Francesca Gerosa, MilanoFinanza 18/12/2014, 18 dicembre 2014
LA CADUTA DELL’OIL? DURERÀ A LUNGO
«La discesa del petrolio potrebbe durare più a lungo che in passato». È quanto ha ipotizzato l’Unione Petrolifera analizzando la situazione del mercato nel suo preconsuntivo 2014. Questa è la terza caduta dalla fine del 2008. La prima, una picchiata durata cinque mesi e legata all’esplosione della crisi finanziaria, ha portato il prezzo dai 133,18 dollari di luglio 2008 ai 40,35 di gennaio 2009 (-93 dollari al barile); la seconda, una discesa durata tre mesi, ha portato le quotazioni dai 125,33 di gennaio 2012 ai 94,84 di agosto 2012 (-30,5 dollari al barile); la terza, quello attuale, ha portato i prezzi dai 111,67 dollari di giugno 2014 ai 66,7 a dicembre attuali. Si tratta di una flessione di 45 dollari al barile ma che prosegue ininterrotta già da sei mesi. «Quello che sorprende», ha spiegato il presidente dell’Up, Alessandro Gilotti, «è la non decisione dell’Opec all’ultima riunione. Che poi, in realtà, è la decisione di condizionare il mercato in un nuovo modo». Il cartello petrolifero, infatti, «non è più in grado di fissare prezzi alti per la concorrenza degli altri produttori non-Opec ma ha ancora la forza di garantirsi le sue quote». Gilotti ha rilevato che gli altri tonfi del petrolio non sono durati più di 3-5 mesi «ma non credo che anche questo duri così poco, anche se in questo mercato non si può mai dire. Ci sarà sicuramente un rimbalzo ma non lo vedremo così presto». A questo punto, se il prezzo del petrolio si attestasse stabilmente a 60 dollari al barile, finirebbe fuori mercato il 12% della produzione mondiale, facendo perdere 10-11 milioni di barili al giorno di offerta proveniente dai giacimenti più costosi.
Certo che, ha calcolato l’Up, per ogni 20 dollari in meno del prezzo del petrolio su base annua il pil italiano ottiene un effetto positivo di circa mezzo punto percentuale. A beneficiare della guerra dei prezzi sul greggio sono infatti quei Paesi dove il costo dell’energia rappresenta un freno alla crescita e pesa sulla competitività del sistema industriale.
Del resto la domanda di energia in Italia ha mostrato quest’anno un calo del 5,1% rispetto al 2013, fermandosi a 157,6 milioni di tonnellate e tornando sui valori della fine degli anni 80. È quanto è emerso dal preconsuntivo petrolifero sempre redatto dall’Unione Petrolifera. La contrazione ha riguardato praticamente tutte le fonti, ad eccezione delle rinnovabili (+3,9%), il cui peso totale è salito al 19%, e delle importazioni nette di energia elettrica (+2,3%). Il petrolio si conferma ancora una volta la principale fonte di energia con un peso percentuale del 35,4%, in leggera crescita rispetto al 35,1% del 2013, laddove il gas ha mostrato il calo più accentuato: -11% per una quota del 32,4%. Il gas, in particolare, ha risentito della riduzione della domanda elettrica e della forte concorrenza delle rinnovabili, che hanno messo fuori mercato molti impianti di nuova generazione e ad alto rendimento, nonché delle temperature particolarmente miti.
In Italia, comunque, i consumi petroliferi quest’anno sono scesi del 4,5%, una flessione pari a 2,7 milioni di tonnellate, ma con qualche timido segnale positivo sul fronte dei carburanti (+0,5% per benzina e gasolio combustibile). In notevole calo, oltre al gasolio riscaldamento (-17,8%), anche il fabbisogno petrolchimico netto (-28,5%) e l’olio combustibile (-28%), un prodotto ormai considerato marginale e di riserva nella produzione termoelettrica. Complessivamente nel periodo 2004-2014 la flessione totale dei consumi petroliferi è stata di oltre 32 milioni di tonnellate (-36%), più del doppio rispetto a quanto accadde in occasione del secondo shock petrolifero.
Il calo dei consumi e del prezzo del petrolio hanno portato a una forte riduzione del conto pagato dall’Italia per le sue forniture energetiche. La fattura complessiva si è, infatti, attestata a 45 miliardi, in calo di oltre 11 miliardi rispetto all’anno precedente, in pratica il 2,9% del pil (era al 3,5% l’anno scorso). In decisa riduzione anche la fattura per le sole forniture petrolifere, scesa a 25 miliardi con una riduzione di 5,4 miliardi. Per il prossimo anno l’Up stima un esborso petrolifero compreso tra un minimo di 17,1 miliardi (1,1% del pil) e un massimo di 24,2 miliardi (1,5% del pil), con un prezzo del greggio nell’intervallo 65-85 dollari al barile. Nel caso di una quotazione intermedia a 75 dollari, la fattura potrebbe calare a 39 miliardi, con un’ulteriore flessione di 6 miliardi rispetto a quest’anno e il risparmio complessivo salirebbe così a 7,1 miliardi. Nell’ipotesi più ottimistica, ovvero con il greggio a 65 dollari, il cambio euro/dollaro a 1,35 e consumi stabili, il risparmio sull’oil rispetto al 2014 potrebbe arrivare a circa 8 miliardi di euro.
Nonostante il calo dei consumi, il gettito fiscale derivante dai prodotti petroliferi è salito ancora quest’anno a 41,33 miliardi (+0,5%). Circa 200 milioni in più: 150 di accise e 50 di Iva. Tale ammontare, ha sottolineato l’Up, rappresenta per le sole accise oltre il 7% del totale delle entrate tributarie italiane, mentre se gli aumenti delle accise già programmati fino al 2021 divenissero strutturali, solo per la benzina ci sarebbe un incremento di gettito di oltre 2 miliardi.
Francesca Gerosa, MilanoFinanza 18/12/2014