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 2014  dicembre 21 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO INTERVIEW


WWW.REPUBBLICA.IT
WASHINGTON - "No, non credo che fosse un atto di guerra. Penso che sia stato invece un atto di cyber-vandalismo. Costoso, molto, molto costoso. Che prendiamo seriamente e al quale daremo una risposta commisurata". Sono le parole di Barack Obama allo show della Cnn State of the Union with Candy Crowley. Dalle Hawaii dove è in vacanza il presidente americano continua a rispondere alle domande sull’attacco informatico ai danni della Sony Pictures perpetuato, secondo la versione dell’Fbi, dalla Corea del Nord. Ora il governo degli Stati Uniti sta considerando di rimettere il Paese nella lista dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo.
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Una presa di posizione cui il regime di Pyongyang replica minacciando nuovamente rappresaglie contro la Casa Bianca e altri obiettivi Usa: "Risponderemo in modo proporzionale nel momento, nel luogo e nel modo che sceglieremo", fa sapere la Commissione nazionale di difesa nordcoreana.
FOCUS: SONYLEAKS
Ma gli hacker non si fermano. In un nuovo messaggio inviato a diversi giornalisti i ’Guardians of Peace’, prendono in giro apertamente l’Fbi. "Il risultato dell’inchiesta dell’Fbi è così eccellente che forse avete visto con i vostri stessi occhi ciò che facciamo. Ci congratuliamo per il vostro successo. Troverete il regalo per l’Fbi a questo indirizzo", un link che collega a un video del 2006 chiamato "You are an idiot".
Sonyleaks, Obama: "Un costoso atto di cyber vandalismo". Usa chiedono aiuto alla Cina
Un fotogramma del video mandato all’Fbi dagli hacker
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Kim Jong-un, protagonista suo malgrado della trama del film ritirato dalle sale, The interview, si chiama fuori, continua a ripetere di non aver nulla a che fare con l’attacco e propone un’inchiesta congiunta. L’Fbi non replica, le prove sono assolute, gli hacker potrebbero aver utilizzato server cinesi. Negli ultimi giorni l’amministrazione Obama ha chiesto aiuto alla Cina per contrastare le capacità informatiche del regime di Pyongyang. Ad affermarlo, parlando con il New York Times, sono stati alti funzionari di Washington per i quali si tratta di un primo passo in direzione della "risposta commisurata" annunciata da Obama. "Abbiamo discusso l’eventualità con la Cina di scambiarci informazioni, e chiesto la loro collaborazione. Ciò che stiamo cercando è un’azione di blocco, qualcosa che possa contrastare i loro attacchi", ha dichiarato una fonte citata dal giornale.
Da Pechino non sarebbe arrivata al momento alcuna risposta, non è neanche chiaro se la Cina possa o meno essere disposta a cooperare, considerate le tensioni in materia di sicurezza informatica tra i due Paesi dovute all’incriminazione di cinque hacker che lavoravano per i militari di Pechino, accusati a maggio dal Dipartimento alla Giustizia di aver sottratto informazioni riservate ad alcune società americane. L’approccio segreto alla Cina si inquadra nella messa a punto agli alti livelli dell’amministrazione americana di una serie di opzioni da presentare a Obama che comprendono anche l’ipotesi di nuove sanzioni economiche verso la Corea del Nord analoghe a quelle che recentemente sono state adottate contro gli oligarchi russi e le figure più vicine al presidente Vladimir Putin.
Corea: bagno di folla alla fabbrica per Kim Jong-un
Navigazione per la galleria fotografica
Gli Stati Uniti considerano la Corea del Nord responsabile del cyberattacco alla Sony Pictures al centro della vicenda che ha coinvolto il film The Interview, commedia con James Franco e Seth Rogen che racconta un piano della Cia per assassinare il leader Kim Jong-Un. L’uscita della pellicola è stata bloccata definitivamente dopo le minacce in stile 11 settembre ricevute da parte dei ’Guardiani della Pace’. L’Fbi non ha dubbi sul colpevole, Obama ha puntato il dito durante il discorso di fine anno, ma la Corea del Nord non ci sta. "Se il governo nordcoreano vuole veramente aiutare, ammetta di essere colpevole e compensi la Sony per i danni provocati dal suo attacco", ha dichiarato un portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale americano, Mark Stroh.
E’ sceso in campo anche il partito Repubblicano che sta invitando i fan a comprare un biglietto per The Interview per convincere le sale a proiettare la pellicola. Nella lettera ai dirigenti delle catene di sale cinematografiche, il deputato Reince Priebus ha sottolineato che il problema sul film-satira riguarda la libertà e la libera impresa e ha chiesto ai sostenitori repubblicani di acquistare i biglietti "per mostrare alla Corea del Nord che non possiamo essere vittime di bullismo né dobbiamo rinunciare alla nostra libertà".

PEZZI DI VENERDI 19 DICEMBRE
CORRIERE DELLA SERA
MASSIMO GAGGI
DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Forse i repubblicani esagerano quando dicono che questa è la prima «cyberwar» combattuta e persa dagli Stati Uniti. Ma la decisione presa l’altra sera dalla Sony verrà ricordata come una svolta storica: per la prima volta il lancio di un film viene cancellato da una grande casa cinematografica a causa delle minacce terroristiche di misteriosi hacker.
Misteriosi gli esecutori ma forse non i mandanti, visto che il governo Usa si è ormai convinto che dietro l’attacco c’è il regime di Pyongyang. Nel film, la cui uscita era programmata nelle sale cinematografiche proprio nel giorno di Natale, due giornalisti interpretati da James Franco e Seth Rogen in missione professionale nella Corea del Nord, vengono avvicinati dalla Cia che li convince ad assassinare Kim Jong-un, il dittatore che governa il Paese asiatico. Chiamato, nella finzione, col suo vero nome, senza nemmeno fare ricorso a uno pseudonimo. La reazione verbale del governo nordcoreano è stata furibonda fin da quando, nell’estate scorsa, si è saputo della trama del film.
Ma provare che l’attacco informatico che ha scardinato gli archivi cinematografici e anche tutti gli altri sistemi informatici della Sony sia partito da Pyongyang non è facile: gli hacker hanno operato da varie località del mondo, da un «convention center» di Singapore a un’università thailandese, passando per dei server in Bolivia. La Casa Bianca deve, però, aver messo insieme vari elementi di prova sulle responsabilità coreane. Ma non formula accuse ufficiali, per non ammettere di essere finita sotto scacco ad opera di un Paese che non è certo una grande potenza, anche se ha armi atomiche.
La Casa Bianca si è limitata ad affermare di non aver esercitato pressioni sulla Sony che ha ritirato il film dopo che le maggior catene di distribuzione cinematografiche avevano deciso di non proiettarlo nelle loro sale, nel timore di attacchi terroristici. Un precedente pericoloso: in futuro qualunque hacker capace e determinato potrà tentare di bloccare con minacce e virus informatici manifestazioni culturali sgradite: film, concerti, esposizioni, teatro. Una minaccia gravissima alla libertà d’espressione, denuncia la Urban League, associazione per la tutela dei diritti civili, che chiede a Obama di reagire con durezza.
La Casa Bianca fa capire che ci sono rappresaglie allo studio («È una seria questione di sicurezza nazionale»), ma nell’amministrazione non mancano i fautori di un approccio prudente: un’accusa esplicita darebbe a Kim Jong-un una visibilità ancora maggiore come campione assoluto degli Stati-canaglia e metterebbe in difficoltà il Giappone (proprietario della Sony) che sta segretamente negoziando la liberazione di alcuni suoi cittadini detenuti da anni in Corea del Nord.
Massimo Gaggi

CORRIERE DELLA SERA
GIOVANNA GRASSI
LOS ANGELES Protesta la Screen Actors Guild, il sindacato attori più diffuso. Protestano molte star. Anche contro i maggiori circuiti di distribuzione che hanno rifiutato il film «The Interview».
Diretto da Seth Rogen ed Evan Goldberg, interpretato dallo stesso Rogen e da James Franco, il film doveva mettere alla berlina non tanto la Nord Corea quanto la Cina. Per varie pressioni la sceneggiatura di Rogen, in cui nella versione finale un conduttore tv e un produttore invitano al loro show il leader nordcoreano e vengono reclutati dalla Cia per assassinarlo, era stata modificata. Non è bastato. Anzi. Le minacce degli hacker filo-regime hanno portato la Sony a cancellare l’uscita. L’attore Ben Stiller ne parla con il Corriere . E attacca: «È un precedente censorio gravissimo ai danni della satira di costume e di ogni libertà di espressione».
Attore, regista, classe 1965, figlio d’arte, democratico in prima fila prima per Kerry e poi per Obama, Stiller esce a giorni nei cinema americani con l’annunciato «Night at the Museum: Secret of the Tomb» (Notte al museo: il segreto della tomba) con Robin Williams nella sua ultima apparizione. È furioso per il blocco di «The Interview»: «Si tratta di un attentato alla libertà di espressione e di parola, un gesto antidemocratico che maschera una paura degli hacker che non va respinta, ma affrontata alla radice. Concordo con le parole del presidente Obama: “Andate al cinema”. Tra l’altro, in un momento di flessione degli incassi, una simile decisione dà un altro colpo al cinema. Considero quanto è accaduto un attacco alla creatività mascherato dalla paura di attentati terroristici multimediali. Prendere precauzioni non significa eliminare un film da ogni forma di lancio».
Trattato duramente dalle prime recensioni su Variety e The Hollywood Reporter «perché politicamente insignificante e povero di gag», il film è ora difeso a spada tratta da molti attori come Stiller: «Sarebbe bene che il nostro sindacato, il Sag, emettesse un comunicato perché il problema va molto oltre la decisione della Sony. Concordo assolutamente con quanto ha dichiarato il regista Judd Apatow: “Non si smette di bere Coca Cola perché qualcuno dice che è pericolosa”. Tutti devono poter ridere e pensare, pro o contro, la parodia che coinvolge ogni personaggio del film e non solo il presidente della Nord Corea impersonato dall’attore Randall Park, che tra l’altro dirige a Los Angeles un teatro multietnico quanto mai attento e rispettoso a ogni minoranza».
Si obietta che, dopo le anteprime, in molti avevano anticipato reazioni «contro la propaganda di guerra della Cia», ma Stiller resta fermo sulla necessità di trovare regole contro gli hacker a caccia di indirizzi email. E poi perché i nordcoreani protestano tanto, si chiede Stiller. «Il loro supremo leader esce non solo vivissimo, ma addirittua vincitore della tenzone contro l’America — afferma l’attore — proprio come quando in una sequenza dichiara: “C’è qualcosa di più distruttivo di una bomba nucleare: sono le parole”».
Nel film il presidente Kim Jong-un è un fan dello show di Roger e Franco e anche della partecipazione del vero Eminem al programma. «Questa è una “guerra informatica” in chiave di commedia — ribascono sia Seth Rogen che Stiller — e avrà molte ripercussioni sul mondo dello spettacolo perché la paura crescerà, verrà trasmessa alla platea. La riprova è che la Sony ha deciso anche di evitare la distribuzione in video on demand». Non è stata solo la Sony a cancellare il lancio del film, i maggiori circuiti di distribuzione, Cineplex, Amc, Cinemark, si sono tirati indietro. Conclude Stiller: «Il rifiuto di proiettare un film è un fatto molto grave, ripeto: è un precedente che avrà un seguito ed effetti quanto mai dannosi per tutto il mondo del cinema e a van

LA REPUBBLICA
VITTORIO ZUCCONI

NAZIONALE - 19 dicembre 2014
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MONDO
The Interview.
Dopo gli attacchi in Rete e le proteste di Pyongyang il colossal della Sony è stato bloccato Più che dei gossip svelati dal furto di file alla multinazionale la Casa Bianca si è preoccupata del rischio di attentati
Hacker e minacce sul cinepanettone Hollywood si arrende al dittatore coreano
VITTORIO ZUCCONI
WASHINGTON
«CHE voi americani possiate annegare nel sangue e negli escrementi» canta la voce angelica di una soldatessa nordcoreana nel film “The Interview”, ma per ora, e fortunatamente, l’America del cinema è affogata soltanto nell’imbarazzo e nel ridicolo, costretta a ritirarlo dalla circolazione per timore di rappresaglie coreane.
In una storia ricchissima di film e documentari usati come strumenti di propaganda, o di furiose reazioni governative scatenate da pellicole giudicate offensive, come il grande “Borat” che dileggiava ferocemente il Kazakhstan, la saga di questo che i critici americani concordano nel definire una farsaccia da avanspettacolo è una prima assoluta. Mai una big di Hollywood, la Columbia TriStar appartenente alla Sony giapponese, aveva bloccato l’uscita di un film costato 44 milioni di dollari nella produzione e già 20 milioni nella promozione a tappeto, si era arresa per timore di offendere un despota come Kim Jongun e per l’attacco di hacker che ne avevano sventrato i server, rivelando mail private, note riservatissime, sceneggiature in lavorazione, sequenze di nuovi film già pronti. E bombe vere, stragi di spettatori che avessero osato andare nella sale dove “The Interview”, l’intervista sarebbe dovuta essere proiettata nella settimana di Natale.
La guerra, che i pompieri anti hacker chiamati dalla Sony per spegnere il cyberincendio tendono ad attribuire ai nordcoreani, era cominciata la mattina del 24 novembre. Quando gli impiegati della Sony erano arrivati al lavoro nel palazzo di Culver City, i monitor dei loro computer si erano popolari di teschi rossi sogghignanti, naturalmente rifiutando di accedere poi ai dati. Era chiaramente un virus, arrivato non si sa come oltre ai deboli frangifuoco della sicurezza online. Gli scassinatori della Sony avevano portato via almeno un terabyte, mille miliardi di byte, abbastanza per contenere 300 ore di video e milioni di file di testo.
Valanghe di comunicazioni private e di giudizi imbarazzanti si sono riversati in Rete, attraverso il “Sonyleaks”. La lite fra i due protagonisti maschili del film, la Sony che paga infinitamente meglio i proprio dipendenti e dirigenti maschi, rispetto alla femmine di pari categoria, che i boss detestano l’attore Adam Sandler («Continuiamo a pagare uno finito che produce solo patacche »). I codici fiscali di Sylvester Stallone e di Judy Apatow erano diventati pubblici, insieme con i dettagli privati, i precedenti penali, le note di servizio, i problemi di salute e le reprimende di 31 mila dipendenti.
Ma se questo materiale era ancora innocuo mangime per le stalle del gossip, oltre alla violazione brutale della privacy, era la minaccia di compiere attentati contro le sale cinematografiche per Natale, per la settimana di massimo affollamento e incassi, quella che ha scosso non soltanto la Sony, ma la Casa Bianca.
Il governo di Pyongyang nega di avere il dito in questa operazione, anche se l’offesa è grande, per un film che ridicolizza il torvo regime del Nord e finisce con l’esplosione della testa del dittatore, come un cocomero. Sony ha bocciato l’uscita, per ora, segretamente riservandosi di diffonderlo più tardi forse online, per sfruttare l’immensa pubblicità e recuperare qualche milione. E le sei principali catene di sale cinematografiche hanno tolto anche i poster pubblicitaria dagli ingressi. Mentre un’altra big del cinema, spaventata, ha cancellato la lavorazione di un fiction spionistica, intitolata “Pyongyang”, con Steve Carell e diretta da Gore Verbinski, perché era ambientata in Nord Corea. Oggi, sarebbe probabilmente bloccato anche il James Bond della “Morte può attendere”.
Un filmaccio, l’equivalente americano di un pessimo panettone cinematografico, è diventato il monumento alla vulnerabilità dei grandi e dei piccoli alle azioni dei cybertarli e alla difficoltà di risalire alle fonte. La suscettibilità del paffuto giovanotto che ha ereditato il trono dell’eremita è ben nota, ma non sarebbe il primo né il solo a respingere film ostili. Da quando il cinema è diventato veicolo esplicito o implicito di propaganda politico, il rischio di reazioni furiose è cresciuto.
Nel mondo arabo, e soprattutto in Iran, fu vietata la diffusione della “Schindler’s List” di Spielberg perché accreditava la Shoah e lo sterminio degli ebrei, una panzana sionista, secondo Teheran. Il governo kazako fece passi ufficiali all’Onu contro la parodia di Sasha Cohen, “Borat” anche se il film era stato girato in realtà in Romania. La BBC ha ricordato come il Cremlino protestò violentemente, dopo averlo vietato, contro “Il Cacciatore” di Michael Cimino, per le sequenza di tortura con la roulette russa, attribuite ai valorosi compagni vietcong.
La novità, nel caso della “Intervista”, è la facilità con la quale si possono ricattare anche grandi conglomerati come la Sony, la loro vulnerabilità a chi voglia impedire la produzione di un film attraverso la semplice violazione dei server, con minacce di stragi contro gli spettatori. Ai quali, se proprio vogliamo cercare un lieto fine hollywoodiano, sarà risparmiata per ora la visione di un film che la Sony non avrebbe mai dovuto produrre.
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LA STAMPA
PAOLO MASTROLILLI

Hollywood si piega alla Nord Corea
Non esce il film che irride il dittatore
Dopo l’attacco informatico e le minacce ai cinema, la Sony ritira “The Interview”

Paolo Mastrolilli

«Gli Stati Uniti hanno appena perso la prima cyberguerra». Magari pecca di eccessiva drammaticità questa dichiarazione dell’ex «Speaker» della Camera Newt Gingrich, ma il ritiro dai cinema del film The Interview da parte della Sony sotto il fuoco degli hacker nordcoreani è certamente una sconfitta. E non ha torto il politico repubblicano quando avverte: «È l’assaggio di quanto ci aspetta in futuro. Prepariamoci».
In teoria The Interview voleva essere solo una commedia che sfotteva uno dei leader più enigmatici e curiosi del mondo. Raccontava le disavventure di un patetico conduttore televisivo, assunto dai servizi segreti americani per uccidere Kim Jong-un, il giovane capo della Corea del Nord. Il soggetto, in effetti, si presta alla commedia. Con tutto il rispetto, basta il taglio di capelli a far sorridere. Se poi uno considera la leggenda che avvolge questo ragazzo catapultato alla guida del regime costruito dal nonno, in uno dei Paesi più chiusi, impenetrabili e minacciosi del globo, la materia per abbonda.
Pyongyang, però, non ha molta pazienza per le critiche, e certamente non ha un forte senso dell’umorismo. Così, pochi giorni prima dell’uscita del film nelle sale, un potente attacco digitale ha colpito la Sony. Un gruppo di sedicenti «Guardians of Peace», Guardiani della Pace, ha assalito il sistema della compagnia, portando via tutto.
All’inizio hanno fatto notizia soprattutto le mail imbarazzanti che i capi della Sony si era scambiati su soggetti come Angelina Jolie, definita «una monella viziata con pochissimo talento», e come lo stesso presidente Obama, sfottuto per il colore della pelle: «Quando lo vedi, chiedigli se gli è piaciuto Django». Gli autori di questi messaggi ora rischiano il posto, ma ben presto si è capito che il problema era assai più grave. I servizi segreti americani sono convinti che dietro all’attacco ci sono hacker al servizio del governo nordcoreano, che in questo modo lancia due segnali precisi agli Stati Uniti. Primo, certo, non prendete in giro il nostro leader; secondo, guardate cosa siamo capaci di fare, oggi abbiamo attaccato una casa di produzione cinematografica, ma domani potremmo mettere in ginocchio altri settori chiave del vostro sistema digitale.
L’Fbi è certa che dietro all’attacco ci sono gli agenti di Pyongyang, perché i computer usati avevano come linguaggio primario il coreano. Gli hacker, però, per coprire le tracce hanno usato computer infettati in tutto il mondo, compresa l’Italia. Sì, alcuni degli assalti dei «Guardiani della Pace» sono partiti da strutture del nostro Paese, e questo spiega quanto possano essere insidiosi.
Viste le minacce ricevute, Seth Rogen e James Franco, protagonisti del film, sono stati messi sotto scorta. I cinema che dovevano proiettare The Interview si sono impauriti, e per evitare altri guai la Sony ha deciso di bloccare la sua diffusione. La Casa Bianca ha reagito così: «Non è un nostro provvedimento. Noi difendiamo la libertà di espressione, ma rispettiamo la decisione dei produttori».
Nel paese dove il Primo emendamento della Costituzione garantisce a tutti la possibilità di parlare su qualsiasi tema, rinunciare all’uscita di un film per le minacce venute da un Paese che viola tutte le leggi internazionali e costruisce bombe atomiche, è certamente una resa politica pesante. Solo qualche giorno fa, Pyongyang aveva liberato alcuni americani accusati di spionaggio, alimentando la speranza che magari fosse pronta a seguire la strada scelta da Cuba. Quel raggio di speranza per un dialogo civile, però, è stato già spento dalla disputa su un film.

LA STAMPA
CAROLA FREDIANI

Reti infette da tutti i continenti
Così si fanno le cyber-guerre
Coinvolta anche l’Italia, ma la vicenda rimane un’enigma

Carola Frediani

Allo stato attuale il «Sony Hack» - come è chiamato il clamoroso attacco informatico contro Sony Pictures - resta un enigma. Ancora non si ha certezza di come sia avvenuto, di quando sia effettivamente iniziato (si sa solo quando è stato scoperto, il 24 novembre), da chi sia stato eseguito e perché. Non solo ci sono in campo teorie contrastanti, ma ognuna di queste presenta contraddizioni interne e angoli ciechi. Dunque è bene partire da quello che si sa.
La violazione informatica subita da Sony è una delle più pesanti mai registrate da una grande azienda americana. C’è chi ha stimato 85 milioni di dollari di danni, e questo prima che la programmazione di The Interview venisse cancellata. L’attacco è stato condotto usando un malware, cioè un software malevolo, che non solo ha copiato 100 terabytes di dati privati dell’azienda ma ha anche cancellato gli hard disk diffondendosi nella rete aziendale attraverso i servizi Windows.
Sebbene il malware non fosse di per sé molto sofisticato, il modo in cui è stato utilizzato mostra una notevole conoscenza della infrastruttura interna di Sony da parte degli attaccanti. Per questo qualcuno pensa che possa essere coinvolto anche un insider, magari qualche ex dipendente.
Non si sa come originariamente il malware sia arrivato sui server Sony, ma era controllato dagli hacker attraverso una rete di computer infetti - le prime indiscrezioni li collocano a Singapore, Bolivia, Polonia e pure Italia - attraverso i quali passava la catena di comando. Questo apre il capitolo di quella che in gergo di chiama «attribuzione». Che, nel mondo della sicurezza informatica, è l’aspetto più spinoso.
Hacker competenti non solo sanno nascondere la propria localizzazione (l’indirizzo IP) ma possono anche fingere che un attacco parta da tutt’altro soggetto o luogo. Il depistaggio è parte integrante dell’azione di hacking. E anche nel caso si riesca a ricondurla a individui di un certo Paese, sarebbe comunque difficile stabilire - a meno di esplicite rivendicazioni o che si tracci fino a un ufficio statale - se si tratta di una campagna promossa dal suo governo o condotta in modo autonomo da simpatizzanti.
Ieri indiscrezioni del governo e dell’intelligence americana hanno puntato sempre più il dito sulla Nord Corea, che era in ballo da subito, anche se con molte perplessità da parte degli esperti. Pyongyang da anni recluta nelle università un piccolo esercito di cyber-guerrieri, che fonti sudcoreane stimano sulle tremila unità. Alcune - come la Unit 121, menzionata proprio da funzionari Usa nell’affaire Sony - avrebbero un distaccamento in Cina.
Al di là dell’anatema di Pyongyang scagliato mesi fa contro il film, gli indizi più forti a favore della pista nordcoreana riguardano l’analisi del malware utilizzato, che in passato è stato usato contro alcune banche della Corea del Sud e la compagnia petrolifera statale dell’Arabia Saudita. Nel primo caso erano sospettati i nordcoreani, nel secondo caso gli iraniani. Per altro vari studi mostrano una collaborazione fra queste due nazioni, almeno sul fronte cyber.

LA STAMPA
FULVIA CAPRARA
Più che un pericoloso manifesto politico «The interview», il film che la Sony ha deciso di ritirare dal mercato per timore di eventuali attacchi terroristici, ha il tono e il look di una innocua commedia demenziale. Al centro della pellicola diretta da Evan Goldberg e Seth Rogen, la coppia, tutta da ridere, formata dal conduttore di un celebre talk show Dave Skylark (James Franco) e dal produttore Aaron Rapoport (Seth Rogen).
Quando i due scoprono che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un è un appassionato spettatore del loro show, decidono di chiedergli un’intervista in maniera da accreditarsi, finalmente, come cronisti di razza. Mentre si preparano per la grande impresa, vengono contattati dalla Cia che ha inusitatamente deciso di affidare alle persone meno adatte sulla faccia della terra, il compito di assassinare Kim Jong-un.
«Prima di girare - ha spiegato Evan Goldberg - ci siamo documentati, leggendo tutto quello che abbiamo trovato su Kim Jong-un e sulla Corea. Il suo personaggio è stato costruito in base alle informazioni raccolte, al mito che lo circonda, a tutte quelle storie su di lui: sul fatto che parlerebbe con i delfini, che non avrebbe bisogno di urinare né defecare, che avrebbe vissuto nell’ombra del padre per poi prenderne il posto. Anzi, abbiamo dovuto filtrare le notizie perchè erano talmente assurde da risultare incredibili. Insomma, abbiamo voluto effettivamente dare l’idea del punto in cui è arrivato, da quelle parti, il culto della personalità».
La scelta di rendere il tutto in chiave comica, dalle scene degli incontri con il dittatore alle fughe precipitose, dai brindisi con le ragazze del luogo agli inseguimenti, dalla preparazione dell’attentato al terrore di essere acciuffati, ha convinto subito James Franco: «Sono convinto che questo genere offra la possibilità di trattare argomenti difficilmente digeribili, rendendoli più accessibili. Infatti il film raggiunge il suo scopo mescolando sciocchezze e cose serie».
Nella pellicola, girata a Vancouver e arricchita da una gran quantità di effetti speciali, il ruolo del dittatore è stato subito affidato a Randall Park che si è rasato completamente il cranio e ha costruito il personaggio seguendo le indicazioni dei registi che lo volevano «robotico e austero» ma anche la sua personale interpretazione che lo ha reso anche «timido e imbarazzato», aumentandone quindi l’effetto satirico.
Ma non tutti, evidentemente, ridono allo stesso modo: «Non potevo immaginare che tipo di reazione il film avrebbe suscitato - ha dichiarato James Franco prima della decisione della Sony - ma credo che nessuno di noi abbia pensato realmente alle conseguenze che poteva scatenare».
Per quanto riguarda la distribuzione italiana di The Interview, al momento non è stata presa alcuna decisione. Intanto, da Hollywood, dilaga un fiume di reazioni negative alla scelta di autocensura: «È un giorno triste - twitta tra gli altri Steve Carrell - per l’espressione creativa».
James Franco Nella foto sopra, una scena di «The Interview» con James Franco, protagonista del film assieme a Seth Rogen; il film è stato girato perlopiù in Canada

ILARIA MARIA SALA
La strategia di Pyongyang
passa per i media del nemico
Ilaria Maria Sala
Se la tentazione di condannare «l’irresponsabilità» di chi ha realizzato il film The Interview si fa forte, pensate per un momento a quello che la propaganda nordcoreana sforna con regolarità. L’anno scorso, un video su YouTube mostrava un ragazzo addormentato, cullato da un sogno emozionante, che era poi la distruzione nucleare dell’intera New York e di Washington. Su YouTube, badate bene, come dire in casa del nemico.
Sui muri delle scuole elementari nordcoreane, invece, si possono vedere murales dove americani verdastri, con il muso appuntito come ratti, vengono disintegrati da nerboruti soldati di Pyongyang armati di baionette. Consideriamo, anche, che la Guerra di Corea, conclusasi nel 1953, è stata fermata solo da un armistizio e non da una pace piena, e che per quanto riguarda Pyongyang il vero nemico non è la Corea del Sud, ma gli Stati Uniti: il Nord riconosce solo occasionalmente la legittimità del governo di Seul, preferendo considerarlo un «fantoccio» tenuto in piedi dagli Stati Uniti.
Così, per uno stato militarizzato e fondato sulla propaganda, il cui leader massimo – Kim Jong-un – è anche il capo delle forze armate (come negli Stati Uniti), uno dei principali cardini dell’ideologia nazionale è quello della guerra, e della sua allegoria, con il nemico numero uno: l’America imperialista.
Che viene dunque ritualmente sterminata in innumerevoli film e altre opere di fantasia, scritte o dipinte che siano. La furia strepitosa della Corea del Nord in questo contesto necessita un po’ meno di tentativi di comprensione: per quanto riguarda Kim, e i creativi della Corea del Nord, distruggere l’Occidente è un sogno giustificato e innocente.

DAI GIORNALI DEL 20 NOVEMBRE (SABATO)
LA STAMPA
ENRICO CAPORALE

Obama alla Corea del Nord
“Nessuno ci può censurare”
Il presidente dopo gli attacchi hacker alla Sony: l’America reagirà

Enrico Caporale

A Washington ormai non hanno più dubbi: dietro l’attacco hacker alla Sony Pictures Entertainment c’è lo zampino della Nord Corea. Ieri l’Fbi ha annunciato di avere informazioni sufficienti per accusare Pyongyang e Obama ha annunciato che «siamo pronti a rispondere». Ma non è tutto: secondo gli inquirenti, anche Pechino potrebbe essere coinvolta. «Siamo preoccupati - ha comunicato l’Fbi -. Evidenti somiglianze con altri attacchi ci fanno puntare il dito contro la Nord Corea, ma non escludiamo la partecipazione di attori cinesi».
Sicurezza e diplomazia
Sulle minacce ai cinema che hanno portato al ritiro del film The Interview (commedia che irride il dittatore Kim Jong-un), seguite al furto di dati dai server della casa cinematografica Usa, è intervenuto anche Barack Obama che, nella conferenza di fine anno prima di partire per le Hawaii, ha detto: «Risponderemo al cyber-attacco, ma la Sony ha sbagliato a ritirare il film. Nessun dittatore può censurarci, dobbiamo continuare a fare le cose normalmente». Poi ha promesso: «Penseremo a una nuova legge per garantire maggiore sicurezza sul Web».
La vicenda rischia di essere una nuova gatta da pelare per il presidente Usa, già alle prese con terrorismo islamico e sanzioni anti-Putin. Solo qualche giorno fa Pyongyang aveva liberato alcuni americani accusati di spionaggio, alimentando la speranza che fosse pronta a seguire la strada di Cuba. Ma così non è stato. Dopo l’attacco hacker alla Sony, Washington è stata costretta a riaprire il dossier nordcoreano. E i dettagli che sono trapelati sono tutt’altro che rassicuranti. Pare che nel 1990 Pyongyang avesse infiltrato negli Stati Uniti agenti pronti a condurre attacchi contro centrali nucleari e città (in caso di ostilità dovevano essere l’arma segreta della Nord Corea, sprovvista di missili capaci di colpire gli Usa). Per ora la guerra è «solo» virtuale, ma non per questo è meno seria. E a dimostrarlo c’è il fatto che nel 2013 il Pentagono ha alzato il budget per le operazioni di cyberguerriglia, creando un dipartimento ad hoc.
Hacker scatenati
Ieri, intanto, gli hacker responsabili dell’attacco alla Sony sono tornati a farsi sentire. «Ci complimentiamo - hanno scritto ai vertice dell’azienda - per la decisione di cancellare l’uscita del film The Interview. Ora chiediamo la rimozione dal Web di ogni dettaglio sulla pellicola, inclusi i trailer».

LA REPUBBLICA
ALBERTO FLORES D’ARCAIS

NAZIONALE - 20 dicembre 2014
CERCA
14/15 di 80
L’AMERICA DI OBAMA
LA GIORNATA
La cyberguerra
Obama contro Pyongyang “Risponderemo agli hacker un errore bloccare il film”
L’ad di Sony: “È il presidente a sbagliare”. Clooney: “Bisogna far vedere The Interview”. Lo scrittore Coelho: “Compro i diritti”
ALBERTO FLORES D’ARCAIS
NEW YORK .
Gli ultimi sberleffi sono arrivati giovedì notte. «Quella di cancellare l’uscita di The Interview è una saggia decisione — avevano scritto gli hackers alla Sony Pictures — Ora i vostri dati sono al sicuro se non combinate nuovi pasticci». Ieri mattina le cose sono cambiate. L’Fbi ha indicato la Corea del Nord come diretto «responsabile» del cyber-attacco contro la major di Hollywood e per gli Usa la grottesca vicenda di questo film satirico sul leader nord-coreano Kim Jong-un — che doveva uscire nelle sale a Natale — diventa una questione i sicurezza nazionale.
Barack Obama nella conferenza stampa di fine anno lancia il guanto di sfida. «Risponderemo in modo proporzionale, nei tempi e metodi che stabiliremo »: il cyber-attacco arrivato da Pyongyang (ma per l’intelligence Usa c’erano computer operativi a New York, in Thailandia, Polonia, Bolivia, Singapore ed anche in Italia) «ha provocato molti danni, non consentiremo a un dittatore di imporci la sua censura». Quanto alla Sony, per il presidente Usa ha fatto «un grave errore» nel decidere di bloccare The Interview, «Se mi avessero chiamato gli avrei detto di non ritirare il film e di non lasciarsi intimidire». L’ad di Sony respinge le accuse al mittente: «Non abbiamo capitolato ritirando il film. Il pubblico e il presidente si sbagliano. Abbiamo subito il peggior cyber attacco nella storia americana».
Hollywood si divide. George Clooney accusa la major: «Non possiamo farci dire da Kim Jongun che non possiamo vedere qualcosa. Dobbiamo mettere il film online e fare il possibile per fare uscire la pellicola». L’attore rivela anche che nessuno dei suoi colleghi del mondo dello spettacolo ha voluto firmare una petizione per perorare l’uscita del film. Clooney non risparmia i media che hanno rilanciato i gossip diffusi dagli hacker: «Hanno abdicato al suo ruolo: suonano la cetra mentre Roma brucia».
La Paramount ha bloccato la proiezione di un vecchio cartone sulla Corea del nord, “Team America”, con cui alcune sale avevano proposto di sostituire il film ritirato. Lo scrittore Paulo Coelho offre 100 mila dollari per i diritti di The Interview: «Voi recuperate lo 0,01% del vostro budget e io posso dire “no” alle minacce terroristiche», ha twittato precisando che, se Sony accetterà la sua proposta, lui farà vedere gratuitamente la pellicola sul suo blog.
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GEORGE R. MARTIN
È SURREALE . Con una sorprendente dimostrazione di vigliaccheria aziendale, le principali catene cinematografiche degli Stati Uniti hanno annullato la programmazione di The interview a causa delle minacce della Corea del Nord. Proprio così. Cioè, davvero? Davvero?? Queste gigantesche corporation, che nella maggior parte dei casi potrebbero comprarsi la Corea del Nord con i soldi delle mance, si stanno rifiutando di distribuire un film perché Kim Jong-un non ha voglia di essere preso in giro?? Un simile livello di vigliaccheria mi sconvolge. È un bene che questi tizi non esistessero quando Charlie Chaplin girò Il grande dittatore . Se hanno paura di Kim Jong-un, Adolf Hitler gliel’avrebbe fatta fare nelle braghe. Non ho visto The interview.
Non ho idea se sia un film buono o meno. Ma il punto non è questo. Mi sorprende che un’importante produzione hol- lywoodiana possa essere abortita prima ancora di uscire nelle sale a causa delle minacce di una potenza straniera e di hacker anonimi. Per quel che vale, il cinema Jean Cocteau (di proprietà di Martin, NdT) sarebbe ben felice di proiettare The interview , nel caso ce ne facessero avere una copia. Intanto volevamo seguire proiettare Team America , ma a quanto pare la vigliaccheria è contagiosa. La Paramount ha deciso di ritirarlo dalle sale. Né noi, né nessuna delle altre sale indipendenti che voleva sostituire The interview con Team America potrà farlo. Forse dovrei contattare i nostri padroni nordcoreani e chiedere loro quali film ci è consentito proiettare al Cocteau.
( traduzione di Marzia Porta)

CORRIERE DELLA SERA
GIUSEPPE SARCINA
DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK Barack Obama annuncia «la risposta» degli Stati Uniti alla Corea del Nord. Ma tra tante parole di fermezza inserisce un aggettivo, «proporzionale», che segnala l’intenzione di circoscrivere, almeno per il momento, la reazione contro il regime guidato da Kim Jong-un, considerato il responsabile dell’attacco informatico ai danni della Sony. Nell’introduzione della conferenza stampa di fine anno, il presidente americano non ha neanche sfiorato l’argomento. Ha atteso le domande dei giornalisti, con l’intento evidente di contenere la potenziale pericolosità di una nuova crisi internazionale.
«Ci sarà la nostra azione, in tempi e modi che decideremo e che certo non posso rivelare qui». Con queste parole il leader della Casa Bianca ha chiuso il circuito di indiscrezioni messo in moto nella mattinata da un comunicato dell’Fbi. I dirigenti del servizio di sicurezza nazionale confermano i sospetti degli ultimi giorni.
L’ordine di sabotare i computer della Sony è partito da Pyongyang, la capitale del durissimo regime comunista. Le minacce degli hacker avevano indotto la società americana a ritirare il film satirico «The Interview» in cui si immagina un complotto per assassinare il dittatore nordcoreano. «Capisco i timori di Sony, ma hanno commesso un errore a ritirare il film — è stata la prima risposta di Obama — se mi avessero consultato, avrei fatto presente che qui siamo in America e che non possiamo farci intimidire da nessuno. Nessuno ci può togliere la nostra libertà». Il presidente si è mosso in scioltezza tra i fondamenti «della democrazia americana». Ricatti di ogni tipo sono «inammissibili». «Vi immaginate cosa accadrebbe se qualcuno potesse pensare di poter bloccare un documentario o una notizia sgradita?» ha chiesto retoricamente il presidente. Ma applicare contromisure appare più complicato. La Casa Bianca ha già proposto al Congresso di approvare una legge che consenta di rafforzare la sicurezza informatica, considerando che nell’ultimo anno le intrusioni hacker sono aumentate del 35% contro istituzioni pubbliche e aziende private.
Ma, ora, il punto è: quale potrà mai essere «la risposta» promessa contro la Corea del Nord? Il regime è già in cima alla lista degli «Stati canaglia», assediato da un’infinità di sanzioni economiche, il simbolo stesso dell’isolamento internazionale, potendo contare solo sull’assistenza della Cina. Che cosa significa «risposta proporzionale»? L’ipotesi più logica è che siano questa volta «pirati» americani a violare i computer nordcoreani.
Ma quel Paese, nonostante sia una potenza nucleare, è talmente arretrato, che diventa difficile anche solo immaginare quali potrebbero essere gli obiettivi potenziali. A meno che l’intelligence stia studiando un piano per neutralizzare «l’Ufficio 121», la task force dei 1.800 «esperti informatici» selezionati dal governo nordcoreano. Obama ha precisato che «la Corea del Nord ha agito da sola, senza la collaborazione di altri Stati». Trasparente il riferimento alla Cina.
La «questione nordcoreana» ha rovinato la controffensiva lanciata da Obama nelle ultime settimane per riguadagnare la leadership internazionale. Il 2014 era cominciato male, con lo scontro con la Russia sull’Ucraina. Sembrava finito meglio, grazie all’accordo sul clima con la Cina e la storica apertura a Cuba. Ora si scopre l’insidia invisibile e sconosciuta della cyber war . Michael Lynton, amministratore delegato di Sony Pictures, risponde in serata ad Obama: «Non abbiamo commesso errori, la verità è che non avevamo alternative al ritiro del film». Contro la nuova minaccia interviene anche la star del cinema George Clooney: la discussione è di quelle che riscaldano e appassionano l’opinione pubblica americana.
G. Sar.
gsarcina@corriere.it

PEZZI DI OGGI
REPUBBLICA

NAZIONALE - 21 dicembre 2014
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L’AMERICA DI OBAMA
LA GIORNATA
La Corea del Nord minaccia “Non siamo noi gli hacker ci rafforziamo sul nucleare”
Proposta-beffa agli Usa: “Indaghiamo insieme sul caso Sony” Obama chiese aiuto alla Cina per bloccare l’attacco informatico
NEW YORK .
La minaccia di Obama dopo il cyber-attacco alla Sony («siamo pronti a rispondere») ha avuto un primo effetto. La Corea del Nord risponde alle accuse e alle «prove» del Fbi che mettono sul banco degli imputati gli hackers del regime. Lo fa a modo suo, accusando gli Stati Uniti («è una diffamazione per mobilitare l’opinione pubblica») e con la incredibile richiesta di una «indagine congiunta tra Usa e Corea del Nord» su chi ha preso di mira la Sony Pictures provocando il blocco del film The Interview . Richiesta naturalmente inaccettabile e accompagnata da nuove minacce: «Se gli Stati Uniti rifiutano ci saranno gravi conseguenze». Minacce (con l’aggiunta di nuovi «sforzi per l’autodifesa comprese le forze nucleari») che la Casa Bianca non prende sottogamba. Gli hackers nordcoreani hanno dimostrato di avere mezzi e conoscenze e Obama nei giorni scorsi, rivela il New York Times, avrebbe chiesto aiuto alla Cina per bloccare gli attacchi senza ottenere risposta. A irritare e preoccupare Pyongyang, invece, oltre al film della Sony c’è l’Onu: due giorni fa l’Assemblea Generale ha dato il suo assenso per deferire la Corea del Nord alla Corte Penale Internazionale dell’Aja per “crimini contro l’umanità”. (a. f. d’a.)

a Corea del Nord è una delle dittature più repressive e brutali del mondo. Si stima che abbia rapito migliaia di persone dai paesi vicini dopo la guerra di Corea, mentre ha lasciato che tra 1 e 2 milioni dei suoi cittadini morissero di fame per una carestia negli anni Novanta e attualmente tiene detenute circa 100.000 persone nei campi di lavoro. Le Nazioni Unite hanno nominato una commissione per indagare sulla situazione dei diritti umani in Corea del Nord; il suo rapporto, pubblicato nel mese di febbraio, descrive un regime senza paragoni in termini di crudeltà e di oppressione sistematiche.
FAREED ZAKARIA

LA STAMPA
GIANNI RIOTTA


Chissà che brutto Natale passerà il professor Thomas Rid, docente al King’s College di Londra! Giusto un anno fa, dicembre 2013, Rid firma su «Foreign Affairs» un saggio dal titolo «Cyberwar and Peace», argomentando, evocando lo stratega von Clausewitz «che va dimenticata l’enfasi eccessiva sulla cyberwar» la guerra telematica. Pochi mesi prima anche Evgenj Morozov, brillante critico del web, ironizza su «Slate» contro i «guerrafondai del web».
«Guerrafondai del web», vale a dire studiosi e militari che da tempo ammoniscono sulla guerra digitale nel XXI secolo.
Il fronte è sul Web
Rid e Morozov apprendono ora, dopo la bizzarra vicenda del film comico Sony bocciato via pressione hacker, pirati informatici probabilmente organizzati dalla Nord Corea, che la cyber war è realtà pericolosa, non fantascienza. A Rid risponde su «Foreign Affairs» Jarno Limnell, esperto di sicurezza online a McAfee: non si tratta di immaginare la guerra telematica come uno scontro di robottini azionati via cavo, ma al contrario studiarla come continuazione razionale della guerra classica. Poiché il nostro mondo vive di tecnologia, i guerrieri e i guerriglieri si appostano per vie strategiche lungo la tecnologia, come i nostri antenati occupavano un fiume, un porto, una strada, un passo di montagna per controllare il nemico. Nel saggio «Cyber war», l’esperto di antiterrorismo Richard Clarke illustra poiché il web è il luogo in cui la realtà del nostro tempo si esprime, là si farà la guerra, come greci e persiani a Maratona, romani e cartaginesi a Zama-Naraggara, cristiani e turchi a Lepanto.
Se alla riunione preparatoria alla Sony, per il film commedia di Seth Rogin «The interview», costato circa 50 milioni di dollari, qualcuno avesse detto alla amministratrice Amy Pascal «ma non si può fare, rischiamo che Pyongyang ci minacci, come ha già fatto invadendo la posta elettronica, e che i cinema, spaventati da attentati, ci censurino, il presidente Obama ci accusi di viltà, il regime di Kim Jong-un proponga una farsa di inchiesta congiunta per scagionarsi» tutti avrebbero riso, magari pensando fossero battute della sceneggiatura.
Tattica asimettrica
Invece, ecco cosa Rid, Morozov e gli scettici sulla cyber war non immaginavano, l’apertura storica di Obama a Cuba finisce offuscata dallo scontro con la Corea, Stato con cui gli Usa sono in guerra, nessun trattato di pace è stato firmato dopo le ostilità, nel 1953. Perché il web è la realtà, sul web speranze di pace e venti di guerra si incrociano. Sul web Hamas e israeliani combattono a Gaza. Isis recluta i terroristi sul web e grazie al web il nome della città curda di Kobani diventa un simbolo e non cade in mano agli islamisti. Dall’informatica (non probabilmente dalla rete, ma da disco fisso infettato) è nato Stuxnet, il virus che ha rallentato il programma nucleare iraniano, sulla rete combattono russi, ucraini, svedesi, cinesi e si fa mercato dei documenti segreti sottratti a Nsa.
Pyongyang sa di non avere la forza di invadere la Corea del Sud, o minacciare Washington. Ma da tempo prepara la guerra asimmetrica - come si definisce in gergo la tattica dei più deboli contro i più forti, Davide contro Golia - sugli hacker. Già a 10-12 anni i ragazzini più svegli vengono reclutati in milizie paramilitari e, anziché far marce in cortile, apprendono i programmi per violare la sicurezza. Il contrammiraglio della Marina sudcoreana Kim Duk-ki, in un studio sulla guerriglia informatica asimmetrica in Nord Corea ricorda come i miliziani informatici siano privilegiati, rispettati e promossi, colmati di benefici in un Paese dove i braccianti sono alla fame. Il pericolo coreano passa dal web.
La commedia «The interview» è una tragedia. Perché ci siamo a lungo illusi che il web fosse il luogo della pace, del dialogo, del benessere, magari della famigliarità un po’ cialtrona di Facebook. È invece la nostra vita concreta, per nulla «virtuale», maledettamente «reale». Lì incrociamo i nostri amici e fratelli, lì si nascondono, organizzano e pullulano i nemici.
Obama ha fatto la voce grossa, auspicando che Sony lo avesse consultato prima di censurare, invocando la libertà di pensiero contro i diktat imposti dal regime coreano, con una durezza che non ha avuto in altre occasioni. Sony è un’azienda e non è tenuta a fare atti di coraggio, ma il tema si riproporrà. Online nulla è protetto, nessuna crittografia - spiega Cory Doctorow nel nuovo volume «Information doesn’t want to be free» - resiste per sempre, alla lunga gli invasori, ladri, pirati, militari, trovano il Cavallo di Troia o la breccia per entrare. Identità personali, segreti economici, di Stato o impresa, sono a rischio cyber guerra. Dobbiamo prepararci, tecnicamente e moralmente, a combattere sotto le Porte Scee del web, per la libertà.
www.riotta.it


La Russia rispolvera l’asse con Pyongyang
ma gli Stati Uniti preparano nuove sanzioni
Pyongyang passa al contrattacco e incassa il sostegno dei suoi storici alleati, la Russia e la Cina. Il presidente russo Vladimir Putin ha invitato il leader nordcoreano Kim Jong Un alle celebrazioni del 70° anniversario della vittoria sulla Germania nazista, la grande festa che si terrà il 9 maggio 2015 a Mosca. Sarà la prima visita ufficiale di Kim all’estero, di fatto segregato nel suo Paese dall’isolamento internazionale. E anche da Pechino arrivano segnali di sostegno. l quotidiano cinese «Global Times» ha definito il film «di una arroganza culturale assurda», perché Kim Jong Un, anche se non amato in Occidente, «continua a essere il leader della Nord Corea» . Pyongyang intanto ribadisce la sua assoluta estraneità agli attacchi cibernetici ai danni di Sony e tenta di imporre a Washington «un’indagine congiunta», mentre l’ad di Sony Michael Lynton spiega che il ritiro del film non è stata una decisione sbagliata, come indicato da Barack Obama, e assicura anzi di non «essersi arreso» alle minacce degli hacker e che farà di tutto per far uscire «The Interview» nelle sale. La decisione di Sony era stata criticata venerdì da Obama, che ora sta valutando sanzioni economiche e bancarie contro Pyongyang. E domani il Consiglio di sicurezza Onu discuterà per la prima volta sulla questione dei diritti umani in Nord Corea.