Derek Thompson e Jordan Weissmann, The Atlantic 16/12/2014, 16 dicembre 2014
Nel 2009 Ford importò la “Fiesta” dall’Europa nel coraggioso tentativo di conquistare i giovani americani
Nel 2009 Ford importò la “Fiesta” dall’Europa nel coraggioso tentativo di conquistare i giovani americani. Ne furono date 100 in dotazione ai blogger più influenti, che potevano tenerle gratuitamente per sei mesi, a condizione di documentare l’esperienza on line. Sia che la amassero sia che la odiassero. I giovani blogger la amavano. E i giovani alla guida? Non proprio. Dopo un’eccitazione iniziale che fece vendere 90.000 unità in 18 mesi, le vendite precipitarono. In aprile 2012 erano crollate del 30% rispetto al 2011. Non è colpa della Ford. E’ un problema che riguarda tutti i produttori di macchine in America. Come si fa a venderle ai “millennials”? Questa Generazione Y semplicemente non guida come le generazioni precedenti. Nel 2010 gli adulti fra i 21 e i 34 anni hanno comprato solo il 27% dei nuovi veicoli disponibili in America: il 38% in meno rispetto al 1985. La percentuale di adolescenti con la patente è diminuita del 28% tra il 1998 e il 2008. La “General Motors”, per comprendere il trend, si è affidata ai consulenti di “MTV Scratch”, più vicini ai ventenni. “Subaru” ha puntato sulla coscienza ecologista, pensando che appartenga ai nuovi giovani, e “Ford” ha spinto soprattutto sui social media, sperando sia il canale giusto per intercettare i clienti. Tutte le strategie presumono che una volta risolta la crisi economica, una volta riconquistati i giovani, questi consumeranno come hanno fatto i loro genitori e i loro nonni. Forse. Ma l’avversione dei giovani per l’acquisto delle macchine potrebbe non essere l’effetto temporaneo della recessione. Potrebbe trattarsi di un gusto e di un’abitudine permanente. E’ una questione che riguarda altre categorie di spesa, tipo la casa. I “millennials” sembrano aver perso interesse anche per questa. La Grande Recessione è responsabile del declino ma è possibile che la nuova generazione semplicemente abbia deciso di spendere i propri soldi in modo diverso dalle precedenti. Quando “Zipcar” fu creata, nel 2000, il prezzo medio per gallone di benzina era un dollaro e cinquanta e gli “iPhone” non esistevano. Da allora è diventata la compagnia di car-sharing più grande al mondo (con 700.000 membri), grazie a due fattori: il prezzo della benzina è raddoppiato e gli smartphone sono ovunque. Il che rende il car-sharing più appetibile e accessibile. La “sharing economy” ha portato alla creazione di servizi come “Airbnb” e “Thred-up”. Tramite la tecnologia si possono scegliere a distanza macchine, stanze, vestiti. La tecnologia mobile e i software peer-to-peer danno accesso a tutto, appena ne abbiamo bisogno. Il costo di una macchina nuova è di circa 30.000 dollari, e resta in garage quasi 23 ore al giorno. Il possesso della macchina, oggi, non è più uno status. Non è ciò a cui un giovane aspira. E’ un semplice mezzo di trasporto. I “millennials” aspirano allo smartphone e i produttori di macchine lo stanno lentamente capendo. Lo scorso anno la “Ford” ha fornito “Zipcar” di macchine in oltre 250 campus. Se guidano Ford, forse il giorno in cui si compreranno una macchina, sceglieranno Ford. Anche il marketing Subaru ha compreso che ormai per connettersi non servono le macchine, ma gli smarthphone, che trascendono il tempo e lo spazio, ti portano fuori dalla realtà in cui risiedi. Ovviamente i “millennials” non condividono solo il trasporto, ma case, e interi quartieri. Con la crisi economica son diminuiti i proprietari e aumentati gli affittuari e gli “squatter”. Secondo le statistiche 9 su 10 desiderano avere una casa di proprietà ma gli ostacoli sono molti: paghe passe, prezzi alti, difficoltà di accesso ai mutui. Questi giovani fra poco metteranno su famiglia e andranno ad abitare dove? Le loro aspirazioni abitative non sono residenziali come si mostrava in “Revolutionary Road” e in “Desperate Housewives”. No. Vogliono il centro città, la luce urbana, luoghi con negozi, trasporti pubblici e ristoranti. Secondo la “National Association of Realtors” i loro gusti sono cambiati negli ultimi cinque anni. Ora cercano case piccole a breve distanza dai centri commerciali. Vogliono car sharing e bike sharing. Vogliono essere sempre connessi. Potrebbe essere una grossa questione da affrontare per le industrie edilizie e automobilistiche, che danno lavoro a milioni di operai, danneggiati da questa transizione. Le compagnie tech e quelle che realizzano le connessioni internet ad alta velocità non creano così tanti posti di lavoro. Ma non tutto il male vien per nuocere. Se i giovani spendono di meno per case e macchine, significa che risparmiano più soldi, e non tutti andranno spesi in oggetti elettronici. Invece di investire in ciò che è materiale, possono investire in se stessi, nell’educazione che è un veicolo per essere produttivi. Le ricerche economiche mostrano che la densità di popolazione tende ad accrescere la produttività dal 6% al 28%. Questa “luce urbana” può dunque essere positiva. Si sa che la ricchezza non dipende solo dalle singole qualità ma anche dalla capacità di prendere idee da chi ci circonda. Se la Generazione Y continua a spingere la nostra società a vivere connessa e a condividere tutto, potrebbe fare di più che cambiare la cultura consumistica americana: potrebbe creare il fondamento economico dei prossimi anni a venire.