serbatoio di talenti.
«Comincio da Toni Servillo: una volta c’era la scuola eduardiana, io mi auguro che nasca la scuola servilliana. Paolo Sorrentino quando all’Oscar ringrazia Maradona ci dice che si può essere genio anche senza lampadina. Vincenzo Salemme è un classico pop. E poi io Leopardi al massimo potevo portarlo all’esame di maturità, mentre Mario Martone l’ha portato magnificamente al cinema».
Lello Arena ha detto di non capire la sua tendenza a chiudersi dentro luoghi comuni su Napoli.
«Mi sembra di raccontare luoghi, più che luoghi comuni. Non è facile parlare di questa città, io sono rimasto qui. Esistono tante Napoli, chi la racconta in modo apocalittico, chi in modo criminale, o ironico. Bisogna viverla per capire se ci sono luoghi comuni. Napoli è mille colori, come dice Pino Daniele, è lo specchio dell’Italia».