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 2014  dicembre 13 Sabato calendario

LE LANTERNE CHE NASCONDONO LE OMBRE DEL SISTEMA PRATO

Fino a qualche decennio fa, a Prato, per sapere che colore sarebbe andato di moda la stagione successiva, bastava guardare il fluire del Bisenzio. Adesso lungo il fiume c’è la pista ciclabile e i colori che preoccupano sono solo quelli della piena che trascina il fango. Nella Fabbrica Campolmi, il più grande complesso industriale tessile d’origine ottocentesca in pieno centro, dove Francesco Nuti combatteva contro il telaio impazzito nel film Madonna che silenzio c’è stasera, oggi ha sede il Museo del Tessuto e la suggestiva Biblioteca Lazzeriniana. Fino agli anni ’80 uno dei passatempi dei ragazzini, il sabato e la domenica, era salire nei punti più alti intorno alla città e puntare il dito laddove spuntava un baffo d’incendio. Come racconta Sandro Veronesi nel romanzo Brucia troia, la macabra tecnica utilizzata era quella di trasformare un gatto in una miccia che schizzava da ogni parte sopra ai mucchi di pezze per dar fuoco velocemente a tutto il capannone. Il meccanismo era far soldi finché le cose andavano bene, dar fuoco quando andavano male per prendere i soldi dalle assicurazioni e i più fessi erano quelli che fallivano senza bruciare.
Quando la domenica del primo dicembre 2013 un capannone nel Macrolotto è andato in fumo, i gatti e le assicurazioni non c’entravano niente e il sollievo del pensiero che gli operai fossero a casa perché era domenica è svanito subito. Nel rogo della confezione Teresa Moda sono morti 7 cinesi rimasti imprigionati nei dormitori abusivi. Alla commemorazione, un anno dopo, Compost, l’associazione culturale di italiani e cinesi che si dà da fare per l’integrazione, ha dovuto constatare la scarsa partecipazione. Una ditta cinese ha persino rifiutato di prestare il tavolo per la cerimonia, terrorizzata dalla sfortuna. Molti dei cinesi che arrivano a Prato vengono da zone periferiche e di campagna, dove la superstizione è ancora molto forte.
Nella sicurezza sul lavoro parole come destino, fatalità e disgrazia sono bandite, in quanto giustificano in buona parte il non poter evitare certe morti. Come è successo qualcosa che invece si poteva evitare? La reazione generale è stata di orrore e di condanna, ma non di stupore. In qualche modo c’era da aspettarselo.
A partire dagli anni ’90, con la crisi del tessile, il noto distretto pratese è stato perlopiù sostituito col distretto dell’abbigliamento low cast delle ditte cinesi. I cinesi non sono stati la causa della crisi a Prato, sono semmai diventati il tampone. Hanno occupato capannoni svuotati dalla globalizzazione dei mercati che ha aperto le frontiere ai filati e tessuti d’importazione a prezzi stracciati e hanno valorizzato la collocazione geograficà di Prato nel Centro Italia per gli spostamenti da e verso l’Europa centrale e dell’Est e hanno sfruttato i servizi già presenti come la logistica e spedizioni per via della lunga tradizione locale nel settore della moda. Il tutto è cresciuto velocemente e senza nessun governo del fenomeno. Negli ultimi anni è stata invocata la repressione chiedendo a gran voce la presenza delle forze dell’ordine che ha portato coppie di militari a passeggiare in centro e qualche retata spettacolare con tanto di elicotteri a sorvolare i capannoni, con il chiaro obiettivo di mettere i sigilli da dare in pasto all’opinione pubblica. A quanto pare con scarsi risultati, visto che per la classifica della qualità della vita del Sole 24 Ore uscita in questi giorni, Prato è ultima per ordine pubblico.
«Come fanno i cinesi? E noi che si faceva? Dopo le ore in fabbrica, via a casa con i telai nel garage e i bambini a fare merenda in quel rumore assordante. E ore e ore di lavoro, e i sabati e le domeniche e mezza vita per mettere da parte due lire», così racconta Nedo, che per 50 anni ha fatto l’operaio tessile. Alla Cgil spiegano che l’operaio cinese spesso lavora a cottimo. Comincia nel primo pomeriggio e finisce di notte, molto probabilmente per soddisfare il cliente la mattina successiva. Dal compenso per il lavoro svolto vengono detratti il vitto l’alloggio. Per 16-18 ore al giorno prende 1.500 euro. Si stima che siano circa 30.000 i lavoratori, di cui due terzi a nero, impiegati nell’indotto.
Il processo per la morte dei sette operai sta descrivendo nel dettaglio meccanismi del sistema Prato: affari intrecciati tra parte della comunità cinese, parte dei titolari di immobili italiani e parte dei professionisti. Ad esempio Teresa Moda era gestita da una prestanome legata al mondo della prostituzione: poiché il 44% delle ditte cinesi sono intestate a donne è probabile che la pratica di far firmare dietro compenso persone che non hanno più mila da perdere sia molto diffusa. Grazie alle testimonianze e alle prove è stato possibile individuare la titolare reale che era Lin Youlan, che è imputata insieme alla sorella Lin Youlan e al cognato Hu Xiaoping nel processo con rito abbreviato. Contemporaneamente si è aperto un processo per i proprietari del capannone, i fratelli Pellegrini, che gestiscono altri immobili di proprietà. Comune, Inail e sindacati si sono costituiti parti civile in entrambi i processi.
Negli ultimi anni le imprese cinesi del distretto moda sono costantemente cresciute a ritmi vertiginosi, complice una legge del 2004 del governo Berlusconi che ha allentato le maglie dei controlli nei primi due anni di attività: in pratica ogni volta che riapri, guadagni due anni di non disturbo. In via Toscana, dove c’è il capannone annerito di Teresa Moda, puoi notare diversi cancelli e ingressi addobbati con festoni e lanterne rosse. Quando le ditte cinesi aprono si vestono a festa e poi tutti gli ornamenti rossi vengono lasciati lì finché non si deteriorano da soli.
Proprio dalle nuove aperture sono partiti i controlli da parte dell’Asl e della Squadra interforze. La Regione (Toscana con delibera 56 del 28-01-2014 ha finanziato un aumento di organico dedicato: sono stati assunti 75 nuovi tecnici della prevenzione, di cui 50 per l’Asl di Prato. Il 21 luglio 2014 è stato approvato, con delibera regionale, il Piano straordinario per il lavoro sicuro a cui hanno aderito associazioni datoriali e sindacali.
Le aziende cinesi che aderiscono al patto (circa 200 fino ad oggi), dichiarando di volersi mettere in regola con la sicurezza, potranno essere fra le ultime controllate. In due anni e mezzo dovranno essere comunque passate al setaccio tutte le 4.000 aziende cinesi del comparto: confezioni, pronto moda, stamperie, tintorie, ecc. Ogni mese alla camera di commercio viene fornito l’elenco delle nuove ditte: il prefetto ha riunito tutti per poter abbattere alcuni vincoli sulla privacy.
Da dicembre Asl, vigili urbani e ispettorato del lavoro viaggiano a dieci controlli il giorno. Oltre alle nuove aperture, la priorità è per quelle tipologie edilizie in cui si sospetta promiscuità tra ambienti di vita e di lavoro. Il primo novembre scorso è stata sequestrata una ditta con bombole a gas e 85 posti letto. Dalle verifiche fino a oggi svolte, i maggiori problemi riguardano gli impianti elettrici, la protezione delle macchine, l’igiene dei locali, i dormitori e le cucine, la portata dei solai e dei depositi, le vetrate oscurate.
La Regione Toscana aveva promosso nell’estate prima del rogo un progetto formativo in collaborazione con l’Università di Prato, chiamato Asci per favorire la diffusione della cultura dell’impresa e della legalità e per la valorizzazione delle risorse locali. Sono stati formati 14 giovani tecnici di cui 7 cinesi che adesso stanno cercando di collaborare con le istituzioni del territorio. Parlando con uno di loro, alla Cna, viene fuori che quasi sempre i cinesi li accolgono senza fare resistenze e questo conferma che è più diffusa la confusione su cosa fare che non la volontà di nascondere. La Cgil ha aperto un ufficio in via Pistoiese, dove è presente in maniera massiccia la comunità cinese.
Riccardo, che da tanti anni si occupa di immigrati nel sindacato, racconta che la città, come il resto d’Italia (quasi tutti lamentano l’assenza di risorse dello Stato, così come la diminuzione di dati per leggere i fenomeni visti i continui tagli alla ricerca sociale) si è trovata impreparata negli ultimi decenni e su molti aspetti ha chiuso gli occhi. Prato poteva prendere l’esempio di altre realtà europee e italiane per imparare ad affrontare la questione migratoria, ma non l’ha fatto e adesso si trova nell’emergenza. Poteva guardare anche vicino: Campi Bisenzio, che sta attaccata, si era già mossa con progetti e interventi.
Ma l’orgoglio dei pratesi è cosa nota, basti pensare a L’età dell’oro di Edoardo Nesi o a Maledetti Toscani di Curzio Malaparte: «S’immagini quello che sarebbero stati un Dante, un Petrarca, un Boccaccio, un Donatello, un Arnolfo, un Brunelleschi, un Michelangelo, se invece di nascere qua e là, sparsi tutt’intorno a Prato, fossero nati a Prato: e quel che sarebbero Firenze, Pistola, Pisa, Lucca, Siena, Arezzo, Livorno, se invece di crescere sparpagliate, come sobborghi tutt’in giro alle mura di Prato, fossero state costruite proprio dentro Prato! Sarebbe stato certo un bel guadagno per tutti: perché la storia di Prato sarebbe stata la storia d’Italia, mentre ora la storia d’Italia è la storia di Prato».