Paolo Siepi, ItaliaOggi 18/12/2014, 18 dicembre 2014
PERISCOPIO
Renzi andò da Junker travestito da Paperino e gli disse: «Mi fai pagare come alla Walt Disney lo 0,28 per cento sui guadagni?». Vignetta di Vincino. Il Foglio.
Un’economia del terzo millennio che ristagna in un oceano di orrore e di merda, e loro, i sindacalisti della Cgil e della Uil che ripetono le formulette e le cerimonie di un secolo fa. L’altra sera a cena eravamo con un grafico che lavora nell’editoria minore e che oggi lo pagano un terzo di quanto lo pagassero dieci anni fa, un ex gallerista della arti minori del Novecento che ha chiuso bottega perché di gente del ceto medio che compri un oggetto d’arte non ce n’è più, un fotografo che non ha più lavoro da quando c’è il digitale e i giornali pubblicano a gratis i selfie che impazzano sul web, altro che pagare le sue fotografie come facevano un tempo. Giampiero Mughini. Dagospia.
Tanto tuonò che non piovve. Gianni Cuperlo sull’Assemblea del Pd. Agenzie.
Se si vogliono lanciare segnali si fa il semaforo, non il parlamentare. Matteo Renzi. Agenzie.
Roma candidata alle Olimpiadi del 2014. L’inno della cerimonia inaugurale sarà eseguito dalla banda della Magliana. Spinoza. il Fatto.
Da quando la propaganda è diventata una disciplina olimpica? Jena. La Stampa.
Se davvero Renzi vuole voltar pagina nella capitale, il commissario deve prenderlo a Bolzano, non a Roma. Invece opta per un commissariamento omeopatico, gattopardesco. Ma ci è o ci fa? Un po’ ci è (è superficiale quanto basta) e un po’ ci fa (è molto spregiudicato e si crede sempre più furbo di tutti). Come se bastasse estrarre poche mele marce da un cestino di mele sane. Ma qui è marcio il cestino e qualunque mela, anche sana, anche acerba, ne viene immediatamente contagiata. Marco Travaglio. Il Fatto.
Uno dei miracoli che sono stati fatti in Italia si chiama Torino. Liberata dalla cappa di ferro della Fiat, nel male ma anche nel bene, la città è tornata, in questi anni, all’antico splendore di città d’arte. In meno di un decennio ha moltiplicato per sette il numero dei visitatori, in gran parte grazie al turismo culturale di mostre, eventi legati al cinema, al teatro e alla letteratura, al rilancio dello splendido Museo egizio e all’impresa del recupero di Venaria Reale. Fino agli anni Novanta neppure i torinesi sapevano dell’esistenza di questa reggia da favola alle porte della città. Curzio Maltese, il venerdì.
Appena sono arrivato a Berlino i fondatori della Zalando mi assegnano, da subito, l’incarico di inventare un mercato italiano. Nel giro di tre anni l’area che dirigo decolla. Oggi guido un team di centocinquanta persone. Italiani, spagnoli, messicani. Ci hanno dato un piano nel grande edificio della società. È diventato il più folkloristico dell’intero complesso. Segno che le differenze culturali resistono, anche a Berlino, la più europea tra le città teutoniche. Per i nostri connazionali la cosa più importante è la condivisione, il fare squadra: lo vedo ovunque, anche in sala mensa. Per i tedeschi, invece, sono fondamentali la trasparenza, la correttezza. Ma la differenza fondamentale è la semplicità del sistema. Berlino è come un tablet o uno smartphone: è intuitiva, appena la approcci hai già capito come funziona. Giuseppe Tamola, 28 anni, lavora a Berlino alla Zalando, numero uno europeo nella vendita degli articoli di moda online. la Stampa.
La vittoria dell’Islam, che proibì la scultura e la pittura, è il trionfo della banalità sulle religioni più profonde che si trovavano in crisi. Jacob Burckhardt, Historische Fragmente.
Dalla cucina vengono voci e risate, e rumore di pentole e piatti, mentre si allarga nella casa un profumo di sugo alla amatriciana. Stridio di sedie smosse, ora. Si stanno mettendo a tavola. Dieci amiche della figlia diciassettenne sono venute a cena. Un figlio e il marito hanno pensato bene di uscire. L’altro figlio si è barricato in camera sua. Il cane fa discrete sortite, a mendicare qualche boccone. I gatti se ne stanno in esilio sotto al mio letto, imbronciati come divinità offese da tanto baccano. Io, qui in camera, sorridente. Di questa festa di ragazze, di queste voci fanciullesche che colmano la casa. (Rimpiango stasera di non averne avuto tanti di più, di figli. Che bello sarebbe stato, mi dico: la casa sempre percorsa dai loro passi, dalle loro voci, perfino dai loro litigi). Comunque: già tre, che regalo. Se portano qui gli amici ne sono felice. Ho conosciuto bene, da adolescente, l’aria immobile e il silenzio di una casa troppo grande per due persone sole. Marina Corradi. Avvenire.
Quando scrissi il romanzo «la Troga» eravamo nell’Italia cruenta e complottistica degli anni Settanta e Ottanta, in una Roma con la vocazione alla cancrena, tra irriverenti allusioni al caso Moro e una miriade di comparse caricaturali, trucide: poliziotti vigliacchi, giudici corrotti, banchieri infidi, politici cinici, mafiosi, terroristi, cardinali, puttane, tutti convocati in uno scenario macabro e granguignolesco, dominato dalla «troga», qualcosa a metà tra Cosa nostra e massoneria, ma, in definitiva, grande metafora del Potere in un Paese che crolla a pezzi. Giampaolo Rugarli. Corsera.
È in agonia Leopoldo Pardi, maggiore comandante il gruppo del primo reggimento artiglieria celere «Eugenio di Savoia». Rommel, appena lo ha saputo, abbandona tutto, balza sul suo celebre minuscolo Cicogna, vola presso il morente. Pardi deve essere salvato a qualunque costo, non c’è una nave ospedale appena giunta a Marsa Matruth? Si carichi il maggiore sopra il Cigogna, immediatamente, lo si porti sulla nave dove i feriti possono venire assistiti con ben altri mezzi, e soprattutto in ben altra atmosfera. Questo è l’ordine impetuoso. Ma Pardi non è trasportabile, morirebbe prima e soffrirebbe di più. In quell’istante giungono a Rommel, dal suo comando, gravi notizie: il fronte è rotto fra il mare e la ferrovia. Deve ripartire senza ritardo. Due grandi soldati si scambiano, in silenzio, l’ultimo sguardo. La fine attende Pardi nello squallido, polveroso deserto di El Dubah: un deserto senza dune bianche, senza mughi odorosi: soltanto pietrame, sabbia sudicia, casse sfondate e baracche militari. Subito dopo arriverà per lui una comunicazione già vecchia, attesa da lungo tempo, attardata nelle more degli uffici: è stato promosso tenente colonnello. Paolo Caccia Dominioni, Alamein 1933-1962. Longanesi, 1966.
Sono un leone imbalsamato in una gabbia di tentazioni. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 18/12/2014